Strutturata come una tragedia classica, con tanto di agnizione finale, la storia di questa commedia in pieno stile Magni, si avvale anche di altri due grandi nomi del cinema italiano, grazie al montaggio di Ruggero Mastroianni e alle musiche di Armando Trovajoli.
La presa di Roma come solo Luigi Magni può raccontarla: un monsignore (Pippo Franco) che pur di non cedere alla repubblica auspica l'ingresso dei bersaglieri come operazione di polizia e d'ordine; un nobile meno lungimirante, don Prospero Santagata (Ugo Tognazzi), a capo delle guardie papali, che non vuole arrendersi all'evidenza e preferisce barricare se stesso e la sua famiglia nel proprio palazzo; un primogenito dissidente, Urbano (Ricky Tognazzi), che simpatizza per la nascente nazione, camuffando il tutto con un'improbabile carriera di pittore...
Gli uomini fanno la storia e le donne, come spesso capita nelle opere del regista romano, la comprendono ben prima di loro, solo che stavolta nel ruolo di corifeo al femminile, che ne L'anno del Signore (1969) era di Claudia Cardinale, ci sono tre attrici: Giovannella Grifeo, che interpreta Olimpia, figlia di don Prospero; Ombretta Colli, nei panni di Costanza, moglie del nobile che millanta origini borgiane; Giovanna Ralli, la domestica Nunziatina, naturalmente la più sagace e acuta di tutte. A condire ulteriormente le vicende, l'immancabile storia d'amore, di certo l'elemento di gran lunga più debole della trama, ma che regala momenti di grande ironia, soprattutto in virtù del triangolo tra Olimpia, la matrigna Costanza e il giovane don Alfonso dell'Aquila d'Aragona (Vittorio Mezzogiorno), invaghito della prima e corteggiato dalla seconda.
Gigi Magni è perfetto nell'inserire rilevanti eventi storici all'interno del soggetto, in un continuo gioco tra macro e microstoria, cosicché da gran conoscitore delle vicende romane, non sorprende sentir parlare di infallibilità papale da poco promulgata, a pochi giorni dalla breccia di Porta Pia (rispettivamente a luglio e a settembre del 1870): e allo stesso modo è divertente seguire nel montaggio alternato i differenti progetti di Prospero e Costanza sugli allora Prati di Catello, di loro proprietà: il principe li vede come terreno da desertificare per sconfiggere le truppe nemiche, mentre la principessa vuole sfruttarli lottizzandoli attraverso una portentosa speculazione edilizia, certa del trasferimento della capitale d'Italia a Roma e della conseguente necessità di abitazioni della nuova classe dirigente... Inutile dire che la storia darà ragione a Costanza e che oggi la zona di Prati resta uno dei più importanti quartieri romani postunitari.
Molti dei personaggi sono indimenticabili e recitano battute che, oltre ad essere taglienti e folgoranti, offrono una visione del Risorgimento così realistica e disincantata, che difficilmente può essere rintracciata nei libri di storia, ma che è pane quotidiano di una città che fa continuamente i conti con le illusioni che, per dirla con Federico Fellini, ne costituiscono un tratto distintivo ("Roma è la città delle illusioni: non a caso qui ci sono la Chiesa, il governo e il cinema, tutte cose che producono illusione". Roma, 1972). La sorpresa generata da queste illusioni colpisce soprattutto chi non è avvezzo agli inganni della città, come accade al giovane bersagliere settentrionale Gustavo Morini (Enrico Papa), che risulta goffo e impacciato nel suo idealismo lontanissimo dalla realtà quotidiana romana: così lo vediamo incredulo, dopo essersi imbattuto in Toto, il garzone che di notte gira per il palazzo vestito da donna, e che gli fa esclamare "Roma è tutta così?", "Anche peggio" la pronta risposta di Nunziatina; ma ancora di più quando riceve un insegnamento tutto romano da Olimpia, che dopo avergli dato un appuntamento poco chiaro, gli risponde che "A Roma 'na cert'ora è 'na cert'ora".
E così ancora il già citato e agognato compromesso di monsignor Paolo, che non perde occasione per mangiare ai quattro palmenti, si fa esplicito nel dialogo con Nunziatina, a cui senza mezzi termini precisa: "ma non hai capito che qua il potere lo mantenemo solo se je damo Roma?", definendo Vittorio Emanuele II "un re cattolico e timorato di Dio, che rispetta i preti". Allo stesso tempo Pio IX (Carlo Bagno) dice altrettanto chiaramente di voler solo "quattro cannonate pro forma", di fatto stendendo il tappeto rosso ai bersaglieri che danno il titolo al film per il loro ingresso in città.
Sono però don Prospero e la domestica Nunziatina, interpretati da Ugo Tognazzi e Giovanna Ralli, i due ruoli principali di un film che vive soprattutto dei loro acuti e dei loro contrasti: alla popolana arguta spetta una bellissima sintesi dell'intera trama, condensata in un'ironica rivelazione da pronunciare proprio all'ignaro don Prospeto ("Je dimo: don Pro', Urbano è bersagliere, anzi era bersagliere, perché 'nvece de sta a Parigi sta sottotera per via che l'ha ammazzato don Alfonso che voi volete fa sposa' a vostra fija, ma che tra tanto ve se scopa vostra moje"); mentre don Prospero Santagata è legato ad un'epoca ormai passata, un ancient regime papalino che non tornerà più, sulla scorta di una mentalità che gli permette di sentenziare con un monologo che sa di amaro presagio che "l'Italia è nata male" e che il suo futuro non può che riservarle anni di guerre e sopraffazioni...
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