martedì 3 marzo 2020

Cattive acque (Haynes 2019)

Todd Haynes parte da un articolo del 2016 pubblicato dal New York Times (leggi) per raccontare una storia di arroganza, di potere e di inquinamento idrico, iniziata nel 1998, ma che rimonta fino al 1962....
1998, Cincinnati, Ohio. Robert Bilott (Mark Ruffalo) è appena diventato socio dello lo studio legale Taft Stellinius & Holliste diretto da Tom (Tim Robbins) e impegnato principalmente a difendere grandi aziende. Un giorno, però, Wilbur Tennent (Bill Camp), un allevatore del West Virginia, lo raggiunge in ufficio per denunciare che negli ultimi anni, nella sua fattoria di Parkersburg, centinaia delle sue mucche si sono ammalate, sono impazzite e sono morte, probabilmente avvelenate dall'acqua inquinata che bevono nel fiume Ohio... (trailer)

È come se i versi della celebre Country Road di John Denver, che infatti ascoltiamo nella colonna sonora, fossero cambiati, e che paesaggi come le "Blue Ridge Mountains" e lo "Shenandoah River" non fossero più il paradiso che abbiamo sempre immaginato, con i suoi corsi d'acqua ormai devastati dai liquami tossici di un colosso come la DuPont, multinazionale della chimica.
Tutto scorre in maniera piuttosto prevedibile nella trama, ma ad un film come questo non è richiesto certo il fattore sorpresa, quanto la narrazione degli eventi e dei fatti storici.
In questo senso la pellicola è valida e, grazie a un buon cast (tra gli avvocati c'è anche Bill Pullman), un montaggio funzionale (si veda il montaggio alternato dela spiegazione dei fatti da parte di Robert alla moglie, al collega e all'avversario), e ad una regia essenziale, che non disdegna alcuni bei movimenti di macchina (penso soprattutto ad alcune riprese dall'alto, che accompagnano Robert nei corridoi del tribunale), documenta e intrattiene con successo.
E così, naturalmente, Rob, dopo le prime resistenze, accetterà di imbarcarsi nell'avventura propostagli da Wilbur, di tentare di fare chiarezza, riuscendo a convincere Tom della giustezza della causa e andando oltre l'amicizia con alcuni membri della stessa DuPont.
Sarà solo l'inizio di un lungo percorso che, dal 1998, arriverà fino al 2015, tra indagini, processi, insabbiamenti, depistamenti, ecc. La storia e la cronaca ci dicono che la scoperta del perfluoro PFOA (letteralmente acido perfluoroottanoico), noto anche come C8, inizialmente utilizzato per rivestire i carri armati, all'inizio degli anni sessanta passò dall'industria bellica a quella casalinga diventando l'onnipresente teflon, che ha rivestito gran parte delle pentole e delle padelle in commercio su scala mondiale, permettendo alla DuPont di guadagnare un miliardo di dollari all'anno. Eppure la 3M, altra grande azienda che ne faceva uso, nel 1981 sembra avesse persino comunicato i potenziali danni alla DuPont, ma questo non bastò ad interromperne la produzione, cosicché le sostanze tossiche vennero prima interrate e poi disperse nei fiumi del West Virginia, causando l'inquinamento delle acque anche a livello di fornitura domestica. Un caso del tutto simile a quello della città di Flint in Michigan, recentemente narrato da Michael Moore in Fahrenheit 11/9 (2018).
Robert dedica la sua vita a quella che diventa una vera e propria ossessione, che coinvolge inevitabilmente tutti coloro che gli sono attorno, soprattutto la moglie Sarah (Anne Hataway) e i tre figli. 
Il film si sofferma attentamente sulle conseguenze sociali di una scelta di denunciare un colosso economico, cosicché anche per Wilbur Tennent le cose non saranno semplici, ghettizzato e trattato con ostilità dalla comunità per essere diventato l'ostacolo del principale datore di lavoro della regione (uno schema che alle nostre latitudini non può non fare pensare all'ILVA di Taranto). Come spesso capita, quindi, malvisto proprio da chi, più degli altri avrebbe dovuto ringraziarlo per quanto fatto, perché più esposti a malattie, tumori e persino all'insorgenza di deformità nelle nascite.
Mark Ruffalo, ambientalista militante, è stato una forte spinta alla realizzazione del film: è lui che lo ha proposto al regista ed è lui che impersona l'eroe qualunque, l'everyman idealista e incorruttibile su cui il cinema a stelle e strisce non poteva non mettere il suo largo cappello. Haynes, dal canto suo, ha inserito come comparse anche alcuni dei veri protagonisti della storia raccontata, rivelandoci nei titoli di coda i momenti in cui abbiamo visto il vero Robert Bilott, sua moglie e persino Bailey, il figlio di una dipendente della DuPont, nato con una evidente deformità nel volto.
Un legal thriller ben confezionato, più utile alla conoscenza della vicenda e dei crimini ambientali perpetrati, che alla storia del cinema. Stimolare nello spettatore ulteriori approfondimenti, però, non può che essere positivo. 

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