Parasite, ovvero la lotta di classe in Corea, con tanta ironia e humour nero, ma pur sempre lotta di classe.
Un film riuscitissimo, come dimostrano la Palma d'oro a Cannes e la candidatura per la Corea agli Oscar del 2020, che racconta la storia di una famiglia che vive in povertà e i cui membri sbarcano il lunario come possono, tra inganni e sotterfugi.
La storia è ambientata a Seul, città in cui le fasce sociali più alte vivono nella parte superiore e quelle più basse in quelle inferiori, come visto anche nel recentissimo Burning. Bong Joon-ho, però, amplifica questa simbologia dettata dalla morfologia stessa dell'urbanizzazione contrapponendo il mondo in superficie e il mondo sotterraneo - come nell'horror Noi (Peele 2018) -, complice anche il terrore della guerra e la conseguente esistenza di numerosi bunker nelle case più ricche (trailer).
La famiglia Kim è composta da quattro persone, Ki-taek (Song Kang-ho) il padre; Chung-sook (Chang Hyae-jin) la madre; Ki-woo (Choi Woo-shik) il figlio; Ki-jung (Park So-dam) la figlia, e vivono tutti in un seminterrato, dove lavorano piegando scatole per la pizza di un ristorante limitrofo e vanno nel panico se perdono la connessione internet rubata fino a quel momento, poiché al piano di sopra improvvisamente inseriscono una password.
La loro vita cambia (e anche i loro nomi) quando l'amico di Ki-woo, Min, gli chiede di sostituirlo come insegnante di inglese di una ricca adolescente, Da-hye. Questo lavoro, infatti, permetterà uno dopo l'altro ai Kim, che ben si guarderanno da rivelare la propria parentela, di trovare un impiego in casa Park, attraverso una serie di sotterfugi e raccomandazioni a catena: non solo Ki-woo, che diverrà Kevin, darà ripetizione di inglese, ma Ki-jung (Jessica) sarà una sorta di terapeuta per il fratellino di Da-hye, Da-song, fingendo competenze in psicologa dell'arte e in arteterapia; Ki-taek (signor Kim) l'autista dei Park e, infine, Chun-sook (Chang Hyae-jin) la governante della casa.
La loro vita cambia (e anche i loro nomi) quando l'amico di Ki-woo, Min, gli chiede di sostituirlo come insegnante di inglese di una ricca adolescente, Da-hye. Questo lavoro, infatti, permetterà uno dopo l'altro ai Kim, che ben si guarderanno da rivelare la propria parentela, di trovare un impiego in casa Park, attraverso una serie di sotterfugi e raccomandazioni a catena: non solo Ki-woo, che diverrà Kevin, darà ripetizione di inglese, ma Ki-jung (Jessica) sarà una sorta di terapeuta per il fratellino di Da-hye, Da-song, fingendo competenze in psicologa dell'arte e in arteterapia; Ki-taek (signor Kim) l'autista dei Park e, infine, Chun-sook (Chang Hyae-jin) la governante della casa.
Com'è naturale che sia, però, ad un'ascesa così rapida seguirà una discesa altrettanto veloce e rovinosa.
Il minerale donato da Min. Uno dei simboli del film |
Choi Yeon-kyo, la madre di Da-hye e Da-song è completamente indifesa di fronte a qualsiasi tipo di raggiro, crede a tutto e a tutti ed è davvero un gioco da ragazzi ingannarla. La sua buona fede e il suo sguardo costantemente preoccupato è una delle componenti più comiche della prima parte della storia.
La convinzione con cui parla delle capacità artistiche del figlio e al contempo l'incapacità di arrestare il lancio di frecce giocattolo per la casa, per non tarpare la passione di Da-song per gli indiani d'America, sono esilaranti. Persino le continue segnalazioni di nuovi collaboratori da parte dei nuovi arrivati non le fanno nutrire alcun dubbio, arrivando a definirlo con entusiasmo un "cerchio di solidarietà".
Il marito, invece, da tipico uomo d'affari, lascia ogni incombenza casalinga a lei e alla governante di turno, e si segnala solo per terribili frasi classiste contro il suo nuovo autista che, arriverà a dire, "puzza come uno straccio sporco", delle parole che non rimarranno senza conseguenze.
Proprio quell'odore che tutti i Kim portano addosso, frutto dell'umidità dell'appartamento in cui vivono, rischia di farne scoprire l'inganno.
La diffidenza verso i più poveri da parte dei Park viene controbilanciata dal disprezzo di questi nei loro confronti, cosicché Chun-sook ai complimenti fatti dal marito alla gentilezza di Choi Yeon-kyo, replica "non è gentile anche se è ricca, ma è gentile perché è ricca", aggiungendo che "il denaro stira ogni piega". Quelli che sono due veri e propri mondi opposti non possono essere conciliati in nessun caso. In tal senso le parole di Ki-taek sono esemplari sulla differente condizione di chi è abituato a vivere in povertà: "la vita non va mai nel verso che dici tu" e "se non hai un piano, nulla può andare storto". Anche Ki-woo, in un raro momento riflessivo, guardandosi intorno capirà la situazione, "cosa c'entra questo ambiente con me?"
