Woody Allen ormai divide il pubblico in due: chi ne ama il passato, la prolificità e guarda con affetto il suo cinema più recente, apprezzandone gli acuti, ma tollerandone la mancanza di originalità, e chi, proprio in nome di un passato eccezionale, non accetta il suo cinema impostato su cliché e motivi che si ripetono immancabilmente.
Irrational man rappresenta l'ennesima conferma che il regista statunitense giochi con i suoi film come un bambino con le sue costruzioni: il suo è un cinema modulare, una sorta di Bauhaus del grande schermo, in cui i diversi elementi possono essere assemblati dando risultati simili ma mai identici.
Anche questa volta una giovane donna si innamora di un uomo molto più grande di lei, cosa che accadeva ad esempio già in Mariti e mogli (1992) e che si è ripetuta spessissimo nella filmografia di Woody Allen fino a Magic in the moonlight (2014). In quest'occasione, però, l'elemento sentimentale dell'intreccio, che l'anno scorso si era fuso con l'esoterismo, ripreso da film precedenti come Alice (1990), si unisce al noir e al tentativo del protagonista di mettere in atto un delitto perfetto, leitmotiv letterario (su tutti Delitto e castigo di Dostoevskij, di cui Allen stavolta ci mostra anche una copia) già scandagliato a fondo in pellicole come Match point (2005) e Sogni e delitti (2007). A condire il tutto si aggiunga la bella fotografia di Darius Khondji - ormai al suo quinto film col regista, dopo la scomparsa di Carlo di Palma - e il consueto e amato jazz di sottofondo della colonna sonora.
Abe Lucas (Joaquin Phoenix) è un professore di filosofia che giunge al Brailyn College di Newport nel Rhode Island, dove il suo fascino da misfit - ma senza scomodare John Huston - miete rapidamente un paio di vittime: la collega Rita Richards (Parker Posey), e la studentessa Jill (Emma Stone). Entrambe impegnate, mostrano un atteggiamento opposto di fronte alla consapevolezza della propria cotta: la prima, sposata con un professore del campus, è pronta a lasciare il marito pur di poter partire con Abe per la Spagna, coronando un sogno; la seconda è fidanzata col coetaneo Roy, ragazzo ordinario che sembra essere amato più dai suoi genitori che da lei stessa (un Antoine Doinel in versione anglosassone), a cui nega per molto tempo i sentimenti che prova per il professore.
Siamo lontani dalla filosofia di Ombre e nebbia (1991), forse la pellicola più "filosofica" di Woody Allen, cosicché le scene iniziali si limitano a qualche accenno didascalico su Kant, Kierkegaard, Husserl, citati da Abe nelle sue lezioni.
Il cinismo del professor Lucas si accompagna alla depressione e ad un blocco creativo ("ti serve una musa?" gli chiede la pressante Rita), che ne pregiudicano anche le prestazioni sessuali.
Tutto cambierà quando, dopo aver ascoltato fortuitamente le lamentele di una donna nei confronti del giudice Thomas Spangler, che avrebbe compiuto un abuso di potere ai suoi danni, deciderà di compiere il delitto perfetto. Avere un obiettivo di vita trasformerà Abe dandogli un entusiasmo che si manifesta anche nella relazione con Jill, fino ad allora limitatasi ad un'amicizia platonica nonostante le avance sempre più esplicite della studentessa, sorpresa da questa nuova e improvvisa energia del professor Lucas.
Naturalmente, però, come insegnano Hitchcock nella storia del cinema e Kant in quella della filosofia, con il suo imperativo categorico opposto a quello ipotetico, un delitto porta con sé una percentuale di indeterminatezza che lo renderà sempre imperfetto...
La pellicola scorre piacevolmente e a raccontarne la storia, in pieno accordo col didascalismo alleniano, contribuisce l'alternanza delle voci off di Abe e di Jill.
Non certo numerosissime le battute da ricordare, ma alcune, come sempre, colgono nel segno, cosicché la trasformazione di Abe nelle sue due opposte fasi si rispecchia nelle battute riservate a Joaquin Phoenix, che inizialmente è un nichilista che non esita a definire l'orgasmo un semplice "antidolorifico rassicurante", mentre dopo la svolta incalza il personaggio di Emma Stone con un pieno di vita "che cazzo è la speranza, Jill? Una stronzata! Bisogna agire!".
