lunedì 11 aprile 2022

Il ritratto del duca (Michell 2020)

Nel 1961, Kempton Bunton, tassista britannico in pensione, rubò il Ritratto del duca di Wellington di Francisco Goya dalla National Gallery di Londra. A questa incredibile vicenda Roger Michell ha dedicato il suo ultimo film (The Duke), una commedia tipicamente inglese, tra ironia arguta, satira sociale e situazioni surreali.
La pellicola è strutturata secondo lo schema dei film giudiziari: si apre con il protagonista alla sbarra, per il processo, e da lì si sviluppa in un lungo flashback che alla fine ci riporterà nella stessa aula di tribunale (trailer).

Kempton Bunton è un personaggio fantastico, un inguaribile sognatore, idealista e con un grande senso civico (come ribadirà anche la perizia grafologica) e, nell'interpretazione di Jim Broadbent, c'è buona parte del valore del film: sempre spontaneo con la corte, fa ridere tutti in aula; sempre polemico a casa, è in continuo contrasto con la moglie Dorothy (Helen Mirren); cerca lavoro per impinguare la magra pensione, ma poi lo perde sistematicamente per le critiche, peraltro giuste, contro i comportamenti nei confronti del personale dei suoi superiori; critica il governo ma non paga le tasse come gesto di rivolta.
Francisco Goya, Il ritratto del duca
di Wellington
(1814, Londra, NG)
Ha, inoltre, velleità da scrittore, e porta in giro per le case editrici Le avventure di Susan di Nazareth, un titolo che rimanda subito ai Monty Python, a proposito di comicità britannica, e al loro Brian di Nazareth, così come vedere le case a schiera della working class non può non far pensare, almeno "iconograficamente", al celebre sketch iniziale de Il senso della vita (Jones 1983).
Tra le battaglie donchisciottesche di Kempton, la più divertente e quella in cui mette più impegno è quella contro il canone della BBC, per evitare il quale smonta una valvola dal televisore, contro il parere della moglie che vorrebbe seguire il notiziario della tv nazionale. Prenderà la questione con tanta convinzione da diventare un attivista anti-canone, andando persino nelle sedi dei giornali e nei palazzi del potere, dai quali verrà cacciato senza essere nemmeno ascoltato (dal 2000, come ricordano i titoli di coda, i pensionati in Inghilterra non pagano più il canone).
In questo contesto si colloca l'incredibile furto del dipinto di Francisco Goya, finalizzato proprio ad ottenere come riscatto i soldi necessari a coprire il canone della tv di tutti i pensionati inglesi. La tela del 1814 viene poi ricoverata in casa, grazie alla complicità del figlio Jacky, che crea un doppiofondo in un armadio e, almeno inizialmente, nasconde il tutto alla madre. Kempton e Dorothy hanno avuto altri due figli: Marian, morta appena diciottenne per un incidente in bicicletta e della quale a casa si parla sempre troppo poco dato che la sua scomparsa ha creato un solco enorme nella coppia; Kenneth, che invece vive a Leeds e ha una relazione con una donna separata, una situazione su cui l'ironia tagliente dei genitori e soprattutto di Dorothy genera momenti da perfetta commedia.
Difficile parlare di regia o di particolari movimenti di macchina in un film come questo, basato sulla sceneggiatura, opera di Richard Bean e Clive Coleman, e sulle interpretazioni di Broadbent e Mirren, ma in cui comunque si ricordano uno split screen utilizzato per descrivere l'arrivo nella city del "ribelle" Kempton, ma soprattutto un espediente caro ad Alfred Hitchcock: in una sequenza, la mdp va a chiudere l'inquadratura sulla pancia del protagonista, finendo in nero, come sir Alfred fece ripetutamente nei passaggi di rullo di Nodo alla gola (1948), in modo da lasciare allo spettatore la sensazione di un unico piano sequenza per tutta la durata del film.
Oltre a questo dettaglio e alle già citate suggestioni pythoniane, c'è un altro po' di cinefilia qua e là. Proprio in tv, ad esempio, si vede qualche immagine de La leggenda di Robin Hood di Michael Curtiz (1938) con il volto di Errol Flynn nello schermo di casa Bunton (e Kempton in un'altra scena si identifica col personaggio: "combatto l'ingiustizia sociale, sono Robin Hood"). Più avanti, invece, vediamo pochi secondi del primo film su James Bond. Si tratta di Agente 007 - Licenza di uccidere (Young 1962), in cui, segno di quanto in quel momento fece scalpore quel furto, nel bunker sottomarino del Dr. No, Sean Connery, nei panni del celebre agente speciale, vede il dipinto di Goya rubato ed esclama con sorpresa "dunque, eccolo!". Infine, Kempton vuole portare la moglie al cinema a vedere qualcosa: siamo nel 1961 e la scelta cade su West Side Story (Robbins-Wise), che l'uomo, per invogliare Dorothy, descrive come "è la storia di Romeo e Giulietta".
Il dipinto nella scena di Agente 007 - Licenza di uccidere (1962)
Un'ultima curiosità, per concludere: nel momento del furto, quando il dipinto di Goya viene prelevato dal cavalletto, nello spazio retrostante si vede L'urlo di Munch, conservato nella Galleria Nazionale di Oslo e anch'esso rubato per ben due volte (1994 e 2004). L'inserimento, quindi, non è un dettaglio realistico, ma probabilmente va considerato un gioco di interazione con lo spettatore che allude alla situazione e alla sorpresa del furto.
Un peccato che la sceneggiatura non trovi di meglio da far dire agli inquirenti, più volte, che i principali indiziati del furto siano "gli italiani", mentre è da applausi il discorso in tribunale di Kempton, con la sua fede "non in Dio", come ci tiene a precisare, "ma nelle persone". A volte lottare per gli altri, anche contro i propri interessi, può essere un'edificante ragione di vita: ne Il ritratto del duca, in fondo, è come se Ken Loach avesse incontrato Walt Disney. Il buon umore è assicurato!

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