Bong mette in immagine queste antipodi realtà per tutto il film e poi, in una parte specifica, con un montaggio alternato che dimostra la netta differenza di fronte ad un'oggettiva difficoltà: un nubifragio che si abbatte su Seul e che, mentre costringe i Park ad un anticipato ritorno da un finesettimana in campeggio, che però diventa occasione di un'ottima cena in casa, per i Kim vuole invece dire dover fronteggiare l'allagamento del proprio appartamento.
L'intreccio è perfetto, non solo per le trame e gli inganni orditi, ma anche perché il film, dopo una lunga parte di commedia, si trasformerà in un thriller ai limiti dell'horror, mantenendo sempre il filo rosso delle distanze sociali e della guerra fra poveri, in questo caso presa davvero alla lettera...
Proprio rispetto al passaggio di genere, in un flashback il regista coreano ci mostra il momento in cui il piccolo Da-song, qualche anno prima, ha visto il fantasma che gli ha generato il trauma psicologico da cui la madre è ossessionata. Nel racconto vediamo emergere un volto dal buio e, ovviamente, dal basso: se ne vedono solo gli occhi spiritati mentre si allineano con il pavimento, in maniera praticamente identica alla celeberrima scena con gli occhi di Martin Sheen sul pelo dell'acqua in Apocalypse Now.
C'è anche un po' d'Italia, attraverso la colonna sonora, che prevede sorprendentemente In ginocchio da te di Gianni Morandi, sulle cui note si svolge una delle scene madri del film, in cui si passa da un romantico ballo ad una colluttazione senza esclusione di colpi.
La regia di Bong è ottima, a partire dalla prima inquadratura, dove lo schermo cinematografico viene occupato dai riquadri di una finestra a più scomparti, stretta e lunga, tipica dei seminterrati, con dei calzini ad asciugare all'interno su uno di quei piccoli stenditoi circolari, così come circolare sarà anche l'immagine che rivedremo alla fine della pellicola.
Quella finestra è metafora cinematografica, da lì la famiglia Kim osserva da spettatrice la realtà esterna e da lì vede una gag degna dei Lumière, quando il solito ubriacone che fa pipì ad un passo dal vetro viene annaffiato dai due uomini di casa, in una sorta di Arroseur arrosé (1895) rivisitato e che, per giunta, Ki-jung riprende con il cellulare.
E proprio il telefono sarà, nel corso della storia, oltre che mdp, anche arma, hitchcockianamente parlando, in un contesto in cui il cellulare non è più semplicemente un mezzo di comunicazione, ma strumento per ordire trame, nonché, appunto, di minaccia e di ricatto.
Merita una menzione anche la bellissima scenografia di Lee Ha Jun, il cui capolavoro è costituito dalla villa dei Park, nella finzione realizzata dall'architetto Namgoong. Una casa minimalista, dalle linee nette, arredata con opere dello scultore coreano Seungmo Park e caratterizzata da una grandissima finestra che sarà anch'essa un enorme schermo in cui i coniugi Park osservano il figlio Da-song, confinatosi in giardino all'interno della sua tenda.
La regia di Bong è ottima, a partire dalla prima inquadratura, dove lo schermo cinematografico viene occupato dai riquadri di una finestra a più scomparti, stretta e lunga, tipica dei seminterrati, con dei calzini ad asciugare all'interno su uno di quei piccoli stenditoi circolari, così come circolare sarà anche l'immagine che rivedremo alla fine della pellicola.
Quella finestra è metafora cinematografica, da lì la famiglia Kim osserva da spettatrice la realtà esterna e da lì vede una gag degna dei Lumière, quando il solito ubriacone che fa pipì ad un passo dal vetro viene annaffiato dai due uomini di casa, in una sorta di Arroseur arrosé (1895) rivisitato e che, per giunta, Ki-jung riprende con il cellulare.
E proprio il telefono sarà, nel corso della storia, oltre che mdp, anche arma, hitchcockianamente parlando, in un contesto in cui il cellulare non è più semplicemente un mezzo di comunicazione, ma strumento per ordire trame, nonché, appunto, di minaccia e di ricatto.
Merita una menzione anche la bellissima scenografia di Lee Ha Jun, il cui capolavoro è costituito dalla villa dei Park, nella finzione realizzata dall'architetto Namgoong. Una casa minimalista, dalle linee nette, arredata con opere dello scultore coreano Seungmo Park e caratterizzata da una grandissima finestra che sarà anch'essa un enorme schermo in cui i coniugi Park osservano il figlio Da-song, confinatosi in giardino all'interno della sua tenda.
Una pellicola esaltante nel ritmo e nella resa e... ancora due cose su cui prestare attenzione: l'alfabeto morse, insospettabilmente ancora utile in un'epoca di internet e whatsapp, nonché una perfetta accoppiata cane e spiedo, così comica e "nera" al tempo stesso, che sarebbe stata perfetta persino in un film di Quentin Tarantino!
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