Un film-gioiellino di Ermanno Olmi, che con quest'opera firma il suo secondo lungometraggio, presentato a Venezia, dove vinse il premio della critica e diede di fatto inizio alla sua lunga carriera.
Il posto del titolo si riferisce a quello di lavoro, come precisa la didascalica in sovrimpressione che fa da necessaria premessa alla storia narrata: «Per la gente che vive nelle cittadine e nei paesi della Lombardia, intorno alla grande città, Milano significa soprattutto il posto di lavoro».
È proprio una realtà di provincia quella da cui parte la vicenda di Domenico Cantoni, giovane figlio pigro di una coppia di contadini, che vediamo faticare al risveglio ripreso dal padre e coccolato dalla madre, in una casa immersa nella campagna a Meda (oggi Monza e Brianza). Sono giorni di grande apprensione per la famiglia rispetto al suo futuro, poiché Domenico deve affrontare un concorso per ottenere un lavoro in un'azienda della grande città, a cui è stato ammesso grazie ad una conoscenza del padre. Ma questo dettaglio, appena accennato, non è l'unico ad apparire attualissimo, poiché la madre, con un mantra che sembra essere rimasto invariato da un secolo a questa parte (e chissà, forse anche di più), si raccomanda con un eloquente "se entri lì, hai un posto sicuro tutta la vita".
Nel palazzone di Milano, le "consuetudini" della nostra cultura del lavoro, continuano a ripetersi, e nella sala d'attesa Domenico osserva il caso di un candidato raccomandato accompagnato dalla madre oppressiva che conosce "l'ingegnere", con il quale si ferma a dialogare.
Il terrore dei ragazzi è la prova "psico-tecnica" (quella che oggi sarebbe la prova psico-attitudinale), ma l'esame scritto è un semplice problema di logica e frazioni, che mette in crisi quasi tutti, fatta eccezione per il singolo - un'altra certezza di queste occasioni che Olmi coglie pienamente - che consegna dopo un minuto guardando in maniera tronfia gli altri candidati in difficoltà.
Domenico, però, sembra molto più interessato alla coetanea Antonietta, con cui riesce ad interagire a pranzo rivolgendole la parola e invitandola a prendere un caffè. I due passano parte del pomeriggio insieme, chiacchierando dell'ansia ricevuta dai genitori rispetto all'esame e delle loro aspettative. La mdp li segue in giro per una Milano in costruzione, figlia del boom economico di quegli anni, con grandi cantieri aperti, e con una freschezza narrativa evidentemente desunta dalla nouvelle vague francese di quegli anni, a cui contribuisce anche il vezzo di Antonietta che rivela di farsi chiamare Magalì poiché le piace di più lasciando sorpresissimo il giovane collega (a tratti sembra di vedere i capolavori di Rohmer, Truffaut, Rivette, ecc.). Dopo la seconda parte dell'esame i due restano insieme e Domenico, quando riparte in treno per tornare a casa, è palesemente entusiasta della sua nuova conoscenza e canta per tutto il viaggio Piove di Modugno.
La seconda parte del film, chiusa questa digressione romantica, inizia con l'assunzione di Domenico al quale, data l'assenza di posti sufficienti nel profilo per cui ha concorso, viene proposto di iniziare come fattorino d'anticamera, nell'attesa si liberi qualche posto. Il ragazzo non facendo molto caso al declassamento, se non quando incontra Antonietta a cui si vergogna di dire la verità, andrà avanti finché non arriverà il suo momento...
È un Olmi amaro sul mondo del lavoro, implacabile nell'evidenziare le bassezze tra colleghi e i tanti luoghi comuni, sempre validi, in cui ognuno di noi può riconoscere molte similitudini con quello che accade ancora oggi, perché dinamiche probabilmente inevitabili quando individui con formazione familiare, culturale e sociale diverse si trovano a contatto in contesti in cui l'obiettivo comune non è poi così chiaro.
È un Olmi amaro sul mondo del lavoro, implacabile nell'evidenziare le bassezze tra colleghi e i tanti luoghi comuni, sempre validi, in cui ognuno di noi può riconoscere molte similitudini con quello che accade ancora oggi, perché dinamiche probabilmente inevitabili quando individui con formazione familiare, culturale e sociale diverse si trovano a contatto in contesti in cui l'obiettivo comune non è poi così chiaro.
Tutta la seconda parte del film ha questo tenore: tutti si spiano, si guardano torvi, parlano male degli altri appena qualcuno non c'è o si allontana ("quello è un trombetta", parlando di un leccapiedi). Eppure c'è il pensionato che non riesce a lasciare il posto di lavoro e torna tutti i giorni a farsi vedere, suscitando l'ironia dei colleghi, che invece vorrebbero andare in pensione come lui, ma che a loro dire, certo non si farebbero vedere più!
Lo stesso Domenico viene spiato appena assunto da alcune colleghe degli uffici che si interessano al suo aspetto e non certo alla sua attività lavorativa ("carino, giovane giovane") e proprio a lui un ragioniere dice "si troverà bene, è come una famiglia", contraddicendo dal punto di vista formale tutto quello che il film evidenzia e gettando l'ennesima ombra cupa su quel posto di lavoro...
Gli attori Sandro Panseri e Loredana Detto funzionano nella loro sensazione di continuo smarrimento e, tra gli altri personaggi, compare nel ruolo di esaminatore pisco-tecnico il critico cinematografico Tullio Kezich.
La sceneggiatura, firmata dallo stesso regista bergamasco, è davvero buona e regala alcune perle che verrebbe voglia di imparare a memoria... Il fattorino d'anticamera che prende in consegna Domenico, per esempio, è il classico impiegato disilluso che per anni è stato trattato come appartenente a quella che potrebbe essere definita "servitù del terziario". Decenni passati in questo modo lo hanno incattivito ed è forse anche per questo che in una sequenza offre i suoi singolari "suggerimenti" al giovane dopo che qualche funzionario ha fatto suonare l'interfono: "lascia che suonino. Quando son stufi di suonare, la piantano! Qui, deve sapere, c'è una brutta abitudine: l'urgenza. Hanno tutti premura. Bè, se hanno premura, invece di star lì tutto il giorno seduti, che vadano fuori a prendere un po' d'aria fresca, che ci fa bene alla salute!"
Olmi, però, dà il meglio di sé nel rendere tutto ancora più amaro, squallido e triste, in due sequenze: quella del veglione di Capodanno al dopolavoro aziendali, in cui Domenico aspetta invano Antonietta e si ritrova con colleghi molto più anziani di lui, e soprattutto con quella dell'approdo all'agognata scrivania. Domenico passa di livello quando un collega muore, momento su cui il regista indugia dettagliatamente, mostrandoci i colleghi che svuotano i cassetti facendo commenti sui singoli oggetti, mentre un altro collega non trova di meglio da fare, in un'ultima "bassezza da ufficio", di andare a lamentarsi con il capo perché la scrivania in questione viene assegnata all'ultimo arrivato, mentre lui è da trent'anni che è in fondo...
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