sabato 25 luglio 2015

La prima notte di quiete (Zurlini 1972)

Una Rimini invernale, malinconica e brumosa, come nemmeno Federico Fellini avrebbe potuto immaginarla, in un'atmosfera che già dai titoli di testa è perfettamente sintetizzata dalla fotografia livida di Dario Di Palma, nipote del più celebre zio Carlo. Le onde del mare si infrangono sulle barriere frangiflutti, su cui passeggia il protagonista, un bellissimo e tenebroso Alain Delon, con indosso un lungo cappotto color cammello (quello del regista), mentre la colonna sonora lo accompagna con la splendida, ma altrettanto malinconica, tromba jazz di Maynard Ferguson (vedi il film).

Leggi la trama:
Daniele Dominici (Alain Delon) ritorna nella città romagnola, dove ha passato la sua adolescenza, per lavorare come supplente di letteratura italiana in un liceo diretto da un preside (Salvo Randone), rispetto al quale ha idee opposte: liberale, distaccato ed annoiato dagli aspetti disciplinari e politici degli studenti il professore, rigido e vecchia maniera il preside. 
L'ingresso di Daniele in classe è davvero sui generis: consente di fumare in aula, dichiara di non avere interesse se non per "spiegare se un verso del Petrarca è bello o brutto", ma soprattutto precisa che "per me neri o rossi siete tutti uguali, i neri solo più cretini" e, dopo aver assegnato un tema libero e uno letterario agli studenti, va a comprare il giornale, sorprendendo negativamente il preside. La prima a finire il tema, nonché l'unica a svolgere quello su Manzoni, è Vanina Abati (Sonia Petrovna), una bellissima, silenziosa e misteriosa studentessa che da questo momento in poi catalizzerà totalmente l'attenzione di Daniele, che di fatto si innamora di lei a prima vista.
La fama di Vanina la precede e peraltro sembra avere una relazione con il ricco e pieno di sé Gerardo Pavani (Adalberto Maria Merli), uno degli uomini che, insieme a Giorgio "Spider" Mosca (Giancarlo Giannini) e Marcello (Renato Salvatori), Daniele conosce in un bar.
La vita del trentasettenne professore scorrerà così, tra l'invaghimento per la giovanissima Vanina, la sempre più stanca convivenza con Monica (Lea Massari) e i rapporti con i suoi nuovi conoscenti, con cui passa le sere... 
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Il melodramma di Valerio Zurlini è incentrato sulla figura del protagonista, alter ego del regista reduce da alcuni insuccessi: tutto ruota attorno a lui, e c'è davvero poco spazio per gli altri personaggi, che appaiono comunque tutti meschini e attenti al proprio tornaconto. L'unico più delineato è, naturalmente, quello di Vanina, con un nome letterario - Daniele le regala infatti il racconto di Stendhal Vanina Vanini - e con un profilo più malinconico della città in cui è ambientata la storia. 
Anche di lei, però, sappiamo poco: appare cinica, delusa dall'amore e qualcosa deve averla ferita parecchio. Daniele la accompagna a Monterchi, dove abita la sorella, ma la porta a vedere la Madonna del Parto di Piero della Francesca. I dialoghi di questa sequenza sono importanti per lo sviluppo e la comprensione della vicenda, anche se la sceneggiatura dello stesso Zurlini e di Enrico Medioli non brilla affatto e appare paradossale che i due vadano a vedere proprio quel dipinto (in provincia di Arezzo!), l'unico che permetta a Vanina una serie di riflessioni che alludono al suo passato... La cosa più interessante, quindi, risulta il valore di testimonianza storica di questa sequenza, ambientata nella cappella di Santa Maria di Momentana, dove l'affresco fu fino al 1992, prima di essere ricoverata nell'attuale museo di Monterchi.
