martedì 28 luglio 2015

L'uccello dalle piume di cristallo (Argento 1970)

Sam Dalmas (Tony Musante), un giovane statunitense fidanzato con l'italiana Giulia (Suzy Kendall), è testimone di un tentato omicidio all'interno di una galleria d'arte e, con la sua casuale presenza, sventa la morte di Monica (Eva Renzi), moglie del gallerista Alberto Ranieri (Umberto Raho), mettendo in fuga l'aggressore. Quando sul posto arriva il commissario Morosini (Enrico Maria Salerno), Sam scopre che quello a cui ha assistito, se fosse andato in porto, sarebbe stato il terzo delitto di una serie destinata ad aumentare, e decide di avventurarsi nelle indagini in prima persona...

Film d'esordio del maestro italiano dell'horror, tra i capolavori del genere, un onore che condivide con il successivo Profondo rosso (1975), rispetto al quale può vantare la frase pronunciata da Alfred Hitchcock - "Quell’italiano comincia a preoccuparmi” - che è garanzia del risultato raggiunto.
Fu Bernardo Bertolucci che propose al giovane Dario Argento - suo collega nella sceneggiatura di C'era una volta il west (Leone 1968) - di curare l'adattamento del romanzo giallo The Screaming Mimi di Fredric Brown (1953; in Italia sarà pubblicato solo nel 1997 con il titolo La statua che urla).
Argento si innamorò della storia, che modificò notevolmente rispetto al libro, arricchendola di sue suggestioni, finché dopo averla proposta a diversi produttori che avrebbero snaturato il suo progetto, grazie all'aiuto economico del padre Salvatore fondò la casa di produzione Seda Spettacoli e decise di girare egli stesso il film.
La pellicola, distribuita dalla Titanus, si avvalse anche di due mostri sacri del cinema italiano: Vittorio Storaro come direttore della fotografia e Ennio Morricone per la colonna sonora. La prima è bellissima, fredda e chirurgica; la seconda è dominata da un azzeccatissimo tema portante (ascolta) che ancora oggi mette i brividi - così come succederà per la musica dei Goblins in Profondo rosso - spesso citato negli anni seguenti (si pensi alla ripresa che ne hanno fatto, ad esempio, i Baustelle in Fantasma - Titoli di testa).

Tante le influenze cinematografiche, a partire dall'inizio del film, quando nella bellissima sequenza ambientata nella galleria d'arte, in cui sono esposte delle statue a metà tra l'horror e la fantascienza, una delle opere sembra riprodurre la luna di Viaggio sulla luna di Georges Méliès (1902). Così, l'idea delle fotografie come testimonianze dei delitti, che in questo caso sono ricordi nella mente del protagonista o scatti pubblicati sul giornale, appare un'evidente derivazione da Blow Up (1966), il capolavoro di Michelangelo Antonioni in cui la macchina fotografica e i suoi prodotti risultavano fondamentali per lo sviluppo della trama (peraltro il protagonista di Profondo rosso sarà proprio David Hammings, protagonista del film di Antonioni).
Il dipinto naif del film e
Cacciatori nella neve di Bruegel
Allo stesso tempo, alcuni momenti divertenti stemperano il pathos, come dimostra la sequenza del riconoscimento al commissariato, in cui per un errore lessicale viene inserito tra i sospetti pervertiti un travestito, nell'ambiente noto come "Ursula Andress", una citazione cinematografica che suscita l'ilarità dei personaggi e degli spettatori. Lo stesso accade per i diversi personaggi dai nomignoli tipicamente romani, che sembrano usciti dalla commedia italiana dei due decenni precedenti, come Addio (Gildo Di Marco), un carcerato che usa questa parola come intercalare per evitare di balbettare; Er Siringa, sicario tossicomane; ma soprattutto Er Filagna (Pino Patti), indolente informatore dai comportamenti dissociati, che agisce sempre in contrasto con quanto ha appena detto.
Un discorso a parte merita il pittore naif Consalvi (Mario Adorf), autore del dipinto che diventa centrale nel corso delle indagini - e che tanto ricorda Cacciatori nella neve di Pieter Bruegel il Vecchio (1565, Vienna, Kunsthistorisches Museum) -, il quale viene tratteggiato come un misantropo che ha chiuso tutte le aperture della sua casa al piano terra per non essere disturbato, un uomo che vive con un'igiene quantomai precaria e alleva gatti per nutrirsene (una sorta di Pontormo, stando a quello che racconta di lui Vasari, fuso con Ligabue).

