giovedì 7 agosto 2014

Risate di gioia (Monicelli 1960)

Pur se da considerare un Monicelli minore, questo film, restaurato nel 2013 da Cineteca di Bologna e Titanus in collaborazione con Rai Cinema, è comunque un piccolo gioiello della commedia italiana, con un ribaltamento nell'importanza dei ruoli in cartellone che, dati i tempi, risulta davvero sorprendente: Totò, infatti, si ritrova a fare da spalla ad una fantastica Anna Magnani, che stramerita il ruolo di protagonista indiscussa della pellicola nonostante, oltre al principe de Curtis, reciti al suo fianco anche un giovane e bravissimo Ben Gazzara.
A completare l'ottimo cast una serie di attori minori e caratteristi ben noti al pubblico della commedia italiana di quegli anni: da Toni Ucci (qui doppiato da Ferruccio Amendola) a Carlo Pisacane (l'indimenticabile Capannelle de I soliti ignoti e Abacucco ebreo ne L'Armata Brancaleone), da Gina Rovere (moglie del personaggio interpretato da Marcello Mastroianni ancora ne I soliti ignoti), a Elena Fabrizi, sorella dell'eterno Aldo e meglio nota come Sora Lella.

Leggi la trama:
Gioia Fabbricotti (Magnani) e Umberto Pennazzuto (Totò), rispettivamente soprannominati Tortorella e Infortunio, quest'ultimo perché abituale truffatore di assicurazioni, sono due amici e scalcinate comparse di Cinecittà che nella sera del veglione di Capodanno si ritrovano senza inviti, cosicché Gioia accetta di seguire un gruppo di conoscenti e Umberto di fare da spalla a Lello (Gazzara), un ladro che vuole approfittare della notte di baldoria per derubare chi festeggia nei veglioni più esclusivi della città.
Da questi presupposti, la serata prenderà tutt'altra piega, grazie a una continua serie di equivoci, a cominciare dalla convinzione di Tortorella, che crede di essere corteggiata da Lello, il quale in realtà sta semplicemente tentando invano di allontanarla, in modo da poter continuare il suo lavoro con Umberto.
I continui colpi di scena sono anche l'occasione per spostare i personaggi principali da una zona all'altra della città. Il primo veglione è a Piazza Esedra (nome che proprio nel 1960, in occasione delle Olimpiadi, venne modificato in piazza della Repubblica, pur se molti romani ancora oggi spesso preferiscono chiamarla come allora), che ammiriamo illuminata in una serata piovosa, con un Magnani bionda e vestita con un'improbabile abito da cerimonia "impreziosito" da una stola di volpe bianca, che fa da contrasto al buio della scena. Un secondo veglione è all'EUR, all'interno del Palazzo dei Congressi, dove Infortunio e Lello sono costretti a trattare con un'altra coppia di lestofanti (Toni Ucci e Edy Vessel) che rischiano di strappargli la preda, un ricco turista americano ubriaco... Strepitosa la sequenza della trattativa, durante la quale Gazzara e Ucci avanzano le percentuali di ricavo, adducendo chi la "precedenza" sulla preda, chi "la sofferenza", riferendosi alla bella fidanzata data in pasto al turista per riuscire a distrarlo.
All'EUR la povera Tortorella raggiunge i due compagni di viaggio dopo diverse peripezie, prima in metro (la linea B era stata inaugurata nel 1955, in vista delle Olimpiadi) e poi grazie ad un passaggio in moto dello stesso conducente, Alfredo (Mac Ronay), con cui ha appena passato una "indimenticabile" mezzanotte in vettura con un assaggio di "lenticchie, sedanuccio e cipolletta" preparati dalla moglie.
Esilarante l'arrivo in quella che oggi è Piazza J.F. Kennedy della Magnani, che scende dalla moto e si toglie dal vestito da sera i giornali usati per limitare il freddo.
La lunga passeggiata romana continua con una tappa alla Fontana di Trevi, dove il turista americano sempre più ubriaco vorrebbe fare il bagno e, infine, a Palazzo Farnesina ai Baullari (già dal 1948 sede del Museo Barracco, ma nella finzione del film, palazzo di nobili tedeschi), in cui i tre protagonisti vengono invitati a entrare, ma da dove si faranno cacciare vergognosamente... all'alba Tortorella, Infortunio e Lello passeggiano per Corso Vittorio Emanuele II, commentando a suon di luoghi comuni la condizione "fracica" della società, ed entrano a Sant'Andrea della Valle con intenzioni opposte...
Il film praticamente si chiude con la Magnani che urla "miracolo", come aveva fatto da comparsa a Cinecittà all'inizio della storia, che quindi ha un compimento circolare.
Piccola coda al finale, un'ultima scena che costituisce anche l'ultima cartolina romana sul lungotevere del San Michele, ma ormai siamo in agosto e i bambini fanno già il bagno nel fiume, mentre Tortorella cammina vestita come se fossimo in pieno dicembre...

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Monicelli in questa pellicola ebbe il merito di accoppiare per la prima e ultima volta al cinema Anna Magnani e Totò, che pure avevano lavorato molto insieme nella rivista - epoca a cui viene riservato un omaggio con i due attori che cantano Geppina Geppì - e convincendo la Magnani, non troppo convinta inizialmente di tornare alla vecchia commedia, dopo aver vinto l'Oscar a Hollywood (La rosa tatuata, Lumet 1955). 
Il regista, oltre alla straordinaria bravura dei protagonisti e agli scenografici scorci di Roma - ben fotografati da Leonida Barboni -, si avvale di una sceneggiatura magistrale scritta insieme ad altri indimenticabili nomi del cinema italiano come Suso Cecchi d'Amico e Age & Scarpelli, che per il soggetto prendono le mosse da due novelle dei Racconti romani di Alberto Moravia (Le risate di Gioia e Ladri in Chiesa).
Il fondo triste e malinconico della fine di un'epoca, ben sottolineato da Monicelli in un'intervista, viene alleggerito proprio dal gran lavoro di scrittura, che ci regala tantissimi momenti e battute da mandare a memoria: "tu sei 'na palla de piombo, chi sta co' tte, ha da affonnà pe' fforza!", dice Tortorella a Infortunio durante un battibecco; "Giovanotto, ma dove andiamo a finire così" e pochi secondi dopo "Ma vacce, nun fa a cretina", nello splendido monologo che la Magnani fa di fronte ad uno specchio dopo aver ricevuto un'esplicita avance da Lello, durante il quale, come in tutto il film, dà il meglio di sé alternando la spontaneità romana all'incerto tentativo di darsi un tono parlando in italiano forbito quando deve far bella figura con interlocutori che non conosce (indimenticabile a tal proposito il "non odo", detto fingendo di avere un problema al timpano a causa dello scoppio di un petardo durante i festeggiamenti del capodanno). 
È ancora alla Magnani che spetta sentenziare sul mondo dei ricchi, mentre osserva alcuni oggetti di valore che arredano la casa ai Baullari: "in fondo il signore si distingue da questo, ha la passione per le cose inutili...". 

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