sabato 17 gennaio 2015

L'ultimo metrò (Truffaut 1980)

Parigi. Seconda guerra mondiale. 1942. La città è occupata dai nazisti, ma i parigini non rinunciano a cinema e teatri, e per evitare di rimanere fuori durante il coprifuoco devono riuscire a prendere l'ultimo metrò, espressione che in francese (Le dernier metro) designava il concetto che lo spettacolo non si sarebbe fermato, una sorta di "the show must go on" transalpino.
Spiegato velocemente il titolo con una voce narrante e alcuni fermo immagine in bianco e nero, François Truffaut dà inizio al secondo film della sua trilogia sul "metaspettacolo" (questo incentrato sul teatro, dopo lo splendido Effetto notte - 1973, sul cinema, e prima della mai realizzata pellicola sul music hall), con il giovane attore Bernard Granger (Gerard Depardieu), che nel raggiungere il teatro Montmartre corteggia con insistenza quella che scoprirà essere la costumista della compagnia teatrale con cui lavorerà, Arlette (Andréa Ferréol), che lo allontana a più riprese ("pensa che faccia tutti i giorni così?" "no, solo i giorni dispari").
Bernard è stato scelto per essere il protagonista della commedia norvegese La scomparsa, pur se non sarà diretto dal celebrato Lucas Steiner (Heinz Bennent), apparentemente costretto ad andar via dalla Francia, poiché ebreo, ma che invece vive rintanato nello scantinato del teatro, diretto nel frattempo dalla bellissima moglie Marion (Catherine Deneuve), l'unica a condividere il segreto con il marito e che reciterà come protagonista della pièce al fianco di Bernard. Quest'ultimo, all'interno del teatro, si guadagna la fama di corteggiatore seriale, ma sembra ignorare proprio le attenzioni di Marion, che lo guarda in maniera diversa dagli altri. E non a caso uno dei momenti indimenticabili del film è proprio alla fine della prima della commedia, quando Marion, alla chiusura del sipario, stampa sulla bocca di Bernard un bacio improvviso, inaspettato, non certo passionale, ma che lascia il giovane attore inebetito come può immaginare solo chi ne ha ricevuto uno simile e che prelude ad una irresistibile chimica tra i due... 

Truffaut per anni ebbe l'idea di realizzare un film sulla Parigi occupata dai nazisti, e così scrisse una sceneggiatura in coppia con l'inseparabile Suzanne Schiffmann, che con lui collaborò dal 1960 fino al 1983, prendendo spunto non solo dai propri ricordi di bambino, ma anche da quelli narrati nei libri di Alice Cocéa (Mes amours que j'ai tant aimées), che aveva diretto un teatro in quegli anni, e di Jean Marais (La storia della mia vita), a cui rispettivamente sono ispirati i personaggi di Catherine Deneuve e di Gerard Depardieu. Basti pensare che il grande attore francese prese a pugni il critico Alain Laubreaux che aveva definito "un'opera ebraicizzata ed effeminata" la Macchina infernale, opera teatrale di Jean Cocteau, e che Bernard fa la stessa cosa con il critico Daxiat (Jean Louis Richard) per difendere la pièce accusata di "nichilismo ebraizzante". Ma sono tanti altri i riferimenti a personaggi realmente esistiti: Jean-Loup (Jean-Loup Cottinns), per esempio, che dirige la commedia al posto di Lucas Steiner, dopo la guerra viene arrestato per collaborazionismo, esattamente come successe a Sacha Guitry; lo stesso Steiner viene creduto in Sudamerica, proprio dove fuggì il famoso Louis Jouvet, che dovette abbandonare il Theatre de l'Athenée; sua moglie Marion sembra ripercorrere i passi di Yvonne Printemps, che diresse un teatro in cui era la prima attrice della compagnia.

La pellicola, candidata all'Oscar tra i film in lingua straniera, non vinse la statuetta americana, ma in patria si aggiudicò ben dieci César, divenendo un film modello per tante future pellicole. Una su tutte? Tarantino lo ebbe ben presente per il suo Bastardi senza gloria (2009), che vive una parte fondamentale della storia antinazista proprio in un teatro, con una giovane direttrice davvero misteriosa, ma ben più pericolosa di Marion...
Tra i premi ci fu, naturalmente, anche quello alla fotografia scura e claustrofobica di Nestor Almendros, funzionale ai misteri e alla doppiezza dei personaggi: Lucas creduto all'estero ma nascosto sotto al palco; Marion innamorata segretamente di Bernard, che a sua volta recita ma è anche impegnato attivamente nella Resistenza; l'omosessualità di Jean Loup e di Arlette, che nel continuare a respingere Bernard risponde ad una delle sue avance in maniera fantastica: "Ci sono due donne in voi" "Ma ahimé, nessuna delle due vuole venire a letto con voi".
La sceneggiatura, però, resta il capolavoro de L'ultimo metrò, per quanto già sottolineato e per una serie di altre linee che restano nella memoria. È Lucas Steiner ad avere quelle più taglienti, sia in chiave ironica, come quando rimprovera la moglie che non dorme con lui nello scantinato ("diserti la topaia coniugale"), sia in chiave più triste, quando di fronte all'ennesima trasmissione radiofonica antisemita prorompe in un "si dice sempre meglio sentirli che esser soli, ma a volte è meglio esser soli che sentirli".
Diversi gli elementi che sembrano essere pescati dai precedenti film Truffaut: il personaggio di Catherine Deneuve si chiama Marion proprio come ne La mia droga si chiama Julie (1969); Lucas Steiner si ritrova a dire una frase alla moglie che starebbe perfettamente nelle corde di Bertrand (Charles Denner), il protagonista de L'uomo che amava le donne (1977): "credi che ti faccio passare prima per educazione? Neanche per sogno! Per guardare le tue gambe". Allo stesso tempo, il bellissimo finale in cui realtà e finzione rischiano di confondere e di confondersi, vede Marion prendere per mano Lucas e Bernard, in una sintetica riproposizione del triangolo più famoso della filmografia di Truffaut, quello di Jules et Jim (1962). Proprio l'ultima sequenza, nella sua struttura ingannevole che gioca tra teatro e vita, in un mistero che può essere svelato allo spettatore solo dalla mdp, risulta essere un'evidente ripresa del finale di Omicidio di Alfred Hitchcock (1930) e un omaggio del regista francese ad uno dei suoi cineasti preferiti.

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