mercoledì 1 luglio 2015

La regola del gioco (Cuesta 2014)

Per l'ennesima volta l'edizione italiana di un film non perde l'occasione di fare danni e la pellicola di Michael Cuesta, Kill the messenger, viene tradotta con La regola del gioco, stavolta non solo inspiegabile, ma anche fuorviante, poiché identico a quello di uno dei film più celebri dell'intera storia del cinema... il capolavoro di Jean Renoir del 1939 (link): se voluto, è scorretto, se non voluto, è frutto di gravissima ignoranza.

Veniamo, però, all'analisi del film, che nasce dall'adattamento di due diversi libri, Kill the Messenger di Nick Schou (2006) e Dark Alliance di Gary Webb (1999). Proprio quest'ultimo è il giornalista protagonista della vicenda realmente accaduta e che costituisce il soggetto della pellicola di Cuesta: le indagini che lo condussero a pubblicare nel 1996 un articolo sul piccolo quotidiano San José Mercury News, in cui rivelava la corruzione della CIA che, per finanziare la rivolta dei Contras contro il governo comunista in Nicaragua, aveva favorito il traffico di droga in California. E così le inevitabili conseguenze, che nonostante l'assegnazione del premio di giornalista dell'anno, lo vedranno screditato dai media che non esiteranno a frugare anche nella sua vita privata...
Jeremy Renner, che interpreta Gary Webb, è senza dubbio uno dei migliori attori su piazza, e in questo caso prende parte al film non solo come protagonista ma anche come produttore. È la scelta di Cuesta per la regia, però, che sembra discutibile, poiché la netta sensazione che resta alla fine della pellicola è quella del rimpianto per un soggetto che in mano ad altri cineasti - su tutti Martin Scorsese - sarebbe potuto essere un capolavoro. Il film, che si apre con un montaggio di dichiarazioni antidroga di presidenti degli Stati Uniti, da Nixon a Reagan, in effetti, regge il ritmo e resta avvincente nella prima parte, ma non per tutta la durata, e il ricco cast, che contempla, tra gli altri, nomi come Barry Pepper, Paz Vega, Andy Garcia e Ray Liotta, appare spesso sprecato per una pellicola che con il passare dei minuti diventa sempre più ordinaria.
La sceneggiatura di Peter Landesman è forse, insieme alla recitazione di Renner, l'elemento migliore del film, e alcune battute meritano una citazione: il personaggio di Ricky (Michael K. Williams), detenuto per lo spaccio di droga e intervistato da Webb, dichiara "io ero solamente la slitta, Blandon era Babbo Natale"; Norwin Meneses (Andy Garcia), boss così privilegiato e rispettato nella galera in cui è rinchiuso da poter permettersi di giocare a golf nel cortile del penitenziario, giustifica l'enorme esportazione di droga negli USA con un semplice quanto ficcante "voi americani non volete cocco e banane, volete cocaina" e, poco dopo, mette Webb di fronte ad un bivio, poiché una volta saputa la verità, dovrà prendere "la decisione più difficile della sua vita: se condividerla o meno"; Fred Weil (Michael Sheen) dice ancora a Webb "alcune storie sono troppo vere per essere raccontate". Eppure anche la sceneggiatura nella parte finale contribuisce a trasformare la storia in una serie di momenti politically correct, fino all'eccesso in cui, dopo un banale monologo finale di Jeremy Renner, lo spettatore è costretto a sentire il primogenito di Webb che fa pace con il padre pronunciando un prevedibilissimo "sono molto orgoglioso di te".
Tra le cose più piacevoli del film, infine, un dettaglio all'interno dell'ufficio dell'avvocato di Ricky, in cui è ben visibile una bilancia a due piatti in disequilibrio, evidente metafora e prefigurazione di una giustizia non certo uguale per tutti... 

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