sabato 7 maggio 2022

Tromperie - Inganno (Desplechin 2021)

Due anni dopo Roubaix, che analizzava un caso di cronaca nera, Arnaud Desplechin torna dietro la mdp con questo bell'adattamento da Deception di Philip Roth (1990) - in Italia uscito con lo stesso titolo dell'edizione italiana di questo film, Inganno (1991) - con cui scandaglia l'amore, i rapporti di coppia, il tradimento e quella che viene definita la "ingannevole illusione che il matrimonio sia una questione di amore".
Presentata a Cannes nella sezione Première, la pellicola riesce molto bene a tradurre in immagine un romanzo dello scrittore di Newark, una cosa finora davvero rara, soprattutto se si pensa all'ultimo mediocre tentativo di Ewan McGregor con American pastoral (2016).
Londra, 1987. Una donna inglese (Lea Seydoux), trentatreenne, di cui non sapremo mai il nome, è l'amante di Philip (evidentemente Roth; Denis Podalydès), scrittore ebreo americano di venticinque anni più grande di lei. Entrambi sposati, ma stanchi del corpo dei propri compagni di vita, trovano nella nuova relazione non solo la passione sessuale ormai persa da anni in casa, ma anche una tensione intellettuale che li elettrizza (trailer).

I due si frequentano da un anno e mezzo e non sanno granché della vita dell'altro, come sentenzia con una chirurgica similitudine Philip, "tanto vale rimanere in soffitta come la famiglia di Anna Frank". Passano gran parte del tempo insieme, si allontanano e si riavvicinano ("è strano vederti" dice lui, "è più strano non vedersi", risponde lei) e si interrogano sulle domande che li attanagliano, inanellando frammenti di un discorso amoroso in chiave rothiana. "Perché tua moglie non ti basta?", "perché tuo marito non ti basta?", si chiedono l'un l'altra, e la donna reagisce male quando Philip sente i racconti di lei, a conoscenza delle amanti del marito e dei regali che gli fanno, e definisce la sua vita "strana": "sì, strana, è un errore, ma è la mia vita". Una reazione comprensibile in cui c'è tanto del rapporto tra due amanti, che come prima conditio dovrebbe avere l'assenza di giudizio, ma d'altronde, come ripete amaramente Philip, "l'adulterio funziona meglio se a lamentarsi del proprio matrimonio è uno solo", in una comoda asimmetria della vita coniugale. In questo la donna inglese è decisamente più democratica e, oltre a chiedersi come riuscire ad accettare che col tempo l'attrazione finisca, si rende conto che chiedere al marito di lasciare l'amante sarebbe un atto egoistico da parte sua, poiché di fatto ormai "è un pezzo importante della sua vita".
Lei ha bisogno di periodi di solitudine in cui allontanarsi dal marito, un'esigenza importante che lascia libertà ad entrambi. In tutto ciò, come tutti, conserva piccole sacche di coerenza, che per lei si esplicitano in quella che potremmo chiamare "sincerità paradossale": procurarsi un livido durante un amplesso con Philip non è un problema, poiché al marito dirà la verità, alla quale, però, lui non crederà poiché eccessiva, "dico sempre la verità in modo da non essere beccata quando dico una bugia".
La pellicola assume la forma del libro attraverso la divisione in dodici capitoli, in cui si susseguono le stagioni, altri personaggi, altre amanti di Philip. Alcuni flashback ci fanno conoscere parte della vita passata del protagonista. Tra le precedenti amanti dello scrittore, Rosalie (Emmanuelle Devos), conosciuta negli anni in cui viveva a New York, è forse quella a cui è rimasto più legato: la sente spesso ora che ha un tumore e sta facendo la chemioterapia. Sono dialoghi telefonici intensi, che ricordano i bei tempi passati con malinconia e durante i quali la donna è conscia che quella vicinanza di Philip è dovuta soprattutto alla situazione contingente e alla malattia. Lei, come le altre, è stata la "moglie di un altro".
Come appare evidente già da queste poche righe, Tromperie è un film di parola, e non potrebbe essere altrimenti data l'origine del soggetto (l'adattamento della sceneggiatura è dello stesso Desplechin e di Julie Peyr). Nonostante questo, però, la regia si fa apprezzare nell'uso del montaggio, nel ricorso un po' vintage agli iris e allo split screen e, soprattutto, in una bella sequenza iniziale, in cui l'amante inglese viene invitata da Philip a chiudere gli occhi e a descrivere la stanza. È un momento ludico, lo scrittore vuole giocare sul grado di attenzione della donna, che lo stordisce, con una descrizione dell'ambiente fin nei più minimi dettagli: è qui che la mdp si muove in tutte le direzioni andando a scovare gli oggetti uno per uno e a mostrarceli mentre il personaggio interpretato da Lea Seydoux ne parla.
Il gioco tra i due, così coinvolti, non finisce mai e si rivela anche con l'idea di un "Questionario sul sogno di due amanti di fuggire insieme": entrambi propongono e scrivono domande, che alla fine riguardano la vecchiaia, i soldi, le bugie, la quantità di amanti, ma anche l'influenza della cultura e della morale ebraica, soprattutto su Philip, naturalmente. In tal senso, l'immancabile senso di colpa genera il sogno del processo per misoginia - "cosa hai mai fatto di utile alle donne?" - che rende Philip un perfetto parallelo di Bertrand Morane de L'uomo che amava le donne (Truffaut 1977) o dell'Humbert Humbert di Lolita.
Come sempre, in un modo o nell'altro, i tradimenti prima o poi vengono scoperti, rivelati, conosciuti anche da chi fingeva di non sapere che ci fossero, e deflagrano all'interno della coppia. La moglie di Philip, che oscilla tra "voglio sapere e non voglio sapere", in un altro dei dubbi amletici della vita coniugale, leggerà il taccuino di appunti dimenticato a casa dal marito, secondo il topos del fedigrafo che incosciamente vuole essere scoperto. E Philip, come tutti coloro che tradiscono la persona che comunque amano, mentirà di fronte all'evidenza, appellandosi alla fantasia propria dello scrittore - "amerei anche te se non esistessi" -, anche se quelle espressioni, "io sono un ascoltatore, io sono un audiofilo, io sono un feticista della parola", alla moglie sembrano giustamente quelle di un innamorato.
Ognuna delle donne con cui è stato ha dato qualcosa a Philip, anche perché, come dice Rosalie, "non c'è una strada prestabilita per le emozioni", ma il punto più alto tra due amanti, come si dice in un altro importante momento della pellicola, è fare l'amore e non pensare a niente, ed è così che si raggiunge il sublime. E se lo dice Philip Roth, come dargli torto?

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