giovedì 14 gennaio 2016

Io la conoscevo bene (Pietrangeli 1965)

Uno dei tanti grandi film del cinema italiano anni Sessanta, in cui sullo sfondo del boom economico emerge la storia di un personaggio straordinario che tenta di trarre vantaggio da quel seducente progresso ma che, priva dei mezzi per far fronte ai lati negativi di quella società, soccomberà inevitabilmente.
La protagonista è interpretata da una giovanissima Stefania Sandrelli, bellissima, leggera e perfettamente diretta da quello che non a caso è stato celebrato come uno dei migliori registi di donne. Adriana è una ragazza che vive a Roma, in un appartamento di un palazzo aldilà di ponte Testaccio, in una zona allora in piena espansione. Lavora come parrucchiera ed estetista a Ostia - dove alterna i turni in negozio con la spiaggia, trovando del tutto normali le avance del datore di lavoro che arrivano puntuali a fine giornata -, ma anche come maschera all'Eurcine, sala ancora oggi attiva nella capitale. Di fatto accumula lavoretti instabili coltivando la speranza di successo nel mondo dello spettacolo, obiettivo per il quale è pronta a seguire i consigli di Cianfanna (Nino Manfredi), un faccendiere che le procura 'occasioni' misere a costi elevatissimi.
La sua vita sentimentale è fatta di relazioni fugaci, che ne evidenziano un continuo bisogno di calore e compagnia. Per questo è disposta a concedersi a chiunque la degni di una sia pur minima attenzione. La vediamo passare da Dario (Jean-Claude Brialy), un ragazzo che, dopo un romantico bagno in mare al chiar di luna e una notte passata insieme, la lascia sola in camera e con il conto da pagare; ad Emilio detto Bietolone (Mario Adorf), pugile corpulento e non troppo acuto, che ha su Adriana il fascino dello sconfitto; ad un letterato bohemien (Joachim Fuchsberger) che vive in una mansarda che si affaccia sui tetti del centro di Roma; al garagista Italo (Franco Nero) che ogni sera le parcheggia la 500 bianca.
Antonio Pietrangeli scrive insieme a Ruggero Maccari e Ettore Scola un'ottima sceneggiatura, attraverso la quale prende forma la leggerezza quasi inconsapevole di Adriana: sogna le differenze delle altre nazioni, con un semplicistico "all'estero dev'essere tutto diverso", a cui un ragazzo controbatte con un sarcastico cinismo tutto romano "n'amico mio in Belgio l'hanno schiaffato in galera"; si bea di fare il bagno di notte con un infantile "proprio dentro alla luna", quando cerca i raggi lunari che brillano sul pelo dell'acqua; non fa che sorridere quando un commissario le spiega che il 'suo' Dario è un ladro.  
Eppure Adriana ha una sua morale, che la rende irremovibile nei confronti di chi non le dimostra alcun tipo di affetto e vuole solo usarla senza nemmeno esporsi in prima persona. È significativo che in tutto il film solo due volte rifiuti di assecondare il corteggiamento degli uomini: nel primo caso ad Orvieto, quando Cianfanna le chiede di tornare a Roma con un commendatore, con cui si è precedentemente accordato; nel secondo quando, alla fine di una festa mondana, l'attore in disgrazia Bagini (un Ugo Tognazzi spettacolare) le rivela che il collega di successo, Roberto (Enrico Maria Salerno), vorrebbe passare la notte con lei. In entrambi i casi Adriana andrà via sprezzante nei confronti di uomini che non hanno il coraggio di parlarle direttamente e chiedono ad altri di farlo per loro, e preferirà la compagnia di giovani ben più poveri ma letteralmente rapiti dalla sua bellezza, i già citati Emilio "Bietolone" e il garagista Italo. 
