Chi ha mai detto che i cattivi al cinema debbano essere antipatici? Spesso le storie raccontate nel buio delle sale ci mettono alla prova, provando a farci identificare con i personaggi negativi, questo è certo, ma il personaggio di Harry Lime de Il terzo uomo è un gradino sopra gli altri, pur se la sua naturale simpatia non deriva tanto dalla sceneggiatura, quanto dal volto del suo interprete, un Orson Welles sornione, dal sorriso beffardo, ma per cui non è possibile non parteggiare...
La presenza nel cast del golden boy di Hollywood, che solo otto anni prima aveva realizzato Quarto Potere, deve essere stata ingombrante e sembra esserlo ancora, poiché capita di leggere riferimenti al film come opera di Orson Welles e non di Carol Reed, il regista inglese che invece lo diresse, partendo dal soggetto di Graham Greene, che scrisse anche la sceneggiatura e in contemporanea anche un romanzo uscito l'anno seguente.
Leggi la trama:
Il mito che aleggia attorno a questa pellicola fa sembrare quasi ininfluente la storia, che pure è bellissima, ambientata in una Vienna ridotta in macerie dalla Seconda guerra mondiale, divisa in quattro settori controllati dagli Stati Uniti, dalla Francia, dall'Inghilterra e dall'Unione Sovietica. Di fatto la trama di sviluppa a partire dall'indagine che Holly Martins (Joseph Cotten), arrivato a Vienna per un lavoro propostogli proprio dal suo amico Harry Lime, decide di intraprendere quando scopre che Lime sarebbe morto per un incidente stradale sulla cui dinamica i vari testimoni non sembrano concordare, inducendolo a pensare che si sia trattato di un omicidio...Conosce così gli amici di Harry, il barone Kurtz (Ernst Deutsch) con il suo inseparabile cagnolino (che compare anche nelle foto sul set), Popescu, che sembra una versione rumena del Poirot di Agatha Christie, il medico Winkel (Erich Ponto), nonché la sua splendida amante, la cecoslovacca Anna Schmidt (una bellissima Alida Valli, che curiosamente nei titoli di testa appare con il solo cognome), di cui fatalmente si innamora. D'altronde nel raccontare il proprio rapporto con Lime ad Anna, in cui lo ricorda come un ragazzino furbo e pronto a fronteggiare con successo qualsiasi tipo di ostacolo, Holly esordisce proprio con un "voleva rubarmi la ragazza".
A tentare di dissuaderlo dall'inchiesta il maggiore Calloway (Trevor Howard), che Holly si ostina a chiamare Callaghan, nonostante il militare precisi di non essere irlandese, e che spiega di cosa sia accusato Lime, considerato un contrabbandiere, arricchitosi rubando e rivendendo al mercato nero, a cifre altissime, penicillina diluita, e causando, così, centinaia di morti soprattutto tra i bambini. Harry Lime, però, è vivo, e incontrerà Holly in due delle sequenze più belle dell'intero film. La prima volta nel buio della notte, in strada, quando il suo volto sorridente viene illuminato accidentalmente dalla luce di una finestra: si tratta, finalmente, della tanto attesa apparizione di Orson Welles, il protagonista in absencia per circa un'ora.
E qui Carol Reed rende complice lo spettatore che prima di Martins comprende che si tratti di lui, grazie ad un escamotage narrativo degno di Hitchcock e che non ha bisogno di parole, poiché è la mdp che ce lo racconta: il gatto di Anna, infatti, uscito dalla finestra, si avvicina ai suoi piedi e indugia sulle sue scarpe, dandoci la certezza che non sia uno sconosciuto. La seconda volta è alla ruota del Prater di Vienna, uno dei simboli della capitale austriaca: qui i due fanno un giro sulla giostra, durante il quale Harry dà al suo amico i dettagli della sua vita criminosa e priva di scrupoli, ma senza palesare alcun rimorso, convinto che "questo mondo non crea eroi", e aggiungendo un terribile discorso sull'importanza degli uomini che, visti dall'alto, sembrano solo dei puntini: poco male, quindi, se per arricchire se stesso questi debbano diminuire...
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Welles, che per aumentare il proprio compenso si fece rincorrere per tutta la durata delle riprese in giro per l'Europa, in un film in cui la produzione, peraltro, era diretta da giganti come Alexander Korda e David O'Selznick, collaborò alla scrittura e sua è l'aggiunta, per esempio, della battuta più celebre della pellicola, entrata di diritto tra le più belle della storia del cinema: "Sai quel che diceva quel tale? In Italia per trent'anni e sotto i Borgia ci furono guerre, terrore, omicidi, carneficine, ma vennero fuori Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento; in Svizzera non ci fu che amore fraterno ma in 500 anni di quieto vivere e di pace che cosa ne è venuto fuori? L'orologio a cucù".