La storia del cinema è sempre presente e, oltre alle suggestioni già evidenziate, si sottolinea che la scena del primo bacio tra Abe e Jill avviene davanti ad uno specchio deformante di un luna park, possibile rimando allo splendido La signora di Shanghai (Welles 1940), già più fedelmente e didascalicamente ripreso in Misterioso omicidio a Manhattan (1993); Jill giustifica il proprio pensiero secondo cui un avvelenamento avvenga sempre con l'arsenico, per via dei "vecchi film", manifesta citazione di Arsenico e vecchi merletti (Capra 1944). È, però, soprattutto Alfred Hitchcock il manuale cinematografico a cui si affida Woody Allen, cosicché, proprio come spiegato dal "maestro del brivido" a Truffaut nel celebre libro-intervista, ogni individuo compirebbe un omicidio con quelle che potremmo chiamare le proprie competenze. Abe, quindi, autore di un importante saggio di etica situazionale, si avvarrà proprio della prossemica per raggiungere il suo obiettivo; ma non solo, poiché un piccolo oggetto - proprio come i tanti oggetti diegetici del grande Alfred (accendini, spille, bottiglie, bicchieri di latte, occhiali, forbici, solo per citarne alcuni) - avrà un grande valore narrativo all'interno della vicenda...
In fin dei conti, resta un fatto che l'annuale film di Woody Allen sia da decenni una certezza della stagione cinematografica e che Irrational Man sia il 45° lungometraggio del regista del Bronx: al pubblico decidere se di questo numero bisogna fargliene una colpa, un merito o semplicemente considerarla la sua vita. Per chi scrive è soprattutto una rassicurante e sempre valida coperta di Linus...
Naturalmente, però, come insegnano Hitchcock nella storia del cinema e Kant in quella della filosofia, con il suo imperativo categorico opposto a quello ipotetico, un delitto porta con sé una percentuale di indeterminatezza che lo renderà sempre imperfetto...
La pellicola scorre piacevolmente e a raccontarne la storia, in pieno accordo col didascalismo alleniano, contribuisce l'alternanza delle voci off di Abe e di Jill.
Non certo numerosissime le battute da ricordare, ma alcune, come sempre, colgono nel segno, cosicché la trasformazione di Abe nelle sue due opposte fasi si rispecchia nelle battute riservate a Joaquin Phoenix, che inizialmente è un nichilista che non esita a definire l'orgasmo un semplice "antidolorifico rassicurante", mentre dopo la svolta incalza il personaggio di Emma Stone con un pieno di vita "che cazzo è la speranza, Jill? Una stronzata! Bisogna agire!".
La storia del cinema è sempre presente e, oltre alle suggestioni già evidenziate, si sottolinea che la scena del primo bacio tra Abe e Jill avviene davanti ad uno specchio deformante di un luna park, possibile rimando allo splendido La signora di Shanghai (Welles 1940), già più fedelmente e didascalicamente ripreso in Misterioso omicidio a Manhattan (1993); Jill giustifica il proprio pensiero secondo cui un avvelenamento avvenga sempre con l'arsenico, per via dei "vecchi film", manifesta citazione di Arsenico e vecchi merletti (Capra 1944). È, però, soprattutto Alfred Hitchcock il manuale cinematografico a cui si affida Woody Allen, cosicché, proprio come spiegato dal "maestro del brivido" a Truffaut nel celebre libro-intervista, ogni individuo compirebbe un omicidio con quelle che potremmo chiamare le proprie competenze. Abe, quindi, autore di un importante saggio di etica situazionale, si avvarrà proprio della prossemica per raggiungere il suo obiettivo; ma non solo, poiché un piccolo oggetto - proprio come i tanti oggetti diegetici del grande Alfred (accendini, spille, bottiglie, bicchieri di latte, occhiali, forbici, solo per citarne alcuni) - avrà un grande valore narrativo all'interno della vicenda...
Concordo pienamente. Penso che i detrattori intelligenti di Allen siano quelli che non vanno più a vedere i suoi film. Andandoci bisogna avere lo spirito di chi sa che sta per assistere volontariamente ad una seduta di psicoterapia del regista aperta al pubblico. Il gioco è questo: prendere o lasciare. Io solitamente prendo, certa che ne uscirò divertita e rassicurata quanto basta. Anche questa volta è andata così: proprio come una coperta di Linus.
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