sabato 7 marzo 2020

Memorie di un assassino (Bong Joon-ho 2003)

Sull'onda dell'entusiasmo per il bellissimo Parasite, trionfatore agli Oscar di quest'anno con quattro statuette vinte, è stato distribuito nelle nostre sale anche uno dei sei precedenti lungometraggi di Bong Jon Ho, quello con cui è salito alla ribalta in patria e non solo (trailer).
Impossibile paragonare le due pellicole, molto più acerba la prima e decisamente più complessa e meglio girata e realizzata la seconda, ma la politica degli autori non tradisce e, anche nel film del 2003, si vedono elementi caratteristici della poetica del regista coreano.
Memorie di un assassino è l'adattamento dell'opera teatrale Come to See Me del poeta e drammaturgo Kim Kwang-lim, ispirata alle vicende relative al primo serial killer coreano noto che, tra 1986 e 1991, uccise diverse persone a Hwaseong, nella provincia di Gyeonggi.
Forse anche per il grande richiamo del fatto di cronaca, la pellicola è stata tra le più celebrate dei primi anni Duemila in Corea, sia dal pubblico, sia dalla critica, che nel 2003 gli ha conferito riconoscimenti ovunque: in Corea, ai Grand Bell Awards, ha vinto miglior film, regia e attore protagonista; è stato premiato come miglior film asiatico al Tokyo International Film Festival; per sceneggiatura e pubblico al Torino Film Festival; Bong è stato il miglior nuovo regista al Festival di San Sebastián.
È un film di genere, un poliziesco che inizia come ci si aspetta, con il ritrovamento di un cadavere, e prosegue con le indagini per scoprire l'assassino. Il tutto però è raccontato con ironia, sarcasmo e con tanti dettagli politicamente scorretti che sono cifra stilistica del regista.
La polizia scientifica è superficiale e pressapochista, e giunge sulla scena del crimine quando ormai la situazione è compromessa; il detective Park Du-man (Song Kang-ho) prende per colpevole un uomo che ha la sfortuna di essere deforme e con evidenti ritardi mentale, solo perché seguiva spesso la giovane vittima.
I suoi metodi sono brutali e raffazzonati, e non è da meglio il suo collega Cho Yong-gu (Kim Roe-ha), cosicché l'arrivo di un nuovo detective, Seo Tae-yun (Kim Sang-kyung), molto più riflessivo e meno irruento, genera una diffidenza continua per le opposte linee di condotta e di azione nel caso. Park Du-man non difetta in chiarezza e lo mette subito in guardia: "il nostro paese è piccolo quando il nostro pisello", e questo solo perché a suo avviso non servono geni, i criminali si prendono a piedi, non come negli Stati Uniti. 
La sua pista è piuttosto semplice, deve essere un uomo senza peli pubici perché non ne sono stati trovati intorno al cadavere (sic), eppure una collega del comando di polizia, demansionata su base sessista, ne ha un'altra, poiché ha notato un ascoltatore chiedere spesso la stessa canzone malinconica, Sad letter, ad un'emittente radiofonica, nei giorni che sembrano coincidere con diversi delitti...

La vicenda è ambientata nel 1986 e Bong la contestualizza facendo giocare i suoi personaggi a Track & Field (1983), facendogli vedere Brivido caldo (1981), e anche la colonna sonora, che tanto ricorda le musiche di John Carpenter per i suoi film, rimanda all'immaginario di quegli anni. 
Come visto più recentemente in Parasite, il cineasta coreano non disdegna il grottesco che spesso travalica i confini del pulp, come appare evidente in un'ellissi che dopo il volto della ragazza morta inquadra una fetta di carne sulla bistecchiera...
La pellicola si trasforma tra la prima e seconda parte, e da commedia un po' confusionaria diventa un thriller poliziesco ben più puntuale; non mantiene sempre lo stesso ritmo e probabilmente alcune parti avrebbero dovuto essere snellite, ma le idee sono molte e lo rendono davvero interessante.
I cliché del genere ci sono tutti, dal contrasto tra poliziotti di diverso temperamento alla diffidenza per la norma - "si comporta da persona per bene, ma tutti i pervertiti sono così", viene detto di uno dei sospettati -, dalle diverse piste da seguire ai dettagli macabro-ossessivi come i pezzi di pesca trovati nella vagina di una delle vittime, fino a, dato il contesto orientale, i calci volanti alla Bruce Lee da parte dei poliziotti più "diretti".
Tante le influenze percepibili, a partire da Il silenzio degli innocenti (Demme 1991) a Seven (Fincher 1995) e a Fargo (Coen 1996), solo per citare i thriller occidentali.
La regia è buona e offre, in nuce, quello che sarà anni dopo lo stile di Bong, che gioca molto con le lenti bifocali, indicando allo spettatore dove focalizzare l'attenzione, e gira una bellissima sequenza, tra pioggia e surcadrage, all'ingresso di una galleria ferroviaria, dove si ritrovano i due detective Park e Seo, improvvisamente a ruoli invertiti, e il potenziale colpevole... ma quando le cose non tornano, anche i più razionali e i più assennati possono diventare violenti e irrazionali, davanti a "una faccia comune, una faccia normale".
...e attenzione al bellissimo finale sull'ironia del caso, sul rimpianto e sull'accettazione della sconfitta.  Una malinconia tutta orientale che non potrà lasciarvi indifferenti.

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