martedì 6 gennaio 2015

Lucy (Besson 2014)

Luc Besson, come gli è accaduto troppo spesso negli ultimi anni, si perde in un film che non funziona dall'inizio alla fine... Eppure il soggetto di partenza, incentrato sulla possibilità dell'uomo di ampliare la propria capacità cerebrale, lasciava prevedere ben altra sorte per l'ultima pellicola di fantascienza del regista francese.
Leggi la trama:
Lucy (Scarlett Johansson) è costretta da Richard (Pilou Asbaek), un uomo che sta frequentando da una settimana, a consegnare una valigetta di cui ignora il contenuto al boss coreano Mr Kang (Min-sik Choi). La droga presente nella valigetta, la nuova e potente CPH4, verrà inserita in pacchetti negli intestini di alcuni corrieri, tra cui la stessa Lucy, unica donna del gruppo. Di fronte alla sua avvenenza, però, uno dei malviventi non resisterà e data l'opposizione della ragazza, il coreano reagirà colpendola con diversi calci all'addome, causando la rottura della busta contenente i cristalli di droga. Questo evento scatena gradualmente l'amplificazione delle capacità cerebrali di Lucy che non si arresteranno fino alla fine del film.
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Il personaggio di Lucy è costantemente sullo schermo, un'ossessiva presenza che la povera Scarlett Johansson non riesce proprio a sostenere, né può apparire credibile come supereroina in evoluzione che da ragazza superficiale che frequenta ragazzi sbagliati ed è giustamente terrorizzata dai malviventi in cui si imbatte, diventa insensibile al dolore e alla paura e inizia a sovrapercepire tutto ciò che la circonda. Di  fatto sono queste le uniche due espressioni - prima e dopo l'esplosione del CPH4 nel suo intestino - che ci regala l'attrice americana, in qualche modo erede del ruolo che ebbe Milla Jovovich in alcuni precedenti film di Besson! A salvare la sua interpretazione, quindi, non possono bastare i pur bei momenti che la mostrano in azione contro i coreani, in slow motion, o in cui la vediamo risplendere in parrucca nero corvino per essere meno riconoscibile.
E allo stesso modo non possono sostenere un film decisamente sbagliato i pochi momenti di buona regia (penso soprattutto alle metafore visive in cui Besson usa il montaggio alternato mostrandoci un topo vicino ad una trappola con il formaggio o il ghepardo che attacca un branco di gazzelle per sintetizzare la situazione che sta vivendo la protagonista all'inizio della vicenda). 
La storia non regge in nessun momento del suo sviluppo: partendo dalla violenza che dà inizio all'aumento delle facoltà cerebrali della protagonista (perché mai qualcuno degli uomini di Mr Kang dovrebbe colpire proprio al ventre uno dei corrieri?), continuando con Lucy che prima si fa togliere il pacchetto di droga dal corpo da un chirurgo, naturalmente senza anestesia - anche perché durante l'operazione approfitta per una telefonata alla madre a cui spiega quello che le sta succedendo - e che poi raggiunge Mr Kang ma inspiegabilmente non lo uccide (immaginate nella stessa situazione un personaggio tarantiniano, per esempio?). Se possibile, però, l'ultima parte del film raggiunge vette davvero surreali: Lucy diventa un caso universitario e una sorta di blob intelligente, non più il fluido che uccide, ma un fluido superintelligente che accumula materia per diventare un computer di nuova generazione (sic! Ai nostri occhi però è poco più di un ammasso di escrescenze organiche con cui Cronenberg avrebbe certamente saputo far di meglio) e decide di consegnare tutto il suo sapere e le sue capacità al professor Samuel Norman (Morgan Freeman), trasferendolo in una comune pen-drive (sic, sic, sic!!! Purtroppo non ci viene detto da quanti gigabyte!).
Per chi non ne avesse abbastanza e riuscisse ad andare fino in fondo, si goda il momento in cui Lucy, viaggiando nel tempo e nello spazio, al 100% delle sue facoltà cerebrali, prima di indietreggiare fino al big bang, si ritrova in una New York che vede ai nostri giorni, nell'Ottocento, all'epoca degli indiani e, infine, nella preistoria, quado incontra una scimmia (dimenticate velocemente, pur se presente, ogni riferimento a 2001. Odissea nello spazio - Kubrick 1969) e i loro indici si toccano come in E.T. (Spielberg 1982) e come nella Nascita di Adamo della Cappella Sistina...
Si fa fatica a trattenere l'ilarità di fronte ad un film come questo, che con un'ampia dose di presunzione prova a spiegare il senso della vita con le parole di Morgan Freeman (ahimé naufraga anche lui), che si ritrova a recitare battute dozzinali, spesso persino ex cathedra, dato il suo ruolo da professore, che nella realtà farebbero alzare dalla sedia molti studenti: "Gli umani sono più interessati all'avere che
all'essere"; "Siamo così ossessionati dal potere e dal profitto". La sceneggiatura, davvero mediocre, però, non si limita a questo, poiché Lucy, che dà lezione ai professori riuniti per esaminare il suo caso, va anche oltre: "uno più uno non ha mai fatto due"; "il tempo è la sola unità di misura ... senza tempo non esistiamo". Così come, guidando in maniera inenarrabile la macchina della polizia francese per le strade di Parigi, risponde al commissario Del Rio (Amr Waked) che le indica come sia "meglio essere in ritardo che morti" che "non si muore mai davvero!"
Nel finale Lucy ne ha anche per noi: "la vita ci è stata donata un miliardo di anni fa... ora sapete cosa farne...", ma a Besson chi può ricordare che il cinema ci è stato dato ormai più di cento anni fa e che non è necessario farne scempio in questo modo?

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