martedì 5 agosto 2014

Radio Days (1987)

Sicuramente uno dei migliori di Woody Allen, Radio Days è uno dei grandi film degli anni '80, capace di catapultare lo spettatore nella vita quotidiana di una famiglia ebraica di cinquant'anni prima, quando gli eventi ruotavano attorno alla radio...
Neanche a dirlo, i protagonisti vivono a New York, nel Queens e, più precisamente, nella zona di Rockaway Beach, che il giovane narratore, il piccolo Joe (Seth Green, attore ancora oggi  e, per gli appassionati, voce originale di Chris ne I Griffin), ricorda nelle giornate di pioggia che preannunciavano l'inverno. Joe non solo racconta la storia al passato, segno che l'intera vicenda si basa sui suoi ricordi di infanzia, ma egli stesso è, di fatto, per età, contesto e inconfondibile capigliatura rossa, Woody Allen bambino (trailer). E così la pellicola diventa l'occasione per narrare il suo amore per il 'vendicatore mascherato'; le raccolte di denaro con gli altrettanto confusi amici, che per le strade chiedono soldi per lo stato della Palestina (!); le figure autoritarie attorno a lui, madre (Julie Kavner), padre (Michael Tucker) e rabbino, che in una sequenza esilarante fanno a gara nel prenderlo a scappellotti per attribuirsi il merito della sua formazione; schiaffi "educativi" che tornano anche inflitti dal padre, che lo colpevolizza con un laconico "perché non vuoi fare il genio?".
Le atmosfere, quindi, pur se malinconiche, sono quelle di una bellissima commedia, sorretta da una sceneggiatura a tratti davvero sublime, ma che forse, a voler essere davvero esigenti, manca di una rigorosa organicità e risente molto dei primi libri del regista, costituiti soprattutto di battute taglienti (Saperla lunga, 1973; Citarsi addosso, 1976; Effetti collaterali, 1981).
Un discorso a parte meritano gli straordinari ritratti dei personaggi della famiglia che, in pieno stile ebraico, vive tutta insieme o quantomeno a strettissimo contatto, tanto da generare continue liti, recriminazioni e intolleranze tipiche della convivenza forzosa: non solo la madre - rigida donna accentratrice mai soddisfatta - e il padre - molto più molle e che si vergogna del proprio mestiere - che formano una coppia tipicamente mal assortita, che litiga per ogni dettaglio quotidiano e che il figlio ha visto baciarsi in una sola occasione in vita sua; ma anche lo zio Abe (Josh Mostel), che obbliga la moglie a pulire e cucinare pesce tutti i giorni o quasi, e soprattutto la zia B (Dianne Wiest), rimasta zitella perché non accetta i compromessi della coppia. A tal proposito, in uno dei brani migliori della sceneggiatura, la sorella, la mamma di Joe, le spiega con una sintesi a dir poco disincantata sul rapporto di coppia che "se aspetti la perfezione, quando resti incinta? Ti ritrovi con la dentiera in un bicchier d'acqua!" oppure "un tempo l'uomo sposava la donna solo perché voleva un mulo in più".
E poi il rapporto con i vicini, considerati rivali dalla famiglia: i Liedermann, con cui condividono il duplex telefonico, che tra gli svantaggi ha quello della privacy...., e che hanno vinto ad un quiz televisivo a cui in realtà hanno partecipato dei ladri, entrati in casa loro naturalmente con altre finalità (è questo il folgorante inizio del film!). Ancora più complicato è il rapporto con gli altri vicini, che sono persino comunisti e non celebrano il sabato: in una scena indimenticabile lo zio di Joe va per cantargliene quattro ma ritorna con discorsi sulla "lotta di classe" e considerazione su dio e religione, rispettivamente ritenuti "un essere superiore immaginario" e "l'oppio dei popoli", ecc.
Un altro grande merito di Radio days quella di collegare alla microstoria della famiglia di Joe, i fatti della macrostoria, come dimostra la narrazione di una delle sfortunate serate galanti di zia B, che si ritrova abbandonata proprio a causa del più celebre "inganno" radiofonico: il suo accompagnatore fugge dall'auto quando sente Orson Welles ne La guerra dei mondi, il programma radiofonico che il 30 ottobre 1938 fece credere a molti cittadini statunitensi in un attacco alieno.
