Seconda pellicola di Roger Corman prodotta dall'Alta Vista dedicata ai racconti di Edgar Allan Poe, dopo I vivi e i morti (1960), e seconda collaborazione con l'ottimo sceneggiatore Richard Matheson, negli stessi anni anche tra gli autori delle due serie più popolari dell'epoca, Ai confini della realtà e Alfred Hitchcock presenta.
La vicenda, però, solo ispirata al testo di Poe pubblicato nel 1842, totalmente incentrato sulle percezioni di un condannato rinchiuso in una cella all'epoca dell'Inquisizione spagnola, ha qui ha un respiro maggiore, che coinvolge più personaggi e che per alcuni versi ricorda il già citato film di Corman dell'anno precedente.
L'atmosfera da horror gotico è immediata e bastano i primi minuti di silenzio con una carrozza che si avvicina tra le brume delle montagne e, soprattutto, un vetturino che si rifiuta di portare il proprio cliente fino al castello, per far comprendere allo spettatore che il maniero in cui sarà ambientata la storia nasconde qualcosa di oscuro e spaventoso.
L'uomo che vediamo arrivare è Francis Barnard (John Kerr), fratello di Elizabeth (Barbara Steele), la giovane moglie di Nicolas Medina (Vincent Price), recentemente morta in circostanze misteriose. In realtà Francis, una volta entrato, scopre che sua sorella è deceduta tre mesi prima, a detta di Nicolas per una malattia del sangue. Non tutto, però, è così chiaro, anche perché il miglior amico di don Medina, Charles Leon (Antony Carbone), il medico che l'ha tenuta in cura, afferma sia morta per un collasso cardiaco. Francis non si fida e vuole indagare, aiutato dalla sorella di Medina, Catherine (Luana Andres), che sembra avere un debole per lui...
Il film ruota, naturalmente, attorno al personaggio interpretato da Vincent Price, indubbio mattatore della saga di Corman su Poe, che inanella una serie di facce ed espressioni teatrali incredibili, che oggi fanno sorridere ma che lo rendono la vera star della pellicola! Rispetto a lui, strabordante in ogni scena, tutti gli altri attori sembrano poco più che delle comparse.
Affascinanti, nonostante la pellicola sia ormai obiettivamente datata, le sequenze dei ricordi, rese attraverso un filtro azzurro e con immagini dai contorni sfocati. È proprio grazie a queste che scopriamo gli anni felici tra Nicolas ed Elizabeth, narrati in prima persona dal nobile catalano, ma anche gli aspetti più cupi e clamorosamente psicanalitici della storia, quando Catherine racconta a Francis la tragedia vissuta da Nicolas bambino, che ha visto torturare la madre Isabella e lo zio Fernando da suo padre, Sebastiano, in preda alla gelosia per la loro relazione. Il subconscio viene tirato in ballo dallo stesso Nicolas per giustificare le proprie visioni e il proprio senso di colpa che viene reso da Corman, in modo espressionistico e sinestetico, attraverso le immagini e i suoni di fulmini e tuoni, e dallo scroscio delle onde che si infrangono sulla roccia su cui sorge il castello.
A fornire un surplus orrorifico contribuisce la professione di Sebastiano, interpretato ovviamente dallo stesso Vincent Price - che così ha a disposizione un'altra parte istrionica e pirotecnica -, famoso inquisitore spagnolo, motivo per cui nel piano interrato del castello esiste ancora una stanza delle torture, utilizzata allora e che ancora oggi evoca tristi presagi. L'evoluzione della vicenda, naturalmente, troverà il modo di farci vedere funzionare di nuovo quei macchinari, e soprattutto l'enorme lama che scende progressivamente sul condannato - l'elemento principale ripreso dal racconto di Poe - in un finale in crescendo tra pathos, terrore e tanto tanto Freud...
Fondamentale il grande lavoro dello scenografo Daniel Haller, coadiuvato dall'arredatore Harry Reif: ai due si deve l'ambientazione perfettamente gotica, con ragnatele, topi, polvere e passaggi segreti, spesso ottenuta anche a discapito della fedeltà storica, cosicché, pur se siamo nel Cinquecento, e a dimostrarlo bastano le date di nascita e morte sulla tomba di Elizabeth Medina (1517-1546), diversi elementi sono di molto successivi. Si vedono, ad esempio, una pendola ottocentesca, un ritratto alla parete con un uomo in parrucca, evidentemente del Settecento, e tanto altro che c'entra davvero poco con l'epoca in cui è ambientata la storia. Eppure, guardando con attenzione i dettagli, nel salone del castello dei Medina, è inserito un vero capolavoro del XVI secolo: il bellissimo Ritratto di sarto di Giovan Battista Moroni, datato intorno al 1565 e particolarmente noto e amato nel mondo anglosassone poiché conservato in Gran Bretagna (Londra, National Gallery).