La sceneggiatura si sofferma soprattutto sulla grettezza della mentalità di provincia, la stessa contro cui si scagliava Fellini prima ne I vitelloni (1953) e poi in Amarcord (1973). Cosicché la madre di Vanina (una piccola parte in cui brilla una bravissima e mefistofelica Alida Valli) si rivela una terribile arrivista, decisa a sacrificare la felicità della figlia sull'altare del denaro. Allo stesso tempo Elvira (Nicoletta Rizzi), una delle amiche del gruppo frequentato dal professore, gelosa di Vanina, si riferisce con sarcasmo alla ragazza come una che ha "molto passato, poco presente, niente futuro". Alla stessa donna, però, viene riservata una battuta velenosa contro il preside della scuola, rigoroso ma solo quando si tratta di studenti: "ha una sola mano ma quella non la tiene ferma neanche se gliela legano!"
Bello anche lo scambio di opinioni tra Daniele e Vanina alla prima uscita, con il primo che chiede "racconti spesso bugie?" e si sente rispondere "quando è necessario. E lei?" "Quando è indispensabile", chiude il professore aumentando ancor di più la distanza tra di loro.
Altra falla nella sceneggiatura è la storia che Daniele racconta a Giorgio portandolo a vedere una casa diroccata di cui conosceva gli abitanti, caduti in disgrazia: un dramma che ha scarsi collegamenti con il resto della storia e che sembra avere piuttosto il fine di accrescere, nello spettatore, la comprensione e la condivisione per la malinconia e lo sconforto del protagonista che, inoltre, al "che Dio ti protegga" dell'amico, risponde con un laconico "ha altro da fare". Ed è ancora Giorgio, forse invaghitosi di lui, che in una sorta di interrogatorio cita "la prima notte di quiete", il verso di Goethe che dà il titolo al film.
La colonna sonora, in cui spicca la già citata tromba di Maynard Ferguson, è costituita dalle musiche di Mario Nascimbene, ma soprattutto dal tema principale rappresentato dalla malinconicissima - non poteva essere altrimenti - canzone Domani è un altro giorno interpretata da Ornella Vanoni. 
L'atmosfera che permea la pellicola rischia di essere insopportabile anche per i personaggi stessi, come sembra suggerire la frase della compagna-amante di Daniele, Monica, che nonostante il loro rapporto aperto, non manca di sottolineare "quello che mi irrita è quest'aria di turbamento che c'è per casa".
Un film assolutamente anni Settanta, in fondo, che non regge agli oltre quarant'anni trascorsi e che a tratti, nello sviluppo del melodramma - si pensi al topos del treno in partenza con Daniele che saluta Vanina -, nelle figure di contorno e anche, ovviamente, nella tipologia femminile prediletta (i lunghi capelli neri e lisci apparentano la Petrovna ad una delle regine del genere come Romina Power), non si discosta molto dai musicarelli tanto in voga al tempo.
Il dramma si risolve, come sempre in questi casi, nell'ultima parte del film, in cui vengono a galla (anche se mai esplicitamente, forse per questioni di opportunità etica) alcuni segreti e misteri relativi ai personaggi, e in cui pianti, urla e sangue, la fanno da padroni.
Se la nemesi finale è da tragedia greca, la morale che se ne può ricavare è degna di una fiaba di Esopo, pur se in versione post-rivoluzione industriale: la favola dimostra che è meglio non fare mai il pieno di benzina...

2 commenti:

  1. bellissima recensione.
    Mio padre era molto amico di Zurlini. Da piccola credevo che questo film fosse una cagata però ero pazza di Alain (...ma va...??!!!) e volevo convincere papà a portarmici in proiezione privata (era uscito da tempo ed era comunque vietato). Ma lui non ha mai voluto.
    Comunque credo fosse molto al di sotto delle possibilità di Zurlini, uomo colto e intelligente.
    Non ricordavo che magnifico cast fosse schierato.
    Mi hai fatto venir voglio di vederlo...
    Grazie sei sempre illuminante

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  2. Ieri sera ho rivisto il film che non ricordavo ...quando usci ero ancora una adolescente pure io fan del bellissimo Delon. Trovo che il film abbia ben rappresentato una certa parte di gioventu degli anni inizi '70 . La decadenza dei personaggi ben si ambienta ad una Rimini così diversa da quella allegra solare dell estate ed è quindi cornice ideale x la storia

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