Lascia perplessi l'ultimo film di Clint Eastwood. La sensazione è che uno dei registi più continui degli ultimi anni abbia assecondato un po' troppo la sua fede repubblicana e, sin dalla scelta dell'omonima autobiografia di Chris Kyle, di cui la pellicola costituisce l'adattamento, abbia voluto realizzare una pellicola di pura propaganda nazionalistica, che non a caso, conoscendo gli orientamenti dell'Academy Awards ha ricevuto ben 6 nomination agli Oscar 2015, onestamente troppi.
Il protagonista della storia, interpretato da Bradley Cooper, qui anche in veste di produttore, è un cecchino che si arruola tra i SEAL della marina statunitense, dopo un'infanzia con un padre che gli insegna la differenza tra essere lupi, pecore e cani da pastore e, soprattutto, che lo inizia all'arte del fucile e della caccia, in cui dimostra da subito di essere un tiratore infallibile. Significativo, però, che la decisione che dà una svolta alla sua vita avvenga dopo aver scoperto la propria fidanzata Sarah a letto con un altro uomo al suo ritorno dall'ennesimo rodeo vinto, altra attività prettamente texana in cui eccelle.
Dopo l'addestramento, durante il quale conosce e sposa la bella Taya (un'insolita Sienna Miller in versione castana), Chris partirà dapprima per le guerre in Tanzania e Kenya ma, dopo la tragedia dell'11 settembre 2001, si ritroverà in Iraq.
I capisaldi del cinema bellico ci sono: i marines che durante le fasi di addestramento cantano la canzone di Mickey Mouse (Full metal jacket - Kubrick 1987); le spedizioni in Iraq alternate ai periodi di pausa a casa (The Hurt Locker - Bigelow 2008); la sfida con il "grande avversario", identificato con quello che viene ribattezzato "il Macellaio", nonché il contraltare arabo di Chris, il cecchino Mustapha (peraltro paragonato nelle chiacchiere tra militari al Kayser Sauzee de I soliti sospetti - Singer 1995).
Per lunghi tratti, però, l'esaltazione del personaggio risulta davvero stucchevole: vedere Chris che, mentre è in guerra, con una mano preme il grilletto del suo fucile di precisione e con l'altra è al telefono cellulare con la moglie Taya è ai limiti dell'action movie anni '80-'90, quando i protagonisti di certi film erano Sylvester Stallone o Arnold Schwarzenegger.
La sceneggiatura, firmata da Jason Hall, non rimarrà tra le migliori dei film di Clint Eastwood: sembra attenta ai tecnicismi verbali da guerra - ad esempio ci si esprime parlando dei nemici con espressioni come "uomo in età militare"-, mentre è più lasca sul linguaggio cameratesco, che non viene abbandonato nemmeno nei dialoghi tra Chris e Taya, quando questa è ancora solo una bella ragazza abbordata in un bar e a cui, senza cambiare registro, regala una perla di saggezza per differenziare i texani dagli altri statunitensi meridionali: "noi cavalchiamo i cavalli, quelli cavalcano le cugine".
Non si avverte nemmeno un adeguato approfondimento psicologico sul reducismo, cosicché Chris, nei suoi ritorni a casa, fatta eccezione per un modo di guidare che rasenta lo stile di guida da campagna bellica e l'inevitabile crisi con la moglie, non mostra altro se non la voglia di tornare in Iraq. Tutto questo non aiuta l'interpretazione di Bradley Cooper, che sembra poco tagliato e poco credibile in questo ruolo così lontano dai suoi personaggi precedenti, rendendo del tutto inutile lo sforzo da Actors Studio di essere ingrassato ben 18 chili e aver fatto crescere sul suo volto una barba incolta che ne ha ridotto le espressioni a cui ci aveva abituato. Buona invece l'idea di soprassedere sulla morte di Chris, ucciso proprio da un reduce che nel febbraio 2013 gli sparò, forse per invidia della sua fama di cecchino che in missione aveva colpito 255 "bersagli", un gesto così cinematografico, degno del Travis di Taxi Driver (Scorsese 1976), che non aveva bisogno di repliche retoriche.
Sia chiaro, Eastwood non ha dimenticato come si gira un buon film e qua e là lo dimostra: la sequenza che racconta i primi due colpi sparati da Chris in guerra, in cui è costretto ad uccidere una donna e un bambino che si passano una granata, sono perfetti e pieni di suspense, così come lo è quella asciutta ed efficace in cui lo stesso protagonista spera che un altro bambino non usi un bazooka raccolto da terra per non doverlo colpire. Ma questo non basta per ritenere American sniper un buon film... E pensare che i diritti del libro vennero acquisiti dalla Warner Bros nel maggio del 2012 e che inizialmente il film doveva essere girato da David O. Russell (il regista di Bradley Cooper, per intenderci) e poi da Steven Spielberg... in quest'ultimo caso, però, non ci saremmo aspettati così tanto!