Harry Lime è il male incarnato e, come dirà lo stesso Welles "non aveva passioni, era freddo: era Lucifero, l'angelo caduto".
Guardando il film, sembra esserci tanto altro del cinema di Orson Welles, a partire dalla struttura narrativa, basata sull'indagine di un uomo che non c'è, proprio come in Quarto potere, da cui sembrano mutuate anche le molte inquadrature sghembe, diagonali, che danno un senso di oppressione. La mdp ha spesso dei punti di vista ricercati, cosicché la vediamo "spiare" i personaggi dai pilastri di una balaustra, dalla base di una scala a chiocciola, e così via. Eppure, stando alle parole dello stesso Welles, riportate nel celebre libro-intervista di Peter Bogdanovich, Io, Orson Welles, "Ho avuto solo qualche idea. Come quella delle dita che sbucano dalla griglia", che in effetti sono solo la ciliegina sulla torta di una sequenza come quella dell'inseguimento nella rete fognaria della città, in cui Carol Reed dà il meglio di sé. Ma come non considerare un ulteriore omaggio a Welles, per esempio, la stessa presenza di Joseph Cotten, che aveva lavorato sia in Citizen Kane che ne L'orgoglio degli Amberson, nel primo caso, peraltro, interpretando Jedediah, l'amico di Kane, come stavolta è Martins, amico di Lime?
È difficile oggi capire a sufficienza quale sia stata la portata del capolavoro di Carol Reed, però può aiutare ricordare che a Vienna esiste un museo a tema, il Dritte Mann Museum! A memoria penso al Margaret Mitchell House ad Atlanta, dedicato a Via col vento, ma non credo siano molti i film che possano vantare lo stesso onore.
È difficile oggi capire a sufficienza quale sia stata la portata del capolavoro di Carol Reed, però può aiutare ricordare che a Vienna esiste un museo a tema, il Dritte Mann Museum! A memoria penso al Margaret Mitchell House ad Atlanta, dedicato a Via col vento, ma non credo siano molti i film che possano vantare lo stesso onore.
Detto questo, invece, è più facile comprendere perché Orson Welles, che in quegli anni recitò in film di altri registi solo per ottenere i soldi per girare il suo Otello (1952), in seguito dirà "odiavo Harry Lime": questo nome diventerà così celebre da attaccarglisi addosso indelebilmente, un'identificazione totale che per un regista e attore così trasformista e versatile doveva davvero essere intollerabile. Andrè Bazin ha perfettamente sintetizzato il successo di questo personaggio: "bandito affascinante in armonia con il disincantato romanticismo dell'epoca, arcangelo dei pantani, contrabbandiere delle frontiere tra il bene e il male, mostro degno di amore, Harry Lime, questa volta, era più di un personaggio: era un mito".
Eppure, oltre le linee di sceneggiatura nere e ciniche, c'è anche tanta ironia, rigorosamente british: un caso esemplare è quello in cui Martins viene sospettato dalla folla della morte del portiere del palazzo in cui viveva Lime... solo perché un bambino che lo aveva discutere con la vittima lo ha riconosciuto.
E proprio quel bambino, che gioca con una palla nelle due scene in cui compare, è un'evidente citazione d M il mostro di Düsseldorf (Lang 1931), punto di riferimento dell'espressionismo tedesco, corrente cinematografica a cui Reed si rifà anche nelle numerose inquadrature in cui le figure dei personaggi vengono anticipate dalle silhouette delle loro ombre per le strade della città. Ed è sempre lo stralunato Holly Martins che, da scrittore di romanzi western, si ritrova ad essere coinvolto dal direttore dell'albergo di cui è ospite in una conferenza sulla crisi della fede nella storia del romanzo, esibendosi in un'imbarazzante scena muta - non sa nemmeno chi sia James Joyce! - che causa lo svuotamento dell'intera sala.
Tra i contributi fondamentali alla fama del film, oltre al bellissimo bianco e nero fotografato da Robert Krasker, unico a vincere l'Oscar (la regia di Reed però vinse a Cannes), va senza dubbio inserita la colonna sonora di Anton Karas, il musicista austriaco ingaggiato da Reed dopo averlo conosciuto casualmente in una trattoria. Con la sua zitara tirolese realizzò l'Harry Lime theme, che divenne un motivo celeberrimo e gli valse notorietà e successo permettendogli di suonare di fronte ai principali reali d'Europa, compreso papa Pacelli in Vaticano nel 1950 (in Italia venne anche chiamato ad accompagnare Rita Pavone nel tormentone di Viva la pappa col pomodoro per il Gian Burrasca televisivo del 1964).
Chi è il terzo uomo? Per quello bisogna rivedere il film... o andare a Vienna a visitare il museo e a seguire il tour che passa nei punti della città che furono location della pellicola!
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