Le location sono scelte con accuratezza - si pensi alla bella inquadratura delle scale triangolari dell'Hotel Astrid nel rione Flamino o all'utilizzo di Villa Paganini come residenza di una delle vittime - e la ricostruzione dei luoghi perlopiù romani in cui il film fu girato meriterebbe un approfondimento (v. Davinotti), grazie al quale si scopre, ad esempio, che il cinema che fa da sfondo ad uno dei momenti dell'inseguimento trasteverino, in cui si sta proiettando La donna scarlatta (Valère 1969), sia in realtà il Fiamma di via Bissolati (sulla sinistra, peraltro si vede anche l'agenzia di viaggio tuttora esistente!).
Dario Argento gira benissimo, e lo dimostrano soprattutto le tante sequenze di massima tensione precedenti gli omicidi o i tentativi di attuarli. Tra le prime, tiene incollati allo schermo il ritorno a casa (proprio Villa Paganini) della bellissima ragazza interpretata da Rosita Torosh, che vediamo passeggiare in un parco di notte, indugiare solitaria in strada, secondo una sorta di manuale di tutto ciò che non bisognerebbe fare in situazioni simili, ma in ossequio ad uno dei fondamentali topos cattura-spettatore del genere horror. Tra i secondi, merita la citazione l'inseguimento per le vie di Trastevere, fino al rimessaggio dei bus, in cui Sam rincorre un sicario che ha tentato di ucciderlo: il tocco geniale, degno dell'ironia di Hitchcock, è dato dalla fuga di quest'ultimo che, pur se vestito con una sgargiante giacca gialla, svanisce nel nulla quando il giovane americano lo raggiunge in un locale in cui si tiene un ritrovo di ex pugili, tutti con indosso quella divisa... Ma il cinema di Alfred Hitchcock aleggia sulla pellicola anche in altri momenti: nelle numerose inquadrature di particolari ravvicinati che, con dei carrelli all'indietro, diventano dei totali (il gioco dal piccolo al grande e soprattutto dal grande al piccolo è uno dei tanti meccanismi di suspense usati dal regista inglese per mettere a conoscenza il pubblico di dettagli ignoti ai personaggi stessi).
La mdp gioca spesso con lo spettatore, come evidenziano le molteplici soggettive, sia dal punto di vista delle vittime, sia da quello dell'assassino, amplificando la tensione in maniera determinante; lo stesso vale per la soluzione dell'enigma, messa a disposizione di chi guarda sin da subito, ma che gli artifici registici e il posizionamento della camera non permettono di avere chiaro se non alla fine del film; e infine il sonoro, altro elemento essenziale, in cui, oltre alla musica già evidenziata, hanno un ruolo importante urla, stridii di lame e rasoi, voci registrate e, ovviamente, il verso del volatile che dà il titolo alla pellicola. 
Gli ultimi due, in particolar modo, non solo sono elementi basilari anche ai fini della trama, ma il cineasta romano gli dedica intere sequenze in cui degli esperti li analizzano scientificamente per fornire qualche indizio in più: un perito codifica le voci delle telefonate che l'assassino fa alla polizia e a Sam, e quest'ultimo chiede ad un suo amico ornitologo di scoprire quale sia l'uccello che si sente in quelle telefonate, e solo allora sapremo che si tratta di un Hornitus Nevalis del Caucaso (nella realtà una comune Gru coronata, a cui bisognava conferire un'aura di mistero e di rarità), un dettaglio che si rivelerà piuttosto decisivo...

2 commenti:

  1. Grandissimi ad aver notato questa somiglianza/citazione artistica di Dario a Bruegel...anch'io ci rimasi la prima volta.

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  2. Non è Terence Stamp ma David Hemmings

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