Il lato artistico dell'arredamento è particolarmente curato, cosicché Nicolas, mostrando la stanza di Elizabeth, spiega che è stata realizzata da artisti italiani, spagnoli e francesi, mentre in altri casi sembra essere "più filologico", basti pensare alle grandi porte con archi inflessi iberici, che rimandano all'origine catalana della famiglia.
La vicenda, però, solo ispirata al testo di Poe pubblicato nel 1842, totalmente incentrato sulle percezioni di un condannato rinchiuso in una cella all'epoca dell'Inquisizione spagnola, ha qui ha un respiro maggiore, che coinvolge più personaggi e che per alcuni versi ricorda il già citato film di Corman dell'anno precedente.
L'atmosfera da horror gotico è immediata e bastano i primi minuti di silenzio con una carrozza che si avvicina tra le brume delle montagne e, soprattutto, un vetturino che si rifiuta di portare il proprio cliente fino al castello, per far comprendere allo spettatore che il maniero in cui sarà ambientata la storia nasconde qualcosa di oscuro e spaventoso.
L'uomo che vediamo arrivare è Francis Barnard (John Kerr), fratello di Elizabeth (Barbara Steele), la giovane moglie di Nicolas Medina (Vincent Price), recentemente morta in circostanze misteriose. In realtà Francis, una volta entrato, scopre che sua sorella è deceduta tre mesi prima, a detta di Nicolas per una malattia del sangue. Non tutto, però, è così chiaro, anche perché il miglior amico di don Medina, Charles Leon (Antony Carbone), il medico che l'ha tenuta in cura, afferma sia morta per un collasso cardiaco. Francis non si fida e vuole indagare, aiutato dalla sorella di Medina, Catherine (Luana Andres), che sembra avere un debole per lui...
Il film ruota, naturalmente, attorno al personaggio interpretato da Vincent Price, indubbio mattatore della saga di Corman su Poe, che inanella una serie di facce ed espressioni teatrali incredibili, che oggi fanno sorridere ma che lo rendono la vera star della pellicola! Rispetto a lui, strabordante in ogni scena, tutti gli altri attori sembrano poco più che delle comparse.
Affascinanti, nonostante la pellicola sia ormai obiettivamente datata, le sequenze dei ricordi, rese attraverso un filtro azzurro e con immagini dai contorni sfocati. È proprio grazie a queste che scopriamo gli anni felici tra Nicolas ed Elizabeth, narrati in prima persona dal nobile catalano, ma anche gli aspetti più cupi e clamorosamente psicanalitici della storia, quando Catherine racconta a Francis la tragedia vissuta da Nicolas bambino, che ha visto torturare la madre Isabella e lo zio Fernando da suo padre, Sebastiano, in preda alla gelosia per la loro relazione. Il subconscio viene tirato in ballo dallo stesso Nicolas per giustificare le proprie visioni e il proprio senso di colpa che viene reso da Corman, in modo espressionistico e sinestetico, attraverso le immagini e i suoni di fulmini e tuoni, e dallo scroscio delle onde che si infrangono sulla roccia su cui sorge il castello.
A fornire un surplus orrorifico contribuisce la professione di Sebastiano, interpretato ovviamente dallo stesso Vincent Price - che così ha a disposizione un'altra parte istrionica e pirotecnica -, famoso inquisitore spagnolo, motivo per cui nel piano interrato del castello esiste ancora una stanza delle torture, utilizzata allora e che ancora oggi evoca tristi presagi. L'evoluzione della vicenda, naturalmente, troverà il modo di farci vedere funzionare di nuovo quei macchinari, e soprattutto l'enorme lama che scende progressivamente sul condannato - l'elemento principale ripreso dal racconto di Poe - in un finale in crescendo tra pathos, terrore e tanto tanto Freud...
Il sarto di G.B. Moroni nell'arredamento del castello di don Medina |
Il lato artistico dell'arredamento è particolarmente curato, cosicché Nicolas, mostrando la stanza di Elizabeth, spiega che è stata realizzata da artisti italiani, spagnoli e francesi, mentre in altri casi sembra essere "più filologico", basti pensare alle grandi porte con archi inflessi iberici, che rimandano all'origine catalana della famiglia.
Un ruolo determinante, infine, è rivestito dal sonoro, usato chiaramente per aumentare la tensione, cosicché, oltre ai già citati tuoni e scrosci marini, nella colonna sonora di Les Baxter rientra anche un motivo al pianoforte che sentiamo suonare al "fantasma" di Elizabeth Medina. Questo momento, basilare per il prosieguo della storia, di fatto, assume lo stesso spessore del violino "ancora caldo" del Frankenstein Junior (1974) di Mel Brooks, in assoluto la più grande parodia del cinema horror classico, in cui evidentemente va aggiunta anche la serie di Corman su Poe!
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