Il protagonista della storia, interpretato da Bradley Cooper, qui anche in veste di produttore, è un cecchino che si arruola tra i SEAL della marina statunitense, dopo un'infanzia con un padre che gli insegna la differenza tra essere lupi, pecore e cani da pastore e, soprattutto, che lo inizia all'arte del fucile e della caccia, in cui dimostra da subito di essere un tiratore infallibile. Significativo, però, che la decisione che dà una svolta alla sua vita avvenga dopo aver scoperto la propria fidanzata Sarah a letto con un altro uomo al suo ritorno dall'ennesimo rodeo vinto, altra attività prettamente texana in cui eccelle.
Dopo l'addestramento, durante il quale conosce e sposa la bella Taya (un'insolita Sienna Miller in versione castana), Chris partirà dapprima per le guerre in Tanzania e Kenya ma, dopo la tragedia dell'11 settembre 2001, si ritroverà in Iraq.
I capisaldi del cinema bellico ci sono: i marines che durante le fasi di addestramento cantano la canzone di Mickey Mouse (Full metal jacket - Kubrick 1987); le spedizioni in Iraq alternate ai periodi di pausa a casa (The Hurt Locker - Bigelow 2008); la sfida con il "grande avversario", identificato con quello che viene ribattezzato "il Macellaio", nonché il contraltare arabo di Chris, il cecchino Mustapha (peraltro paragonato nelle chiacchiere tra militari al Kayser Sauzee de I soliti sospetti - Singer 1995).
Per lunghi tratti, però, l'esaltazione del personaggio risulta davvero stucchevole: vedere Chris che, mentre è in guerra, con una mano preme il grilletto del suo fucile di precisione e con l'altra è al telefono cellulare con la moglie Taya è ai limiti dell'action movie anni '80-'90, quando i protagonisti di certi film erano Sylvester Stallone o Arnold Schwarzenegger.
La sceneggiatura, firmata da Jason Hall, non rimarrà tra le migliori dei film di Clint Eastwood: sembra attenta ai tecnicismi verbali da guerra - ad esempio ci si esprime parlando dei nemici con espressioni come "uomo in età militare"-, mentre è più lasca sul linguaggio cameratesco, che non viene abbandonato nemmeno nei dialoghi tra Chris e Taya, quando questa è ancora solo una bella ragazza abbordata in un bar e a cui, senza cambiare registro, regala una perla di saggezza per differenziare i texani dagli altri statunitensi meridionali: "noi cavalchiamo i cavalli, quelli cavalcano le cugine".
Non si avverte nemmeno un adeguato approfondimento psicologico sul reducismo, cosicché Chris, nei suoi ritorni a casa, fatta eccezione per un modo di guidare che rasenta lo stile di guida da campagna bellica e l'inevitabile crisi con la moglie, non mostra altro se non la voglia di tornare in Iraq. Tutto questo non aiuta l'interpretazione di Bradley Cooper, che sembra poco tagliato e poco credibile in questo ruolo così lontano dai suoi personaggi precedenti, rendendo del tutto inutile lo sforzo da Actors Studio di essere ingrassato ben 18 chili e aver fatto crescere sul suo volto una barba incolta che ne ha ridotto le espressioni a cui ci aveva abituato. Buona invece l'idea di soprassedere sulla morte di Chris, ucciso proprio da un reduce che nel febbraio 2013 gli sparò, forse per invidia della sua fama di cecchino che in missione aveva colpito 255 "bersagli", un gesto così cinematografico, degno del Travis di Taxi Driver (Scorsese 1976), che non aveva bisogno di repliche retoriche.
Sia chiaro, Eastwood non ha dimenticato come si gira un buon film e qua e là lo dimostra: la sequenza che racconta i primi due colpi sparati da Chris in guerra, in cui è costretto ad uccidere una donna e un bambino che si passano una granata, sono perfetti e pieni di suspense, così come lo è quella asciutta ed efficace in cui lo stesso protagonista spera che un altro bambino non usi un bazooka raccolto da terra per non doverlo colpire. Ma questo non basta per ritenere American sniper un buon film... E pensare che i diritti del libro vennero acquisiti dalla Warner Bros nel maggio del 2012 e che inizialmente il film doveva essere girato da David O. Russell (il regista di Bradley Cooper, per intenderci) e poi da Steven Spielberg... in quest'ultimo caso, però, non ci saremmo aspettati così tanto!
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