venerdì 18 giugno 2021

The Father (Zeller 2020)

Un rubinetto perde, continua a gocciolare... e alla fine smette.
Questo inserto, a circa metà del film, può essere letto come la chiave della pellicola, incentrata sul dramma di un uomo che, affetto da alzheimer, ha una memoria che funziona come quel rubinetto, e un futuro ormai segnato. L'insulso sottotitolo dell'edizione italiana, "Nulla è come sembra", invece, che rischia di dare una parvenza di thriller ad un film intimo e poetico, si riferisce all'idea portante del film, vissuto dallo spettatore come un'ideale soggettiva del protagonista, cosicché, molto spesso, una scena viene subito dopo contraddetta dalla successiva, creando in chi guarda un straniamento costante.
The Father è il film d'esordio di Florian Zeller, drammaturgo francese quarantaduenne, che ha prima scritto l'omonima pièce teatrale nel 2012, e ora l'ha adattata per il cinema, vincendo anche un Oscar per la migliore sceneggiatura non originale, comunque sua quindi.
Eppure dal testo teatrale era già stato tratta una pellicola, quella diretta da Philippe Le Guay, Florida (2015), in cui brillava un ottimo Jean Rochefort. Stavolta a brillare è un altrettanto magnifico Anthony Hopkins, un gigante nel restituire sullo schermo tutti gli stati d'animo di un uomo affetto da demenza senile, e per questo capace di alternare, tra rabbia, paura e balbettii, incredulità, durezza, sensibilità, rabbia, tristezza, sconforto e tanto altro, il tutto con un'intensità magistrale. Strameritato, a 83 anni, il secondo Oscar della sua carriera, dopo quello per Hannibal Lecter ne Il silenzio degli innocenti (Demme 1991).
L'attore gallese interpreta Anthony, che nel corso del film passa dalla vita autonoma in casa propria a quella nell'appartamento con la figlia e il genero, fino ad una casa di riposo: ogni giorno gli eventi sembrano sorprenderlo e travolgerlo, per lui niente rimane come l'aveva lasciato prima di andare a dormire. E così, una figlia, Anne (Olivia Colman), può essere scambiata con un'infermiera, Catherine (Olivia Williams); una nuova badante, Laura (Imogen Poots), può fargli simpatia perché gli ricorda un'altra figlia, Lucy, che non vede da tempo, ma che forse è morta da anni; a lei, divertito, rivela di essere stato un grande ballerino, soprattutto di tip tap, anche se in realtà è stato un ingegnere; confonde il genero, Paul (Rufus Sewell), con un infermiere, Bill (Mark Gatiss), e percepisce (forse) la sua ostilità persino come violenza fisica. Tutto è davvero incerto nella mente del povero Anthony e, come se non bastasse, Anne gli rivela di avere un nuovo amore e di volersi trasferire da Londra a Parigi, anche perché con suo marito ha divorziato cinque anni prima...
In questo stato anche i sogni possono essere confusi con la realtà, e al mattino, che all'improvviso può diventare subito sera e sorprenderlo ancora in pigiama, Anthony si ritrova ad aprire porte che nella sua fase onirica conducevano in ospedale e che ora sono solo quelle di un ripostiglio.
Che il tempo sia una delle grandi incertezze del protagonista, lo conferma il fatto che Anthony perda più volte l'orologio, un chiaro simbolo: "non voglio vivere con una ladra" è la sua accusa nei confronti della nuova badante, ma Anne lo ritrova sempre in qualche nascondiglio, suscitando la rabbia del padre, che si sente sistematicamente scoperto e ormai privo di segreti. La malattia ormai ha reso Anthony come un bambino e, nei momenti di massimo sconforto, è inevitabile reagire come tutti, appellandosi e chiedendo aiuto alla mamma.
La musica ha un importante ruolo nel film, sin dall'inizio, quando da extradiegetica accompagna le prime inquadrature per poi trasformarsi in intradiegetica al cospetto di Anthony che si toglie le cuffie all'arrivo della figlia in casa. In quel caso si tratta della bellissima Les pêcheurs de perles di Bizet, ma poco più avanti, in casa si sente Casta diva nella versione cantata da Maria Callas. Il resto della colonna sonora è composta da Ludovico Einaudi, da brani incalzanti e disturbanti come Cold wind, nelle due varianti (1 e 2), o malinconici, come Low mist, anch'esso riproposto con altre modifiche (1 e 2): tutti comunque dominati da pianoforte e violino.
La fotografia di Ben Smithard è costantemente virata sui toni dell'azzurro, che aumentano la sensazione confusamente ovattata che lo spettatore condivide con il protagonista, trasformando l'ambiente in una sorta di acquario, mentre continui carrelli in avanti e indietro ci fanno percorrere la casa con accresciuta ansia e senso d'angoscia.
C'è anche un po' d'arte nelle inquadrature del film.
La Flora di Stabiae (Napoli, MAN)
La figlia che Anthony ricorda è stata una pittrice, e in casa compare in un suo dipinto mentre cammina tra i fiori, e non è un caso, forse, che su una parete della cucina dell'appartamento di Anne campeggi proprio la Flora di I secolo affrescata nella città romana di Stabiae, oggi al Museo Archeologico di Napoli, che peraltro si ripete in una cartolina inviata ad Anthony dalla figlia.
In una delle scene finali della pellicola, compare anche un monumentale volto in bronzo di Igor Mitoraj (1944-2014), posto all'interno di un cortile in cui passa Anne, triste e angosciata per l'ineluttabilità della vicina fine di suo padre. 
Le opere dell'artista polacco hanno spesso fratture e tagli, a riprodurre, in maniera post-moderna, la forma frammentaria con cui ci sono arrivati tanti reperti classici: questa non fa eccezione, ma connessa all'idea di archetipo, sempre presente nelle sue creazioni, dà la conferma di una frattura nella relazione con le proprie origini, che è separazione da un modello di vita per Anne, costretta ad accettare che il padre se ne stia andando.
Per la progressività della malattia la sceneggiatura usa la vivida metafora di un albero che pian piano diventa spoglio - "mi sembra di perdere tutte le foglie", dice Anthony -, ma l'ultima immagine del film è proprio quella di un albero le cui fronde rigogliose continuano a muoversi al vento... Lasciar andare qualcuno di così importante vuol dire anche avere la capacità di vederlo e sentirlo ovunque!

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