giovedì 8 aprile 2021

Elegia americana (Howard 2020)

Ron Howard non sorprende e con Elegia americana realizza l'ennesima pellicola ben confezionata e ben recitata, ma che segue schemi e situazioni trite e ritrite, raccontando l'ideale del sogno americano, già suggerito nel titolo e tanto più esaltato se raggiunto dopo mille difficoltà.
Il soggetto è tratto dall'omonimo libro autobiografico di James David Vance (Hillbilly Elegy, 2016), che "ce l'ha fatta" pur essendo cresciuto in una famiglia complicata, senza un padre, con una madre instabile, i nonni e la sorella maggiore (trailer).
1997. Una voce off ci racconta che quello era un anno di prosperità mentre vediamo la famiglia Vance, residente a Middletown, in Ohio, in campeggio nel confinante Kentucky, a Jackson.
È a quel punto che una seconda voce off, quella del piccolo J. D. (Owen Asztalos), narra in soggettiva la sua estate, bullizzato dagli altri ragazzi e salvato dagli adulti, tra cui spiccano sua madre Bev (Amy Adams) e la nonna Mamaw (Glenn Close).
È da qui che il montaggio di James D. Wilcox inizia a ricorrere alla sua forma ellittica per riassumere i continui passaggi temporali, un espediente ripetuto più volte nel corso del film e tra i caratteri più prevedibili della narrazione. Se poi aggiungiamo che J. D., prima di essere vessato dai compagni, accudisce una tartaruga con il carapace danneggiato, il tentativo di fare entrare lo spettatore in empatia con il protagonista risulta davvero di grana grossa.
Il solito montaggio abbatte il tempo, passando spesso attraverso momenti in cui vediamo J. D. arruolato tra i marine e poi a Yale, dov'è fidanzato con Usha (Freida Pinto) e fa tre lavori per permettersi la retta universitaria. Il segmento narrativo principale si ferma a questo punto della sua biografia: siamo nel 2011 e, proprio mentre il giovane legale si sta barcamenando tra possibili futuri impieghi di prestigio, una telefonata della sorella, Lindsay (Haley Bennett), lo informa che sua madre è stata ricoverata per overdose di eroina...
Le interpretazioni di Amy Adams e Glenn Close sono la cosa migliore del film: la prima veste i panni di una donna che, data la sua dipendenza, passa in un batter d'occhio da atteggiamenti amorevoli a violenti e fuori controllo; la seconda, candidata all'Oscar come migliore attrice non protagonista, è una maschera nel ruolo della nonna, il suo volto è quasi irriconoscibile e a lei viene riservata la citazione cinematografica più evidente del film: Mamaw ama Terminator al punto da recitarne a memoria alcune battute.
Il cinema compare anche in uno degli innumerevoli flashback, con il poster di Casino (Scorsese 1995) appeso in casa di Bev, dettaglio che serve a dare una cronologia degli eventi, così come la musica (in un'altra sequenza anni ambientata negli '90, ad esempio, ascoltiamo una canzone di Whitney Houston).
Bev è una ragazza madre; ha dovuto interrompere la sua brillante carriera scolastica perché rimasta incinta: soffre ancora per questo e, pur avendo voluto che il figlio continuasse gli studi, spesso reagisce da donna repressa e complessata, criticandolo perché a suo avviso vuole mostrarsi superiore a lei solo perché ha studiato di più. È stata un'infermiera, ma ha perso il posto per le sue intemperanze; è crollata più della madre quando suo padre è morto; e oggi si rifiuta di andare in una clinica di riabilitazione, nonostante gli sforzi economici del figlio, che da ragazzo, di fronte agli accessi d'ira della madre, è esploso in un "sei una mamma di merda", ripetuto anche alla nonna, che però continua ad essere convinta che "la famiglia è l'unica cosa che conta in questo dannato mondo".
E non a caso è proprio la nonna a "mettere in riga" il nipote che rischia di perdersi con cattive frequentazioni adolescenziali.
Il tutto, naturalmente, raccontato con l'ennesimo montaggio ellittico, che verrà utilizzato anche per un excursus all'insegna della spasmodica ricerca della commozione, in cui J. D. vede davanti agli occhi tutta la sua vita, conscio che "la mia famiglia non è perfetta", ma che sia stata di grande stimolo per la sua vita attuale e futura.
Come non aggiungere una morale ad un film del genere? Ron Howard ottiene solo tanta noia... 

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