In un altro frangente la protagonista appare improvvisamente più consapevole del solito, mentre il suo amante-scrittore le parla di Milena, un personaggio da lui ideato privo di interessi, volubile e incostante, che Adriana capisce presto essere ispirato a lei: "sono così? Una specie di deficiente" - chiede - e l'uomo le risponde con un leopardiano "ma no, al contrario, forse sei tu la più saggia di tutti".
La vita sembra prenderla in giro, ma lei non fa nulla per evitarlo... così le capita di venire attentamente truccata per uno spot pubblicitario di scarpe, durante il quale poi verrà beffardamente inquadrata dai piedi alle ginocchia; oppure di tornare al cinema in cui lavorava come maschera per vedere con le colleghe un servizio che la riguarda, ma che si rivelerà essere una sorta di messaggio che deride le donne-copertina, belle e senza cervello (potere del montaggio!).  
Del passato di Adriana ci vengono riservati solo pochi indizi, perlopiù narrati da flashback improvvisi che la sua memoria elabora e che, per esempio, ci mostrano una violenza subita o i ricordi della processione di sant'Antonio nel suo paese d'origine.
In una sola breve scena la si vede a contatto con la propria famiglia nella campagna pistoiese, dove si reca proprio perché sollecitata da un ricordo. In pochissimi minuti Pietrangeli riassume un contesto di totale povertà e malattia, dal quale Adriana è fuggita, come la madre non manca di farle pesare, soprattutto ora che la sorella Serenella è morta e i due anziani genitori sono rimasti soli e tristi con un figlio disabile.
Anche di fronte al dramma di un aborto Adriana reagisce con un'irreale apatia, del tutto paragonabile alle reazioni asettiche che qualche anno dopo avrà la Catherine Deneuve de La mia droga si chiama Julie (Truffaut 1969) o molto più in là la protagonista di Giovane e bella (Ozon 2013), e si fa consigliare da Barbara, che sembra essere a metà tra un'amica e un'impresaria di giovani ragazze come lei, che con cinismo regola la pratica di una gravidanza casuale e i dubbi di portarla avanti o meno con uno sbrigativo "se vuoi dar da mangiare tutta la vita a un estraneo che appena ti entra nell'età della ragione ti comincia a far domande e a recriminare, padronissima..."
Anche se meno impassibile, non mostrerà troppo coinvolgimento nemmeno quando Antonio, per il quale sembra provare qualcosa, la sfrutta per telefonare ad una ragazza di cui è innamorato, subito dopo aver fatto l'amore.
La sua malinconia e il suo mal di vivere, però, diventano più evidenti quando rimane sola nel suo appartamento, in cui Pietrangeli la immortala in una bellissima immagine che la vede come  un Pierrot al femminile, con il mascara che le cola sulle gote misto alle lacrime, davanti allo specchio, prima di ballare con l'adolescente figlio del portiere, ennesimo momento lirico del film. 

