L'acquedotto di Nepi |
La pellicola è una delle più belle commedie di sempre del cinema italiano: L'armata Brancaleone di Mario Monicelli (1966), ambientato perlopiù nel Lazio settentrionale, sfruttando alcuni dei tanti paesi caratteristici della zona e non solo...
Il film prende avvio mostrando uno dei suoi tanti anacronismi: la prima sequenza, infatti, si svolge a ridosso dell'acquedotto di Nepi che, pur se ispirato alle strutture romane, è costituito da fornici realizzati in due fasi, 1559-63 e 1702-27, ben oltre l'epoca medievale della storia monicelliana.
La Torre di Chia |
L'immagine successiva mostra l'accampamento in cui i futuri componenti della scalcagnata armata vanno a chiedere a Brancaleone da Norcia (Vittorio Gassman) di essere "lo nostro duce" per andare alla conquista di Aurocastro.
La Torre di Chia nel film e in una foto con Pasolini |
L'ingresso a Vitorchiano |
Tutti, eccetto il guardingo Teofilatto dei Leonzi, entrano nella città passando per un grande arco: tutta questa zona è rimasta identica a come si presentava nel 1966 e per gli amanti del film (sfido chiunque a non esserlo!) è possibile compiere lo stesso percorso e sedersi sul parapetto su cui si siede Gian Maria Volonté nel film...
Un arco a Vitorchiano |
Da queste faccende Brancaleone verrà distolto dal soave canto, il celeberrimo "cuccurucù" intonato da una discinta e voluttuosa Maria Grazia Buccella ("prenidmi dammiti, dammiti prendimi"). Questa scena, però, è girata a Viterbo e il portone della residenza della dama è quello di Palazzo Chigi.
Solo dopo aver scoperto che l'assenza di abitanti è dovuta a "lo morbo che tutti ci piglia", Brancaleone ritorna sui suoi passi e nella piccola via di Vitorchiano di cui si distinguono le mura.
L'intera armata lascia la cittadina sulle orme di Aquilante - "egli conosce la via della fuga" - compiendo aritroso il percorso già visto, prima sotto l'arco con le scale e poi sotto quello della piazza principale del paese, per riscendere a valle.
La scena davanti alle mura di Vitorchiano |
L'iscrizione del 1743 sotto l'arco d'accesso a Vitorchiano |
Dopo le sequenze con i pellegrini e lo splendido momento della separazione dal gruppo, con Brancaleone che invita tutti - "ite anco voi sanza meta, ma de un'altra parte" -, l'armata prende con sé la bella Matelda (Catherine Spaak), rapita e, come indica loro il suo tutore in punto di morte, destinata in sposa a Guccione di Rampazzo, dove decidono di portarla per codice cavalleresco, contro la stessa volontà della ragazza che si mostra più disposta ad altro...
La scena dell'incontro con Matelda è girata nella bellissima faggeta della selva cimina. Siamo sempre nei dintorni di Soriano nel Cimino e del bosco di faggi si riconoscono non solo gli alberi, ma anche le rocce trachitiche, i suggestivi massi di origine vulcanica che caratterizzano il luogo e che si presentano tondeggianti e ricoperti di muschio. Il giallo di Aquilante - dipinto tutte le mattine durante le riprese - crea un bell'effetto cromatico a contrasto con tutto quel verde e il marrone delle foglie a terra.
La faggeta della selva cimina |
Dopo la breve parentesi nel palazzo di Guccione da Rampazzo, dove si celebra la festa per l'arrivo di Matelda, si evidenzia un altro anacronismo. Brancaleone, infatti, venuto a sapere che la bella fanciulla si è ritirata in convento, dopo aver varcato il ponte che conduce nella realtà al Castello dell'Abbadia a Canino, giunge nel chiostro di San Francesco di questo paese, il cui chiostro presenta delle lunette affrescate del XV secolo.
Diverso il discorso per un altro ambiente chiesastico usato per il film, poco oltre, quando l'armata giunge nel palazzo dei Leonzi a richiedere invano il riscatto per il figlio Teofilatto. Qui Brancaleone si lascia sedurre dalla zia del personaggio interpretato da Gian Maria Volonté, Teodora (Barbara Steele), che lo conduce in un luogo appartato dove gli insegnerà che "piacere e dolore sono tutt'uno". L'ambiente in cui è allestita la camera da letto della "tortuosa bizantina", come l'apostrofa Brancaleone mentre inizia a frustarla anche lui, è la cripta di San Pietro a Tuscania.Del sacello di XII secolo, si riconoscono oltre alle 28 colonne romane di spoglio che la caratterizzano, anche gli affreschi e, soprattutto, quello della
La cripta di San Pietro a Tuscania |
Le Castella "interpretano" Aurocastro nelle Puglie |
Se al capolavoro di Monicelli, oltre al latino maccheronico di ispirazione folenghiana degli sceneggiatori Age e Scarpelli, serviva un contatto con la letteratura "alta", eccolo trovato, rimontando alle origini della letteratura occidentale...
Bellissimo Post, bellissimi posti, bellissimo film. Grazie
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