Gabriele Mainetti, al suo secondo lungometraggio, dopo il successo di Lo chiamavano Jeeg Robot (2015), alza l'asticella, ma il gioco non riesce.
Se, infatti, il precedente lavoro si faceva apprezzare per il contrasto tra la società proletaria e i poteri del supereroe e, pur non facendo gridare al capolavoro, lasciava tutto sommato soddisfatto lo spettatore, stavolta la sensazione è che il passo sia davvero molto più lungo della gamba. Il genere fumettistico declinato ad un supereroismo casereccio e faidate resta, ma l'ambientazione in costume, peraltro durante la Seconda guerra mondiale, il contrasto coi nazisti e gli inevitabili confronti con autori di ben altro calibro, uniti a lungaggini che appesantiscono la narrazione, fanno di Freaks Out un film poco riuscito (trailer).
Eppure la prima parte della pellicola, con la presentazione dei personaggi, il delineamento del contesto storico e geografico, e le tante riprese e citazioni cinematografiche - a partire dal titolo che riecheggia il capolavoro di Tod Browning (Freaks, 1932) - avevano decisamente fatto sperare in un esito più convincente.
Israel (Giorgio Tirabassi) è un impresario circense ebreo, che organizza spettacoli allestendo il suo tendone in giro per l'Italia. Viaggiano sul suo carro - molto western - le attrazioni del circo: l'ipertricotico Fulvio (Claudio Santamaria), che si guadagna da vivere facendo l'Uomo Lupo; l'albino Cencio (Pietro Castellitto), che riesce a controllare e a guidare ogni tipo di insetti; Mario, nano e clown che attira il ferro come un magnete, caratterizzato dalla "virtù meno apparente"; Matilde (Aurora Giovinazzo), ragazza elettrica in grado di far illuminare le lampadine al solo contatto col proprio corpo.
L'approdo a Roma dividerà i cinque personaggi, che si ritroveranno ad affrontare una lunga serie di peripezie, tra retate al ghetto (ricostruito sul set), resistenza, e Franz (il Franz Rogowski di Undine - Petzold 2020), nazista freak anche lui che, con sei dita per mano, oltre a suonare il pianoforte in maniera sopraffina, si è dovuto accontentare di gestire il Zirkus Berlin, a Roma allestito al Forte Tiburtino, che per alcuni degli uomini di Israel diventa l'unica speranza per poter continuare a lavorare evitando di affrontare il resto della società che li isolerebbe e discriminerebbe. Le frustrazioni di Franz, però, non si limitano al circo, per il quale è sempre in cerca di artisti nuovi e unici che lo deludono quasi sempre, cosicché il suo ruolo di antagonista degli eroi è mitigato dal dono di preveggenza ignorato da tutti, scatenando in lui una sindrome di Cassandra, che la didascalica sceneggiatura fa addirittura pronunciare al personaggio stesso, con uno "spiegone" davvero superfluo: "io sono la Cassandra del Terzo Reich".
Frutto delle sue visioni i disegni degli oggetti del futuro, che vediamo in giro nel grande studio di Franz e in cui riconosciamo, tra gli altri, joypad e cellulari, fino al cubo di Rubik, reale, con cui vediamo giocare un paio di personaggi. È sempre lui, inoltre, a chiamare i quattro freaks protagonisti "i fantastici quattro", altra previsione di un fumetto che Stan Lee farà esordire solo nel 1961. Una tematica, quella sul futuro anticipato, che appare totalmente ripresa da The man in the High Castle, la serie tv tratta dal celebre romanzo distopico di Philip Dick, in cui delle misteriose pellicole mostravano il crollo di Hitler e compagni, come in questo caso, in cui Franz osserva attonito anche il suicidio del Führer. La previsione del futuro, peraltro, incide sulla colonna sonora, dato che Franz al piano suona brani a noi ben noti, ma allora sconosciuti, come Creep dei Radiohead, Sweet child of mine dei Guns 'n' Roses.
Frutto delle sue visioni i disegni degli oggetti del futuro, che vediamo in giro nel grande studio di Franz e in cui riconosciamo, tra gli altri, joypad e cellulari, fino al cubo di Rubik, reale, con cui vediamo giocare un paio di personaggi. È sempre lui, inoltre, a chiamare i quattro freaks protagonisti "i fantastici quattro", altra previsione di un fumetto che Stan Lee farà esordire solo nel 1961. Una tematica, quella sul futuro anticipato, che appare totalmente ripresa da The man in the High Castle, la serie tv tratta dal celebre romanzo distopico di Philip Dick, in cui delle misteriose pellicole mostravano il crollo di Hitler e compagni, come in questo caso, in cui Franz osserva attonito anche il suicidio del Führer. La previsione del futuro, peraltro, incide sulla colonna sonora, dato che Franz al piano suona brani a noi ben noti, ma allora sconosciuti, come Creep dei Radiohead, Sweet child of mine dei Guns 'n' Roses.
