sabato 12 giugno 2021

Quarto potere (Welles 1941)

Quel cartello "no trespassing", quella cancellata invalicabile che un carrello verticale percorre nella sua interezza fino a mostrare quella K che vi campeggia in alto e, in lontananza, quel maniero neomedievale immerso nella nebbia. E poi, scimmie in gabbia, gondole, finestre gotiche, e tanto altro, a cui si arriva sempre attraverso una dissolvenza incrociata, fino ad una palla di vetro con la neve che si rompe cadendo e una soggettiva all'interno di quel vetro, resa attraverso il fish eye in modo da riprodurne la deformazione. Il tutto mentre l'uomo che tiene in mano quella palla, lasciandola andare, pronuncia il nome Rosabella (Rosebud in originale), che è anche l'unica parola che sentiamo in questi primi folgoranti due minuti e mezzo.
Quarto potere inizia così, con questa sorta di manuale di storia del cinema, fornendo sin dalla premessa la certezza che si stia per assistere ad un capolavoro assoluto.
Rosabella è il macguffin per eccellenza: pur senza avere un'importanza intrinseca, è l'elemento che permette lo sviluppo della storia. Quest'ultima, infatti, è strutturata come un'indagine giornalistica per scoprire il significato dell'ultima parola di Charles Forster Kane, ed è alla base dei numerosi flashback che caratterizzano la pellicola - una frantumazione narrativa mai vista fino ad allora - e che si alternano alle interviste fatte dal giornalista Jerry Thompson (William Alland) alle diverse persone gravitate attorno al protagonista.
La vita di Kane (Orson Welles), magnate dell'editoria che deve la sua fortuna a un'eredità inaspettata che ne ha determinato la vita sin dall'infanzia, è il soggetto del film, e Xandalu (nell'edizione italiana Candalù) è il meraviglioso palazzo che ha costruito per sé e la sua seconda moglie, Susan Alexander (Dorothy Comingore), aspirante cantante lirica a cui Charles costruisce persino un teatro.
In quegli anni anche Julien Brulatour, proprietario della Kodak, volle fare della moglie una grande cantante, eppure la figura di Kane è stata  sempre associata a William Randolph Hearst, tycoon della stampa, che tra le analogie col personaggio di Welles un castello se lo era fatto costruire davvero, a San Simeon, su una collina affacciata sul Pacifico tra Los Angeles e San Francisco. E, non a caso, Hearst tentò in ogni modo di non far uscire Quarto potere, un capolavoro che ha travalicato il contesto di partenza, ma che va comunque tenuto bene a mente per comprendere la clamorosa eco che il film ebbe sin da subito a livello mediatico e per quello che significò per lo stesso Orson Welles, che non avrà più il completo controllo su una pellicola come nella sua opera prima.
Charles nasce in una famiglia povera del Colorado e si trasferisce a Chicago e poi a New York, seguito dal suo tutore legale, il banchiere Walter Parks Thatcher (George Coulouris). Il rapido montaggio ce lo mostra in pochi minuti bambino, che gioca sulla neve mentre i genitori e il tutore parlano del suo futuro (è la scena che viene citata da Woody Allen nel suo recente Rifkin's festival), e in poche battute già adulto. È questo il momento in cui compare per la prima volta Orson Welles: l'apparizione, dato il personaggio, è molto teatrale, e lo vediamo al centro dello schermo dopo un mezzo giro della sedia su cui è seduto.
Il montaggio continuerà ad alternare tempi e momenti della vita di Charles, dando spazio alla sua ascesa, dalla direzione del piccolo quotidiano Inquirer alla politica, dagli amori agli ultimi anni di vita.
Accanto a lui, l'amico e collega Jedediah Leland (Joseph Cotten), giornalista e critico teatrale, e il signor Bernstein (Everett Sloane), che lo aiuteranno ad aumentare vertiginosamente la tiratura dell'Inquirer e a sconfiggere la concorrenza, anche grazie all'ingaggio di tutta la redazione del Chronicle, riassunta splendidamente grazie ad un'ellissi che passa dalla foto alla realtà.
Ed è ancora il montaggio ad essere protagonista quando Welles racconta il primo matrimonio di Kane, con la figlia del presidente degli Stati Uniti, Emily Monroe Norton (Ruth Warrick). Il riassunto della degenerazione della loro unione è affidato a cinque colazioni (nell'edizione italiana, che qua e là effettua incomprensibili tagli, sono solo quattro), in cui i due passano da amabili conversazioni a confronti sempre più intolleranti verso l'altro.
Il film è passato alla storia anche per altri aspetti tecnici e registici, a partire dalle famose inquadrature dal basso, che rendono gli spazi più angusti e le figure giganti, secondo uno schema cinematografico-simbolico già adottato da Leni Riefenstahl per il suo Olympia (1938), quando aveva persino fatto scavare delle buche per inserire la mdp in modo da riprendere così gli atleti delle olimpiadi di Berlino del 1936.
Altrettanto famoso è il ricorso alla profondità di campo, possibile grazie al "panfocus", che permise a Welles di essere il primo regista a poter mettere a fuoco personaggi dislocati sulla scena dal proscenio allo sfondo. Una possibilità che, di conseguenza, gli fece evitare di strutturare le scene prevedendo la continua alternanza di campo e controcampo e spingendolo, così, a girare frequenti piano-sequenza.
E così, nel cinegiornale iniziale, quando vengono riassunte le gesta di Kane, lo si ricorda anche per le critiche dei suoi detrattori, capaci di accusarlo di comunismo e di nazismo al tempo stesso. Tra le immagini che scorrono, vediamo anche il fotomontaggio di Kane che dialoga con Hitler, un espediente, quello del protagonista ritratto con personalità dell'epoca, che rivedremo molti anni dopo in Zelig (Allen 1983) e in Forrest Gump (Spielberg 1994).

