giovedì 31 dicembre 2015

Francofonia (Sokurov 2015)

Non so se, come dice uno dei commenti del trailer italiano di Francofonia, il nuovo film di Alexsandr Sokurov sia un'opera d'arte o meno, ma sicuramente è una pellicola da far vedere nelle scuole per la sua capacità di cogliere il legame dell'arte con la vita, con la storia, e soprattutto di spiegare l'importanza della tutela delle opere del passato ai posteri, in un momento in cui, spesso anche per gli addetti ai lavori, questa parola sembra aver perso il suo valore appannaggio di termini molto più dozzinali come valorizzazione, inteso come "esibizionismo" della cosa pubblica.
Il regista russo, peraltro, sembra voler davvero colpire questo sistema invalso negli ultimi decenni di esporre continuamente le opere in tutto il mondo, esponendole a rischi continui, invece di far spostare le persone nei luoghi in cui sono conservate, con una frase quanto mai eloquente, inserita dalla sceneggiatura nei primissimi minuti: "è immorale sballottare l'arte per l'oceano".
Il film, dalla preziosa valenza didattica, spiega attraverso le immagini e le parole l'importanza dell'istituzione-museo da intendere come proprietà della collettività, elemento identitario di un paese, ma allo stesso tempo le sue connessioni col potere.

Sokurov, dopo aver splendidamente omaggiato l'Ermitage di San Pietroburgo nell'Arca russa (2002), compie un'operazione simile con il Louvre, raccontando a suo modo l'arrivo dei nazisti a Parigi e il loro rapporto col museo più celebre del mondo.
I due film e i due musei vengono significativamente apparentati da una delle frasi che la sceneggiatura riserva alla voce narrante (in italiano un magnifico Umberto Orsini), che precisa "chi vorrebbe una Francia senza Louvre, o una Russia senza Ermitage?"
Del 14 giugno 1940, Sokurov unisce filmati d'epoca - vediamo Hitler scortato sugli Champs Elysées o davanti alla Torre Eiffel, anche se i sottotitoli giocano con le parole del führer che si guarda intorno come per cercare proprio il Louvre -, alternati a sequenze girate per l'occasione che raccontano l'incontro e le conversazioni dell'allora direttore del museo, Jacques Jaujard (1895-1967), con Franz Metternich (1893-1978), storico dell'arte e direttore del Provinzalkonservator dell'arte per la Germania tra 1940 e 1942, finché la voce off del regista parla con loro per raccontargli - a loro, ma con un artificio retorico soprattutto allo spettatore - come proseguirà la loro vita dalla fine della guerra in poi. Più di una volta la parte in costume si fonde con i nostri giorni ed è particolarmente significativo che in uno di questi casi vediamo i due uomini passeggiare tra i bambini di una scuola, i cittadini di domani, quelli a cui, per missione precipua dei musei, dovrebbe essere tramandato il patrimonio. 

La bellissima fotografia di Bruno Delbonnel (già più volte candidato all'Oscar, recentemente con A proposito di Davis - Coen 2013) contribuisce all'eccezionalità estetica delle immagini, che indugiano con estrema lentezza sui dettagli delle opere, fino a mostrarci la trasparenza e la luminosità del marmo, o una panoramica a 360° dal tetto del palazzo.
Ad accompagnare lo spettatore nel Louvre raccontato da Sokurov, ci sono due presenze, dei fantasmi quantomai simbolici: Napoleone, il suo ideatore, e la Marianne, personificazione della libertà repubblicana francese. Entrambi interagiscono con la voce narrante, il primo tronfio ed orgoglioso per quanto ha accumulato, si vanta delle navi fatte arrivare dalla Siria e dagli altri territori da lui conquistati, e si fa vedere davanti ai celebri dipinti che lo ritraggono (da L'incoronazione di Jacques-Louis David al Valico delle Alpi di Paul Delaroche, che lo immortala a cavallo di un asino, in maniera molto meno trionfante, come non manca di sottolineare la voce off che lo becca a riguardo); la seconda corre da una sala all'altra, passando davanti a tanti capolavori e soprattutto a La libertà guida il popolo di Delacroix e a La zattera della Medusa di Théodore Géricault, ripetendo in maniera ossessiva le tre parole del motto nazionale, Liberté, Égalité, Fraternité.
La pellicola, forse in un eccesso didattico e ricorrendo persino ad una resa grafica tipica dei filmati museali, ricostruisce anche la storia architettonica dell'edificio, dall'origine della fortezza medievale al progetto di Pierre Lescot nel Cinquecento, fino al Grand Louvre e alla piramide di vetro di Ieoh Ming Pei.
La storia portante, però, resta quella dell'occupazione tedesca durante la Seconda guerra mondiale e racconta in maniera dettagliata il sostegno a Hitler del Governo di Vichy capeggiato da Philippe Pétain - in un'alleanza contro lo spauracchio russo, sottolinea Sokurov -, le seimila casse di opere d'arte ricoverate lontano dal Louvre per evitargli i rischi di un bombardamento ("i musei avevano il presentimento della guerra").
Anche in questo caso il parallelo con la storia dell'Ermitage è inevitabile e Sokurov mostra le incredibili immagini di repertorio che immortalano le sale del museo russo tra le cornici vuote dei dipinti... tutto questo ha un fascino incredibile, come l'intero film, ma è l'ennesima conferma che "le ragioni di Stato coincidono raramente con quelle dell'arte".
Un film da vedere, per le sue immagini, per la sua cultura, per la sua memoria, per i suoi attualissimi messaggi!

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