martedì 31 marzo 2020

I due papi (Meirelles 2019)

La pellicola, diretta da Fernando Meirelles, è tratta da una pièce teatrale del 2017 scritta da Anthony McCarten (The Pope), che firma anche la sceneggiatura di un film che, naturalmente, è soprattutto un film di parola, con due ottimi interpreti come Anthony Hopkins, nei panni di Benedetto XVI, e di Jonathan Pryce, in quelli di papa Francesco (trailer).
Dopo un inizio che ripercorre le tappe del conclave del 2005 che, dopo le esequie di Karol Wojtyla, portò sul soglio pontificio Joseph Ratzinger, però, la storia, che vede i due costantemente in scena, si concentra sul passaggio della carica da uno all'altro, seguendo una versione dei fatti a dir poco pacificata e pacificante.

Questa prima fase è raccontata con frasi a effetto di altri cardinali, tese a sminuire la scelta che si sta per compiere, a conferma di una linea interpretativa forte e chiara: "la caratteristica più importante di qualsiasi capo è non voler essere un capo... Platone"; "direi, quindi, che non può essere Ratzinger, lui fa il capo"; "fare il papa è come fare il martire".
Una curiosità: le sequenze "vaticane" sono girate nella Cappella Sistina ricostruita a Cinecittà (è il set utilizzato anche per la serie tv diretta da Paolo Sorrentino, The New Pope), nella Reggia di Caserta e nella sala del Mappamondo di Palazzo Farnese a Caprarola, caratterizzata dalle carte geografiche affrescate sulle quattro pareti.
Dopo il conclave del 2005, il film mette l'accento sulla delusione di Bergoglio, convinto che la Chiesa abbia votato affinché le riforme che potevano essere fatte sarebbero state ancora rimandate, una necessaria premessa per la finalità quasi "evoluzionistica" di una storia che mira palesemente verso la soluzione trovata nel 2013.
Il futuro papa Francesco, preso dallo sconforto, vorrebbe rinunciare persino al grado di cardinale di Buenos Aires, ed è per questo che decide di tornare a Roma per parlarne col pontefice, non a caso proprio nel momento in cui Benedetto XVI lo convoca per proporgli ben altro.
È il 2012, e l'arresto del "corvo", Paolo Gabriele, maggiordomo pontificio di Ratzinger, è un colpo forte nella stabilità politica del papa, che si convince di dover abdicare, come prima di lui fece Celestino V alla fine del XIII secolo.
La parte dei giardini di Caprarola usata come Castel Gandolfo
L'incontro di Ratzinger e Bergoglio a Castel Gandolfo è una summa di quella logica pacificante di cui si è già detto. La lunga sequenza, girata nei giardini di Palazzo Farnese a Caprarola, mira ad appianare ogni crepa e distanza. Il papa presente e il papa futuro passano alcuni giorni insieme negli appartamenti papali, creando l'occasione per dialoghi che evidenziano le loro enormi distanze teologiche e non solo, ma tutte risolte in piena serenità e senza alcun contrasto. Da una parte Ratzinger, difensore della tradizione e poco incline ad ogni compromesso, dall'altra Bergoglio che vuole una Chiesa rinnovata e al passo coi tempi. Tutto è profondamente didascalico e semplificato, fino alla resa del quotidiano che mostra i due come vecchi amici, che cenano davanti alla tv per seguire una gara di automobilismo, Ratzinger, e di calcio, Bergoglio.
Appare palese l'obiettivo della sceneggiatura: condannare e far autocondannare Benedetto XVI per promuovere a unico pontefice possibile per questo momento storico il futuro papa Francesco. Ratzinger, infatti, anche ribadendo la sua netta differenza di pensiero e di ideologia, è convinto di non essere più all'altezza del compito e che debba lasciare il testimone al collega ("quando provo ad essere me stesso non piaccio molto alla gente"). In questo contesto in cui il buono e il cattivo sono così clamorosamente delineati, anche il passato di Bergoglio nell'Argentina della dittatura militare di Videla negli anni '70 viene letto in maniera esclusivamente "difensiva", cosicché, da provinciale dei gesuiti, si ritrova a tentare di far liberare i confratelli Franz Jalics e Orlando Yorio, da lui sospesi e poi torturati dal regime. Poco importa che, nella vita reale, il primo abbia omaggiato papa Francesco solo dopo la sua elezione a pontefice e il secondo, filocastrista, morto già nel 2000 per cause naturali, non l'ha più incontrato finché è rimasto in vita.
Lo stesso Ratzinger lo perdona rincuorandolo: "hai fatto quello che potevi... tutte le dittature tolgono la libertà di scelta, lo sappiamo entrambi", anche se Bergoglio risponde "o rivelano le nostre debolezze". 
Nel goffo tentativo di rendere realistico il rapporto tra due uomini qualunque, che ovviamente qualunque non sono, si andrà persino oltre, quando il cardinal Bergoglio, dall'interno della sacrestia della Cappella Sistina (sic), ostentando la conoscenza delle migliori pizzerie della zona al di là di porta Sant'Anna, ordinerà una pizza da asporto e due Fanta (sic 2), fino all'ultima simbolica passeggiata in cappella tra i fedeli e all'uscita di Bergoglio dalla loggia delle Benedizioni che, appena eletto, rifiuta scarpe rosse e mozzetta papale della tradizione con un laconico, quanto offensivo e improbable, "il carnevale è finito" (sic 3).
E allora, come non inserire la finale dei Campionati del mondo di calcio del 2014, con Argentina e Germania in finale e con i due papi sul divano, Bergoglio con tanto di sciarpa della sua squadra del cuore, il San Lorenzo di Buenos Aires, e Ratzinger non proprio a suo agio?
Persino la colonna sonora, infine, composta e selezionata da Bryce Dessner (ascolta), in alcuni casi contribuisce al tentativo di dozzinale normalizzazione messo in atto dalla pellicola. Alterna così brani argentini, come Cuando tenga la tierra Mercedes Sosa, o la versione di Ray Conniff di un classico come Besame mucho, ma anche Dancing Queen degli Abba (fischiettata da Bergoglio e poi usata per il conclave) e Blackbird dei Beatles. I quattro di Liverpool vengono citati anche durante uno dei dialoghi dei due papi, con Bergoglio che ricorda Eleanor Rigby e Yellow Submarine, mentre Ratzinger, che risponde "che sciocchezza", si ritrova a interpretare l'ennesima macchietta architettata dalla sceneggiatura: ricorda solo un titolo, ça va sans dire, con una parola chiesastica, Abbey Road, per poi suonare al pianoforte un brano di Bedřich Smetana (vedi).
Tutto davvero poco credibile, poco cinema, poco tutto, tranne le magistrali interpretazioni di due grandi attori.

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