martedì 27 maggio 2014

Snatch (Ritchie 2000)


Ed ecco, dopo essersi aggiudicato il primo sondaggio votato dai lettori di questo blog, la recensione di Snatch...

È il film che ha consacrato Guy Ritchie come regista, dopo Lock & Stock (1998). Presentato in Italia con il sottotitolo Lo strappo, la cui inutilità è confermata dal fatto che non credo ci sia persona che lo ricordi con quello e non con il titolo inglese, il film alla sua uscita divenne subito un cult.
Tra i principali motivi del suo successo ci sono sicuramente il montaggio, serratissimo, una regia ai limiti del videoclip e un ottimo cast, ben sorretto dalla buona sceneggiatura firmata dallo stesso regista britannico, nonché la bella colonna sonora, in cui domina il tormentone Diamond dei Klint, ma che contiene anche Golden Brown degli Stranglers e Lucky star, uno dei primi successi di Madonna, che poco dopo l'uscita del film sposò proprio Guy Ritchie.
Tutto questo contribuisce a tenere alta l'attenzione dello spettatore che viene accompagnato in una storia di traffico di diamanti davvero ricca di personaggi e di situazioni surreali ambientate tra Anversa, Londra e New York.

Sin dai titoli di testa si ha la percezione del cult: la sequenza della rapina guidata da 'Frankie quattro dita' (Benicio del Toro) è da consegnare ai posteri. Ritchie aggiorna in qualche modo la versione avaryana del travestimento e, al posto delle maschere dei presidenti USA, la squadra di malviventi entra nella banca di Anversa abbigliata come una piccola comunità di ebrei ortodossi. Il momento è esilarante, e non solo per l'aspetto dei rapinatori, ma anche per le battute che questi sì scambiano, cosicché, ormai entrati nella parte, discutono di questioni religiose dal punto di vista esegetico e ironizzando sull'origine del cristianesimo, che dicono essere frutto di un'idea poco credibile, quella della verginità di Maria, sommata a 200 anni di storia ("la religione cattolica è basata su un'errata traduzione").

Tutti i personaggi che sì alternano come protagonisti delle vicende narrate sono delineati con gran cura e con un taglio quasi fumettistico: i due principali sono il Turco (Jason Statham), che è anche il narratore, e il suo collaboratore Tommy (Stephen Graham), impresari di incontri clandestini di boxe e proprietari di una sala di slot machine. È proprio il Turco a spiegare l'origine dei loro nomi, in un inizio in cui la sceneggiatura dà il meglio di sé: "mi chiamo Turco. Buffo nome per un inglese lo so, i miei genitori erano su un aereo che è caduto, è cosi che si sono incontrati [...] non sono molti ad avere preso il nome da un incidente aereo. Lui è Tommy, dice che gli hanno dato il nome di un fucile, ma io so che in realtà era il nome di una famoso ballerino classico del ’900..."
Tra gli altri indimenticabili personaggi vanno menzionati anche il russo Boris 'Lametta' (Rade Serbedzija), "storto come la falce sovietica e duro come il martello che la incrocia"; 'Testarossa' (Alan Ford), che gestisce scommesse su incontri di boxe e combattimenti tra cani; il gioielliere Abraham 'cugino Avi' (Dennis Farina). Completano la galleria, tra gli altri, Sol (Lennie James) e Vinny (Robbie Gee), che hanno un banco di pegni e sognano di impossessarsi dei diamanti, aiutati dal corpulento Tyrone (Ade Roach), inspiegabilmente specializzato in fughe, e infine Tony (Vinnie Jones, che per l'interpretazione ha vinto anche l'Empire Award come miglior attore britannico).
Un discorso a parte merita il personaggio di Mickey O'Neil, interpretato da uno straordinario Brad Pitt, un irlandese che vive in un campo rom, caratterizzato da uno slang slavo-irish-inglese che lo rende spesso incomprensibile  e sul quale è stato eccezionale anche il lavoro di doppiaggio dell'edizione italiana (l'ottimo doppiatore di Pitt è Sandro Acerbo).
Sarebbe impossibile e specioso seguire tutti gli eventi che si susseguono senza soluzione di continuità, ma le azioni di Mickey non passano certo inosservate. Dopo aver abbattuto il gigante George 'Meraviglia', uomo fidato del Turco, a Mickey viene chiesto di partecipare al suo posto ad un match di pugilato truccato organizzato dal temibile Testarossa, boss che alleva maiali perché capaci di far sparire un corpo di cento chili in soli otto minuti. Naturalmente il "consiglio" di andare al tappeto alla quarta ripresa non verrà rispettato dall'ingestibile irlandese e le conseguenze andranno ad aggrovigliare una trama già complessa, cui si aggiungono vendette, doppi giochi e colpi di scena.

In Snatch c'è molto dello stile di Quentin Tarantino, dall'ironia graffiante di tutti i personaggi, sempre sopra le righe, al modo di dirigere di Guy Ritchie. Solo per fare un esempio, l'apertura dei portabagagli delle automobili viene sempre inquadrata dall'interno, secondo uno schema che costituisce una sorta di firma nascosta dei film del grande regista di Pulp Fiction, evidente punto di riferimento nella costruzione del film. Tra i rimandi più evidenti c'è anche Trainspotting, altro film che appare evocato in più frangenti e di cui viene riproposto anche uno degli attori protagonisti, Ewen Bremner, che qui interpreta il giovane Mullet.
Ma Ritchie, nella sua direzione, oltre ad un montaggio rutilante, per seguire la molteplicità delle azioni sfrutta anche l'ormai datato split-screen, così diffuso negli anni '70, da qualche anno tornato di moda e mai abbandonato da Brian De Palma.
Un capolavoro assoluto di montaggio è la sequenza dell'inseguimento, che coinvolge ben tre auto: basta il lancio di un cartone di latte dal finestrino per scatenare una serie di reazioni a catena, che comprendiamo esattamente solo dopo aver rivisto la scena tre volte, ognuna dall'interno di una diversa auto.
Il finale è imperdibile, e per chi non lo ricordasse o non l'avesse visto, dico solo di tener d'occhio il solito Mickey e il cagnolino di Vinnie...

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