La regia di Pietrangeli è di alto profilo e spesso la mdp cattura l'attenzione: un esempio magnifico è quello della passeggiata serale di Adriana e Bietolone, dopo l'incontro di quest'ultimo, dove il regista riprende i due ragazzi dal basso, davanti alla mole del duomo di Orvieto che si staglia sullo sfondo, in un'inquadratura che ricorda tante scene del cinema di Orson Welles, e in cui emerge ancor di più la bella fotografia di Armando Nannuzzi.
Il film indaga una realtà sociale complessa e impopolare, un'ombra nella presunta "perfezione" dettata dal benessere economico. In tal senso è possibile interpretare anche l'incidente che vede coinvolto un ciclista investito da un camion che trasporta cavalli. Non è forse un caso che si incrocino proprio i vecchi mezzi di trasporto (bicicletta e cavalli) con quello più nuovo e che quest'ultimo appaia maggiormente dannoso, secondo un topos che nel cinema italiano era stato sviluppato almeno a partire da Il sorpasso (Risi 1962).
A stemperare i toni, comunque, si affianca ai temi più profondi la verve della commedia, come dimostra la divertentissima scena nella redazione del quindicinale sul quale Cianfanna ottiene un breve articolo su Adriana come astro nascente dello spettacolo. L'anziano giornalista che scrive il pezzo sul momento, quasi sotto la dettatura dello scalcagnato impresario, dopo aver fatto tardi per la cena, decide di portare fuori la moglie, alla quale riserva un tagliente "Luise', lo sappiamo tutti e due che non hai mai saputo cucina' ".
Ha toni simili la sequenza in cui Adriana è a lezione di dizione, dove la rigida insegnante con impostazione teatrale si ritrova con una classe davvero mal assortita, a cui fa ripetere una filastrocca con vocali aperte e chiuse da manuale: "lèttera affettuósa di schèrno con bistècca", che Pietrangeli prima rende divertente e poi alienante, grazie ad una ripetizione ossessiva e sempre più veloce assecondata dalla mdp che gira sempre più vorticosamente.
Con una simile, pur se molto più lenta, panoramica a 360°, si chiude una delle sequenze più taglienti e significative dell'intero film: Adriana è ad una festa del 'mondo dello spettacolo' a casa di Paganelli (Franco Fabrizi), un uomo laido che organizza serate come quella dietro pagamento, in cui tra gli invitati ci sono due personaggi già citati, la star da tutti ammirata - spesso per calcolato interesse - Roberto (Enrico Maria Salerno), e il personaggio caduto in disgrazia Bagini (Ugo Tognazzi), che pur di trovare una scrittura si presta ad essere messo in ridicolo da tutti i presenti, ballando uno scatenato tip tap su un tavolo e prestandosi a fare da intermediario per Roberto proprio con la bella Adriana. Sarà costretto a comunicare il rifiuto di quest'ultima al collega di successo, elemosinando una parte nel suo prossimo film aggrappandosi all'auto già in movimento, che il regista segue con la mdp accrescendo la portata della miseria morale di Bagini.
Ad evidenziare i diversi toni del film contribuisce in maniera determinante la bella colonna sonora di Piero Piccioni, cui si aggiungono le molti canzoni di musica leggera del momento, quasi sempre diegeticamente inserite in scena con l'escamotage del difettoso giradischi che Adriana fa funzionare a pedate (E se domaniEclisse twist Addio - Mina; Le stelle d'oro e Roberta - Peppino di Capri; Abbracciami forte - Ornella Vanoni; Oggi è domenica per noi, Mani bucate e Dimmi la verità - Sergio Endrigo; Sweet William e What Am I Living For? - Millie; More e Toi - Gilbert Becaud; Ogni giorno che passa - Mia Gemberg; Surf della frusta - Gino Marinacci; Lasciati baciare col letkiss - gemelle Kessler; Letkiss - Yvar Sauna). Proprio sulle note di Toi di Becaud, peraltro, Pietrangeli ci regala una veduta in movimento di Roma (vedi), seguendo Adriana che guida la sua 500 attraversando la città da nord (Ponte delle Aquile, Villaggio Olimpico, Piazza Euclide), passando per il centro (ambasciata USA in via Veneto, piazza Barberini, via di San Gregorio con l'Arco di Costantino e il Colosseo sullo sfondo), e a sud, fino ad arrivare a casa (Piramide, Testaccio e il ponte che conduce a lungotevere Portuense, con il Gazometro sullo sfondo), 
Un'ultima riflessione sulla grande idea narrativa racchiusa nel titolo, frase fatta tipica degli articoli o dei servizi televisivi per gli eventi di cronaca, che con la coniugazione all'imperfetto rivela sin dall'inizio cosa accadrà. Non c'è spoiler, come ci si affannerebbe a dire oggi, nessuna ricerca dell'effetto sorpresa, ma spostamento dell'attenzione sulla vita di Adriana... fino al finale in cui la finestra del suo appartamento è immagine incorniciata di una realtà agognata ma mai raggiunta e che sembra confermare la definizione di Roland Barthes: "l'immagine è ciò da cui io sono escluso".

1 commento:

  1. perfetto. Uno dei miei film preferiti. Recensione in assoluta conformità con la malinconica bellezza del film. Mi piace quando ti occupi di pellicole antiche

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