Altrettanto straordinarie sono le vicende di Sally White (Mia Farrow), la giovane e svampita ragazza che vende sigarette in un locale ma che si apparta in terrazza con il potente Roger con la speranza di una carriera nel mondo dello spettacolo, non senza meravigliarsi della rapidità dell'amplesso, pur adducendo una spiegazione davvero degna del miglior Woody Allen: "mamma mia che sveltezza, forse ha influito che avevo il singhiozzo!" La stessa Sally più tardi verrà "sedotta" da Rocco (Danny Aiello), un malvivente d'origine italiana che non riesce ad ucciderla e la porta a cena dalla madre, una strepitosa signora che parla, almeno nella versione italiana, uno statunitense così italianizzato da sembrare una Tina Pica a stelle strisce e cita Brooklyn come "brucculino"...
Nella mascrostoria rientra anche la Seconda guerra mondiale, trattata con grande leggerezza: la stessa Sally, ad esempio, dopo aver conosciuto un "pezzo grosso" ha una particina in un dramma di Cechov da recitare alla radio ma, ironia della sorte, poco prima del suo ingresso in scena, la trasmissione viene interrotta per comunicare al Paese l'attacco di Pearl Harbour del 1941. La donna si ritrova così a cantare per le pubblicità e negli spettacoli per i soldati...
È indicativo soprattutto quello che accade ai bambini che, proprio in quei giorni, appassionatisi alle divise naziste, ne saranno distolti dalle grazie di una formosa donna che dopo la doccia danza nuda davanti ad uno specchio nel palazzo di fronte (Woody Allen prende posizione e sceglie per i suoi giovani personaggi un'attività più sana...).
Le rapide battute o piccole gag messe in immagini sono tantissime e tutte meriterebbero di essere ricordate: dall'inspiegabile ammirazione per un ventriloquo radiofonico (sic!), all'anziana signora Silvermann, punita per la sua curiosità, e portata via dall'ambulanza irrigidita e con la tazzina del caffè in mano, dopo un colpo apoplettico conseguente al bacio di una ragazza bianca con un ragazzo di colore; ma anche la storia dell'immaginario Kirby Kyle, sfortunato giocatore di baseball che anno dopo anno perde una gamba, un braccio, la vista e, infine, muore, ma ogni volta continua a giocare a baseball, fino a vincere nel regno dei cieli.
In un film dedicato all'amore per la radio, inoltre, non può mancare il riferimento quasi religioso al Radio City Music Hall, vero paradiso in terra per Joe che la prima volta ci entra con la zia B e il suo fidanzato del momento. Proprio qui c'è uno dei momenti in cui gli omaggi radiofonici lasciano spazio a quelli cinematografici, quando si vede uno schermo che mostra il bacio tra Katherine Hepburn e James Stewart nel bellissimo Scandalo a Philadelphia (Cukor 1940).
Da questo punto di vista, c'è spazio anche per l'amato Fellini (Radio Days  per certi versi può essere considerato l'equivalente alleniano di Amarcord), palesemente evocato nella sua caratteristica più peculiare, l'onirismo, quando una suggestione radiofonica diventa reale nell'immaginazione di Joe, che vede comparire a fior d'acqua il sommergibile protagonista delle storie ascoltate alla radio dalla voce della star Bill Baxter, interpretato da Jeff Daniels. Oltre al cameo di quest'ultimo, Woody Allen ne riserva un altro a Diane Keaton, nei panni di una cantante, nonché a Judith Malina, una delle fondatrici del Living Theatre, che qui è l'anziana vicina che si lamenta poiché le sue telefonate personali vengono "spiate".
La colonna sonora, evidentemente, celebra gli anni 30' e '40, alternando capolavori che vanno dalla Danza dei calabroni nella versione jazz di Harry James, sui titioli di testa, a  You and I di Tommy Dorsey, da In the mood di Glenn Miller a Begin the Beguine di Cole Porter, e tante altre...
Per comprendere, infine, la duplice natura di questo film, che galleggia continuamente tra malinconia e comicità, mi sembra giusto chiudere riportando il passo più malinconico della sceneggiatura, che il narratore pronuncia con la voce off durante il capodanno del 1944 che chiude la pellicola - "non dimenticherò nessuna di quelle persone e di quelle voci alla radio... però col passare di ogni fine anno quelle voci sembrano affievolirsi sempre di più" - e il piccolo capolavoro di scrittura realizzato da Woody Allen nel testo del jingle di uno spot su un lassativo che Sally si ritrova a cantare per sbarcare il lunario (ascolta):


Get regular with Relax
Start everyday the Relax way
Your system will feel so great
You'll want to relax on the top of the Empire State
Get regular with Relax 
Start everyday the Relax way
When your tummy is not so hot
Remember 'X' marks the spot
Get regular with Relax
The Relax way

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