lunedì 19 gennaio 2015

Storie pazzesche (Szifrón 2014)

Prendete un po' di Quentin Tarantino, un po' di Robert Rodriguez, un inevitabile pizzico di Pedro Almodóvar, che del film è anche produttore insieme al fratello minore Agustín, qualche idea di Alfred Hitchcock, alcune immagini di Luis Buñuel e perché no, anche qualcosa della commedia italiana degli anni '50 e '60, e avrete il bel film dell'argentino Damián Szifrón, appena candidato all'Oscar tra i migliori film in lingua straniera.
Sei storie abilmente riprese da una regia spesso piacevolmente protagonista, fatta di prospettive centrali, mdp posizionata mai a caso e in maniera spesso sorprendente (penso soprattutto ad una bellissima inquadratura dell'esterno di un ristorante colta dal piano dell'asfalto o ad un'altra realizzata nell'ultimo episodio montando la mdp su una porta a spinta, di cui la ripresa segue i movimenti).
Pasternak è la storia che anticipa i titoli di testa, la più breve di tutte e narra di un gruppo di passeggeri di un aereo che scoprono di avere in comune la conoscenza di Gabriel Pasternak: la sua ex ragazza, il critico musicale che ne ha frenato le velleità artistiche, la maestra che lo ha bocciato, ma su tutti lo psichiatra, che prima degli altri capisce il pericolo che stanno correndo e prova a tranquillizzare Pasternak, incolpando i suoi genitori troppo esigenti e sui quali il ragazzo ha già rivolto la rotta dell'aereo!

I ratti è la storia più tarantiniana, anche se a differenza di una storia diretta da Quentin, qui la vendetta capita per caso: una giovane cameriera (Julieta Zylberberg) vede entrare nel locale in cui lavora l'uomo che ha rovinato la sua famiglia, un laido usuraio che vorrebbe punire in qualche modo. La cuoca (Rita Cortese), sapute le colpe di quel cliente, spinge per condire il suo pasto con un veleno per topi, certa che in galera non si stia poi così male ("e se trovi un bel gruppo, ti diverti pure"). È la donna più esperta la vera vendicatrice e, quando all'uomo si unisce il figlio, mentre nella cameriera aumentano i rimorsi, lei sintetizza con un semplice "tale padre, tale figlio. È meglio che la sterminiamo tutta la dinastia!" Oltre al debito nei confronti di Tarantino - persino la musica è molto tarantinana - si segnala nel finale una bella ripresa circolare, che non può non ricordare quella di Psycho (Hitchcock 1960).
Il più forte sembra uscito dalla mente di Robert Rodriguez: una ripicca tra i due automobilisti Diego (Leonardo Sbaraglia) e Mario (Waler Donado), diventa prima una sfida e poi un duello senza esclusione di colpi, fino alle estreme conseguenze. Si passa così dalle semplici offese verbali, alla violenza sull'auto del contendente, quindi a quella tra i due uomini alla guida. Szifrón anche qui, oltre a ricordare evidentemente Grindhouse (Tarantino - Rodriguez 2007), sembra aver presente Alfred Hitchcock e la sua teoria - confessata nell'intramontabile libro intervista a Truffaut - secondo cui uccidere un uomo è una cosa complicata e faticosa e che il delitto improvvisato da chi non è un professionista del crimine va immaginato con gli oggetti in quel momento a disposizione. I due, infatti, provano ad avere la meglio l'uno dell'altro, utilizzando cinture di sicurezza, pneumatici, cric, estintori, ecc. Fantastica, durante la lotta nell'abitacolo, l'autoradio che si accende con una musica romantica... La situazione diventa grottesca e degna di un episodio de I mostri (Risi 1963), quando gli inquirenti ipotizzano si tratti di una vicenda passionale.
Si sposa bene con l'idea di una commedia italiana degli anni d'oro anche il successivo Bombetta, in cui a perdere la testa è Simón Fisher (Ricardo Darín), un ingegnere, specializzato in demolizioni, onesto padre di famiglia, che non tollera un'ingiusta multa subita. La situazione degenera così tanto da causare il suo temporaneo arresto, il divorzio, la perdita del posto di lavoro. Paradossalmente il protagonista diventerà un eroe quando risolverà la questione a modo suo e da esperto artificiere userà la dinamite per far saltare in aria il rimessaggio delle auto rimosse. È il gesto che gli vale il ritorno in galera, il soprannome di "bombetta", la stima degli altri carcerati e persino il ritorno di moglie e figlia che, naturalmente, gli portano una torta guarnita con Trinchetto, il simpatico carro attrezzi antropomorfo di Cars (Lasseter 2006). Esilarante anche il sostegno del mondo del web, che si riferisce a lui con ashtag come #Aiutamibombetta oppure #Bombettaliberosubito.
La proposta è l'episodio che dimostra come gli eccessivi divari sociali possano causare casi di ingiustizia e di corruzione. Il giovane Santiago, rampollo di una ricchissima famiglia che vive in una villa che ricorda quelle progettate da Frank Lloyd Wright, torna a casa dopo aver investito una donna incinta con l'auto del padre, Mauricio (Óscar Martínez): i genitori, chiamato il proprio legale, decidono di proporre al giardiniere di assumersi la colpa in cambio di un'ingente somma di denaro. Questa, però, aumenta esponenzialmente, poiché oltre al giardiniere, bisognerà "ungere" il procuratore che viene a indagare sui fatti e comprende molto presto della farsa, e lo stesso avvocato. Mauricio dapprima non ne può più, poi riesce a trovare un accordo a cifre più basse. Ironia della sorte, però, la realtà non seguirà esattamente i programmi prestabiliti...
Fino a che morte non ci separi è probabilmente l'episodio migliore della serie. La storia di un matrimonio borghese perfetto, che diventa un teatro Grand Guignol, è un soggetto clamorosamente buñueliano (basti pensare a film come L'angelo sterminatore - 1962 o al Fascino discreto della borghesia - 1972). Una terribile festa kitsch, che alterna musica da discoteca a brani alla Goran Bregovic, si trasforma in una situazione di incredibile tensione, quando Romina (la bravissima Érica Rivas) scopre che l'uomo appena sposato, Ariel (Diego Gentile), l'ha tradita con una collega seduta al tavolo tra gli invitati. La sposa passa dalla disperazione prossima al suicidio alla vendetta, complice il casuale incontro sul tetto dell'edificio con un "cuoco-filosofo" (Marcelo Pozzi) che le ricorda che "se ti importa così tanto dell'opinione degli altri, sei fottuta!" Da quel momento in poi il suo sguardo diventa quello di un'attrice di un film horror (ricordate quello di Sissy Spacek nel Carrie - 1976 - di De Palma?): la vendetta si consuma tra minacce, risate, promesse, violenza nei confronti di Lourdes (Margarita Molfino), la ragazza del tradimento, che finisce contro un grande specchio durante uno sfrenato girotondo con Romina, e tanto altro. Ma le sorprese continueranno fino alla fine...

1 commento:

  1. Non so se Szifron abbia mai visto Duel, ma l'episodio dei 2 automobilisti ricorda anche questo piccolo film degli inizi di Spielberg. Per il resto vedo anch'io tutte le suggestioni elencate da Gianni: Tarantino, lo stesso Almodovar, Bunuel. L'episodio del matrimonio si eleva su tutti gli altri ma il film funziona bene in tutte e sei le storie.

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