Forse bisognerebbe sdrammatizzare, ora che dopo soli sei mesi dal suicidio di Philip Seymour Hoffman, se ne aggiunge un altro, quello di Robin Williams, e nel provare a farlo il pensiero va all'indimenticabile scena de I soliti ignoti (Monicelli 1958), in cui Vittorio Gassman, Totò, Tiberio Murgia e Carlo Pisacane alternano i luoghi comuni più scontati in simili occasioni, "oggi una buona notizia, domani una cattiva", "pare che dorma", "meglio ricordarlo da vivo", "sono sempre i più meglio che se ne vanno..." "eh, è la vita, oggi a te, domani a lui" "ah, ma tocca a tutti, o presto o tardi..." "per quello che mi riguarda, è meglio dopo che prima...".
Ma proprio la saggia conclusione di Dante Cruciani, interpretato dal principe de Curtis, non sembra spesso essere un obiettivo di chi dalla vita ha ricevuto tanto, quasi tutto, ma di cui non riesce proprio ad accontentarsi...
Robin Williams muore a 63 anni, dopo una grande carriera culminata nell'Oscar come miglior attore non protagonista per Genio ribelle (Van Sant 1997), e tante altre interpretazioni di livello, soprattutto a cavallo tra gli anni '80 e '90, quando fu in assoluto uno dei più celebrati attori di Hollywood: dal Braccio di Ferro di Popeye (Altman 1980) al presentatore radiofonico di Good Morning, Vietnam (Levinson 1987), grazie a cui vinse anche un Golden Globe; dal professore de L'attimo fuggente (Weir 1989) al dottore di Risvegli (Marshall 1990); dal clochard di La leggenda del re pescatore (Gilliam 1991) al Peter Pan di Hook - Capitan Uncino (Spielberg 1991); dal papà disposto a travestirsi da donna per far da governante ai propri figli di Mrs Doubtfire (Columbus 1993) allo scrittore Walter Finch di Insomnia (Nolan 2002).
In Italia il suo volto, soprattutto per chi era bambino ad inizio anni '80, è indissolubilmente legato a Mork & Mindy (1978-82), la serie tv nata come spin off di Happy Days, in cui interpretava l'alieno catapultato sulla terra dal pianeta Ork, innamorato della giovane Mindy, vestito con l'inconfondibile maglietta a righe e le bretelle e caratterizzato da un suo saluto identificativo diventato un cult, il celebre "na-no na-no".
Nato a Chicago da una famiglia benestante - il padre era dirigente della Ford -, Robin a sedici anni aveva seguito i genitori in California, dove si era diplomato nel 1971 e aveva iniziato la facoltà di scienze politiche. Qui aveva scoperto il teatro, motivo per il quale lasciò l'università e si iscrisse alla Juilliard School di New York, dove ebbe come maestro John Houseman (attore celebrato, fondatore nel 1937 del Mercury Theatre insieme ad Orson Welles, con cui ideò il progetto di Quarto Potere).
Dalla seconda metà degli anni '70 arrivò il successo televisivo e, in un secondo momento, a partire dal 1980, anno dalla pellicola altmaniana su Braccio di Ferro, quello cinematografico.
Robin lascia tre mogli e altrettanti figli: Valerie Velardi, sposata nel 1978, dalla quale ebbe Zachary e da cui divorziò a causa della relazione con la bambinaia del figlio (ironia del cinema...), Marsha Garces, sua seconda moglie dal 1989, da cui ha avuto Zelda e Cody, e infine Susan Schneider, sposata nel 2009.
Vittima di depressione, verrebbe da pensare si sentisse sfocato come il personaggio di Mel interpretato in Harry a pezzi (Allen 1997; vedi), la sua vita si interrompe dopo aver assistito alla fine di quella di due suoi grandi amici come John Belushi e Christopher Reeve. Mi piace pensare che sarà proprio una risata sarcastica di John ad accoglierlo, anche se non so bene dove...
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