sabato 31 agosto 2019

5 è il numero perfetto (Igort 2019)

L'eclettica personalità di Igor Tuveri, in arte Igort, dà vita a un intrigante noir ambientato in una Napoli notturna, livida e costantemente piovosa, che ricorda piuttosto la distopica Los Angeles di Blade Runner.
Appena presentato presentato a Venezia 76, nelle Giornate degli Autori, il film rappresenta un nuovo tentativo del cinema italiano di trasporre un fumetto sul grande schermo (la graphic novel è del 2002). Forse non siamo ancora al massimo, ma sicuramente un passo avanti rispetto all'ultimo esperimento in tal senso (penso a La profezia dell'armadillo - Zerocalcare 2018), e attendiamo l'ormai prossimo Diabolik dei Manetti bros.
Settembre 1972. Peppino Lo Cicero (Toni Servillo), con un naso degno di Federico da Montefeltro, è un uomo malinconico e nostalgico, un "guappo" ormai in pensione, con tanti ricordi che spesso prendono forma di flashback. La vita per lui è "come un liquore troppo forte": "lo butti giù, senti 'a bott', ma non capisci che gusto ha".
I profili di Peppino e di Federico da Montefeltro
Ed è proprio la vita a giocargli un brutto tiro: già vedovo per la prematura morte di Immacolata, è costretto a vedere morire anche il suo unico figlio, Nino, vittima di una guerra tra clan rivali della camorra. Da quel momento Peppino inizia un percorso di vendetta, fiancheggiato da un paio di vecchi amici, Rita (Valeria Golino) e Totò (Carlo Buccirosso), che paradossalmente gli ridà le energie perdute, consentendogli di vivere il presente senza rimpiangere il passato, eccitato dall'odore della polvere da sparo.

Igort, fumettista, ma anche musicista, sceneggiatore, struttura la storia articolandola in cinque capitoli ("Lacreme napulitane", "La settimana enigmatica", "Guapparìa", "Il sorriso della morte", "5 è il numero perfetto") che, insieme alla ricerca della vendetta da parte del protagonista, rimandano inevitabilmente a Quentin Tarantino. E il regista di Knoxville viene evocato anche in una sequenza cinefila: Peppino entra in un cinema, dove proiettano Cinque dita di violenza (Jeong 1972) - sempre il cinque - e sentiamo distintamente uno degli effetti sonori ripresi da Tarantino per caratterizzare la furia della sposa in Kill Bill.
Igort e Tarantino condividono l'amore per i film di serie B sul kung fu ma anche la passione per il Giappone. Per il fumettista la questione si intreccia con la propria vicenda personale, avendo lavorato per case editrici nipponiche e avendo pubblicato anche per la rivista Hon Hon do, fondata da un certo Ryiuchi Sakamoto... ed ecco il cinema che riappare.
Peppino, in effetti, parla da vecchio santone e per massime, una sorta di maestro orientale che si esprime in napoletano. Alla metafora già citata sulla vita e il liquore, si aggiungono frasi come "l'omm nun è chell che mang', nun è chell che caca, ma è comm' accid' ", ma anche "la vita è terribbile e il bell' è che tiene pure 'o sens' dell'umorismo", senza dimenticare che lo stesso titolo si deve ad un suo racconto familiare.
Sono i flashback che ci raccontano la sua vita, ma uno più degli altri è basilare nella narrazione: Nino è bambino ed è appassionato di fumetti - ça va sans dire - e su tutti L'uomo gatto, ma suo padre, che pure gli compra quei "giornaletti", non ama questa divisione tra buoni e cattivi, l'Uomo Gatto "tiene 'a mano pesante". Per questo Peppino mostra al figlio il cruciverba alla fine dell'albo facendogli notare che "la casella bianca si vede perché c'è la casella nera", in una metafora che ridona un ruolo di primo piano alla parte negativa del manicheismo. D'altronde, come dirà più avanti, Peppino nella sua filosofia non prevede la giustizia universale.
Servillo domina la scena, come sempre, ma in un film del genere è il soggetto stesso che gli permette di gigioneggiare a buon diritto: di fatto, il suo Peppino Lo Cicero, è un supereroe, non certo senza macchia, ma pur sempre un supereroe che non viene scalfito dalle pallottole nemmeno durante una sparatoria. E poco male se lui e Totò si muovono in maniera meccanica e poco realistica con due pistole a testa e spalle a spalle nel cortile del settecentesco palazzo Sanfelice del rione Sanità, già splendida location della serie tv Gomorra.
Igort si diverte con la mdp e, proprio in questa sequenza, la muove forsennatamente, ma anche in altri momenti la usa in maniera virtuosistica, come quando gli vediamo inquadrare dall'alto un terrazzo di Napoli, dove si svolge un'altra scena madre, a metà tra western e gangster movie. E così, più di una volta, dispone tre dettagli all'interno di riquadri sullo schermo, una disposizione che sembra riprodurre al cinema l'impaginato dei fumetti.
Palazzo Sanfelice a Napoli
Oltre la bella e cupa fotografia di Nicolai Brüel, l'ambientazione negli anni '70 accresce il ruolo della scenografia di Nello Giorgetti e dei costumi: per tutto il film appaiono in scena telefoni a gettoni con combinatore rotante a disco; bellissime automobili d'epoca (bianchine e non solo); Napoli aiuta, con i suoi vicoli e la sua religiosità popolare, tra madonnine che piangono sangue in strada o icone bizantine che Peppino prega in un dialogo diretto e confidenziale. In questa bella sequenza è notevole l'altare ricolmo di candele accese, così come l'ennesima battuta-sentenza del protagonista: "il mondo è diventato una chiavica [...] se Voi non vi formalizzate, ve ne mando qualcuno e voi ci date 'na ripassata".  
Anche i costumi sono ben curati: Mister Ics ha dei capelli rockabilly che farebbero impallidire i protagonisti di Leningrad Cowboys Go America (Kaurismaki 1989); e così la capigliatura afro di un personaggio di colore, che indossa una camicia optical e che, soprattutto, si chiama Ciro, vera e propria incarnazione del "criaturo" di Tammurriata nera
Molto bello il finale, che si sposta da Napoli in un piccolo centro sul mare dal suadente nome di Parador meridionale (Messico, Sud America, Spagna?), caratterizzato da un sole accecante, dove Peppino in camicia hawaiana trascorre il tempo in spiaggia o passeggiando, e che diventa occasione per l'ennesimo flashback. Proprio il Parador è un luogo ideale particolarmente amato da Igort, che lì, nel fantomatico paese di Papassinas, fa vivere uno dei suoi personaggi, l'ispettore d'igiene Gregorius Folon, guarda caso ideato negli anni '70 (leggi). È il posto perfetto in cui godersi "una vecchiaia tranquilla come uno con la coscienza a posto", quasi a dar ragione a una prostituta e cartomante che quarant'anni aveva predetto un futuro da viaggiatore per lui, che invece non si era mai allontanato da Napoli. Mai dire mai...

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