Tanti i movimenti di macchina che si potrebbero citare, dal carrello verticale iniziale già citato a quello all'indietro che dalla scena sulla neve in Colorado entra in casa della famiglia Kane, fino alla veduta a volo d'uccello sui depositi delle collezioni di Xanadu, analoga a quella di uno skyline urbano con le grandi casse visivamente equiparabili a palazzi e grattacieli. Un altro dei più notevoli è il finto piano-sequenza che porta la mdp dall'esterno, in una notte di pioggia, fino al tavolo all'interno del locale dov'è seduta Susan Alexander: la mdp sale in alto con un dolly e poi sembra attraversare il vetro del lucernaio fino a scendere in basso fino alla donna. A questo movimento, peraltro, seguirà alla fine del film lo stesso movimento a ritroso a chiudere il tutto in perfetta circolarità.
Da ricordare, infine, la famosissima immagine di Kane anziano che cammina nel suo castello e passa davanti ad un corridoio arredato di specchi che lo collocano in una mise en abyme che ne moltiplica la figura all'infinito, chiave di lettura dell'intera pellicola, per il suo io ingombrante e per la sua inevitabile solitudine.
Una passione, quella per la ripetizione dell'immagine attraverso il riflesso degli specchi, peraltro, che Orson Welles ripeterà anche nella scena della resa dei conti ne La signora di Shangai, anch'essa citata da Woody Allen, in Misterioso omicidio a Manhattan (1993).
La fotografia di Gregg Toland è un'altra eccellenza del film: fresco vincitore dell'Oscar per La voce nella tempesta (Wyler 1939), fu lui ad innovare il suo campo lavorando, tra gli altri, anche con John Ford e Erich von Stroheim. In Quarto potere, oltre alla notevole illuminazione della profondità di campo, si pensi ai fasci di luce che attraversano la redazione del giornale in cui, all'inizio della storia, si discute sul mistero Rosa bella, o nell'archivio dove Jerry Thompson consulta le memorie di Thatcher, e all'uso massiccio del grandangolo che rispondeva all'esigenza di "uguagliare la messa a fuoco di un normale occhio umano". 
Lo stesso vale per la sceneggiatura, la cui redazione durò tre mesi, e si generarono scontri tra Herman J. Mankiewicz e Welles, che poi ci rimise mano. Proprio sulla gestazione dello script è stato incentrato il recente Mank (Fincher 2020).
Tante le battute che delineano la personalità vulcanica e individualista di Kane, primo di una lunga serie di personaggi ingombranti interpretati da Orson Welles in carriera (Michael O'Hara, Arkadin, Otello, Quinlan, Harry Lime, ecc.). A partire dalla più celebre, probabilmente, diventata una vera e propria massima nel mondo del giornalismo; il protagonista la pronuncia per far capire al vecchio caporedattore dell'Inquirer la linea che egli vuol dare al giornale: "se il titolo è grande la notizia diventa subito importante". E sullo stesso argomento più avanti Charles dirà anche "io sono un'autorità su come far pensare la gente". La sua disillusione sconfina persino in un'apparente autocritica, che in realtà risulta essere soprattutto una provocazione per il suo tutore legale Thatcher: "se non fossi stato molto ricco sarei potuto diventare un grand'uomo".
Anche agli altri personaggi spetta qualche frase a effetto, come nel caso di Bernstein che commenta la vecchiaia, "questa è la sola malattia  della quale non ci si può illudere di venir curati"; a John Leland che, intervistato nell'ospizio in cui vive ormai vecchio - con in sottofondo l'Aria Sulla IV Corda di Johann Sebastian Bach -, sentenzia su Charles: "è morto senza credere a niente... dev'essere una cosa spiacevole".
La musica è l'ennesimo elemento di rilievo del film, e, oltre Bach e gli altri brani classici, la colonna sonora è affidata a Bernard Herrmann, il compositore che sarà il musicista-feticcio di Hitchcock e che esordì al cinema proprio con Citizen Kane
Per chiudere una recensione alla quale è difficile mettere un punto definitivo, un paio di notazioni sulla valenza delle ombre, argomento su cui recentemente è uscito un bel libro di Antonio Costa (Il richiamo dell'ombra. Il cinema e l'altro volto del visibile, Torino, Einaudi, 2020). Lo studioso, tra i tanti esempi cinematografici analizzati, ne affronta due ripresi proprio da Quarto Potere: uno è quello della sequenza del primo incontro di Charles con Susan, in cui Welles mette un po' di se stesso, mostrando il protagonista che utilizza le mani per le ombre cinesi. Allegoria del cinema, ça va sans dire, trappola fascinatrice in cui cade "la preda" di Kane, ma, aggiungerei, anche magia della prestidigitazione, passione mai sopita di Orson, che salì sul palco in queste vesti con un'assistente d'eccellenza come Marlene Dietrich. E va ricordato, se non bastasse, che un recente documentario sul regista si intitola proprio Il Mago - L'Incredibile Vita di Orson Welles (Workman 2014).
L'altro momento è quello in cui, quando ormai la relazione tra i due è compromessa, Charles impone alla moglie di continuare a cantare nonostante le sue forti incertezze dopo i fallimenti patiti, in un'imposizione della propria volontà che è ostentazione di potere e bisogno di controllo al tempo stesso, riassunte nell'imperiosa immagine in cui il suo corpo la sovrasta e le fa letteralmente ombra.
"Non basta una parola per spiegare la vita di un uomo", viene detto di Kane durante il film, e non ne bastano certo poco più di millecinquecento per parlare di Citizen Kane, ma spero sia già qualcosa...

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