venerdì 13 marzo 2020

Alice e il sindaco (Pariser 2019)

Nicolas Pariser, dopo il thriller politico Le Grand Jeu (2015), torna alla politica, ma lo fa con il disincanto e la lucidità di un maestro, raccontando una piccola storia che si innesta in una riflessione generale sull'immobilismo e la paralisi politica dei nostri giorni (trailer).
Pariser è stato allievo del grande Eric Rohmer, e la leggerezza con cui affronta una materia così spinosa fa subito pensare a lui, autore, peraltro, de L'albero, il sindaco e la mediateca (1993), al cui titolo rimanda inequivocabilmente questa pellicola e che nel cast aveva lo stesso Fabrice Luchini, oggi protagonista del film di Pariser.
Alice (Anaïs Demoustier) è una trentenne laureata in lettere con una breve esperienza di insegnamento ad Oxford, che si ritrova ad accettare un impiego al comune di Lione, negli uffici di diretta collaborazione con il sindaco, Paul Théraneau (Fabrice Luchini).
L'impiego è dei più fumosi possibili: le viene chiesto, infatti, di "lavorare alle idee", di "stare dietro le quinte", analizzando i discorsi e i movimenti del sindaco e fornendogli dei suggerimenti, da comunicare rigorosamente attraverso delle note, termine che la responsabile della comunicazione, Isabelle (Léonie Simaga), preferisce a post it, che fa troppo tv!
Il sindaco sarà presto affascinato dalle capacità di Alice e dalla sua mentalità completamente estranea alle logiche del potere e, pian piano, si fiderà sempre più delle sue opinioni anche a discapito di figure professionali più in alto nella gerarchia. Paul, in effetti, non ha più idee, pur venendo dal mondo della pubblicità; si sente "un motore che gira a vuoto"; è esponente di un partito socialista in costante crisi; e anche nella vita privata le cose non vanno meglio: divorziato - solo "la politica è per la vita" -, ha un ex moglie che ha ancora un forte ascendente su di lui.
Bello lo split screen naturale che apre la storia, con Alice che esce di casa da una parte e la città di Lione, che a breve diventerà il suo mondo, dall'altra.
Il film, però, è soprattutto un rappresentante del cinema di scrittura e di parola e l'ottima sceneggiatura dello stesso Pariser riesce a mettere in evidenza uno spaccato della politica odierna, pervasa da un senso di inutilità e dalla vuotezza intellettuale dei suoi rappresentanti.
Così, Alice, si ritrova a partecipare alle riunioni di un surreale "comitato di riflessione per i 2500 anni di Lione", in cui sembra l'unica a rendersi conto che il re è nudo e di quanto tutto ciò che si fa in quell'ufficio, così apparentemente indaffarato, sia perfettamente inutile. Il suo atteggiamento, a chi è totalmente centrato su quel posto di lavoro, appare snob e fuori luogo, tanto più quando ignora le telefonate del ricchissimo Patrick Brac (Thomas Chabrol), davanti al quale tutti sono in adorazione, perché non sa come dirgli che le sue proposte per Lione sono senza costrutto.
Paul è sorpreso da una persona così fuori dal coro e inizia a incontrarla in ufficio anche a tarda sera, amplificando le gelosie del suo staff nei confronti della ragazza, ulteriormente accresciute dalla concessione di uno splendido ufficio. La ascolta anche quando gli parla di un mondo ormai alla fine delle risorse fossili rappresentate dal petrolio e dal carbone; quando gli indica di mettere la modestia al centro dei suoi discorsi; quando ribadisce la necessità della "decenza comune", teoria di George Orwell, che mirava ad un indissolubile contatto della sinistra con il popolo. Grazie alla sua conoscenza della letteratura, gli consiglia di leggere La strana disfatta di Marc Bloch, significativamente incentrato sul crollo della Francia davanti alla Germania nel 1940, e in momenti successivi Le fantasticherie del passeggiatore solitario di Jean Jacques Rousseau, visione della felicità fatta di atarassia, isolamento e contemplazione in pieno rapporto armonico con la natura, e ovviamente Bartleby lo scrivano di
Melville, simbolo della rinuncia e dell'impotenza con il suo celeberrimo "preferirei di no".
Sarà proprio Alice a dire a Paul quella che probabilmente è la battuta più significativa del film: "non sente un'impotenza infinita? Non ha l'impressione di non poter risolvere nemmeno un problema?"
Alice, dal canto suo, è una donna che ha rinunciato all'amore in maniera razionale: il suo ex, Gauthier, è sposato con un'artista, Delphine, in cura psichiatrica, della quale dice, in un'altra notevole linea di sceneggiatura, "non so se è la follia che le fa vedere la verità o è la verità che la rende folle"
Alice e Gauthier sono ancora molto vicini e in sintonia e la ragazza solo con lui riesce a mostrare le proprie debolezze. Afferma nettamente di non avere obiettivi: non è sposata, non ha un compagno, non ha grosse intenzioni di fare carriera in un mondo che non le appartiene. Eppure è lì, forse più lucida degli altri proprio per questa distanza da tutto. Anche il suo temperamento e la sua corazza, però, sono penetrabili, cosicché nel chiuso del suo appartamento la crisi di vuoto, l'incapacità di costruire qualcosa, può attanagliarla improvvisamente.
La vita, però, proprio come in un film di Rohmer, è una roulette straordinaria e il caso può ribaltare anche le situazioni più stabili...

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