Piazza San Lorenzo a Viterbo |
Israel, complice la lunga barba e lo sguardo penetrante, è un Mangiafuoco collodiano in versione ridotta e il suo circo, Mezzapiotta, un classico tendone a strisce bianche e rosse, con l'arena terrosa e sedie e panche tutte intorno per gli spettatori. Oltre a Pinocchio, si pensa anche a Fellini (con tanto di musica di Michele Braga che occhieggia a Nino Rota), ma poi la presentazione dell'Uomo Lupo ci fa fare un salto fino a Guerre Stellari per la sua somiglianza con Chewbecca.
Con le citazioni cinematografiche si fondono inevitabilmente le location, tra le cose più azzeccate della pellicola, sin dalla prima sequenza, forse la migliore del film, in cui il tendone del circo si squarcia per una bomba e si apre su piazza San Lorenzo a Viterbo, proprio di fronte alle ogive gotiche dell'iconico Palazzo dei Papi della città laziale.
L'arrivo di Israel e del suo gruppo di freaks a Roma, per esempio, ha un gran fascino e mostra la città da un'altura a nord che, senza scomodare il sacco dei Lanzichenecchi del 1527, rimanda alla famosa inquadratura di Roma Città Aperta (1945). Con il capolavoro di Rossellini il film non può non confrontarsi, data l'epoca storica scelta e quella veduta lo fa con discrezione e accortezza.
Il Foro Romano e il Portico degli Dei Consenti sullo sfondo |
Anche il Colosseo appare in tutta la sua imponenza, quando i protagonisti arrivano dal colle Oppio e lo guardano dall'altro, prima di scendere nel Foro, dove passeggiano tra le rovine. E poi le terme di Caracalla, l'Isola Tiberina e il Ponte Rotto, il Teatro Marcello con la Sinagoga sullo sfondo, fino al Parco degli Acquedotti, scelto per la movimentata sequenza dell'agguato dei patrioti contro i carri pieni di ebrei scortati dai nazisti, dove Matilde corre dietro uno di quei carri chiamando Israel, come la Magnani chiamava Francesco in via Raimondo Montecuccoli, al Prenestino, e cadendo in ginocchio nella terra, come la Loren de La Ciociara. Non ultima, da segnalare la meravigliosa faggeta del Monte Cimino, in cui il gruppo della resistenza, guidato dal Gobbo - versione patriottica e lucana di don Bastiano-Flavio Bucci de Il Marchese del Grillo -, è accampato. Quella faggeta, naturalmente, è subito anche citazione di uno dei mostri sacri della commedia italiana, dato che lì venne girato il rapimento di Matelda-Catherine Spaak de L'armata Brancaleone (Monicelli 1966).
Il Teatro Marcello e la Sinagoga |
Tornando al cinema statunitense, un pagliaccio del Zirkus Berlin alla vista di Matilde esclama "a me pari Dorothy", riferendosi a Il Mago di Oz (Fleming 1939), e, poco dopo, un inseguimento in un ambiente pieno di specchi rimanda alla famosissima sequenza de La signora di Shangai (Welles 1947). Non poteva mancare, in un film che tratta di nazismo, una scena con un mappamondo, con cui qui giocano le majorette del Zirkus Berlin, ma che è chiaramente icona de Il grande dittatore (Chaplin 1940).
Gli interminabili ultimi quaranta minuti di film dedicati allo scontro frontale con i nazisti partono bene, con una buona sequenza sul vagone di un treno che ricorda ancora il cinema western - e Mainetti ha dichiarato che all'inizio del progetto aveva pensato a un film di questo genere - e soprattutto il cinema di Sergio Leone, di cui il regista romano riprende anche il frequente ricorso ad inquadrature salienti tipiche del dolly, ma anche dettagli come Israel che si fa la barba usando un pezzo di metallo appeso come specchio. L'assalto al cibo, invece, è degno di Brutti sporchi e cattivi (Scola 1976), altro inevitabile punto di riferimento insieme al dichiarato Lo chiamavano Trinità, a cui per esempio si ispirano i costumi di Cencio ideati da Mary Montalto (leggi).
La battaglia contro i nazisti, con catapulte, pugnali, armi da fuoco e mani nude alla Bud Spencer e Terence Hill, annoia e fa scemare l'attenzione del pubblico che, davanti agli occhi, ha il ritmo e l'ironia di Bastardi senza gloria (Tarantino 2009). Qui il film di Mainetti dà il peggio di sé e, naturalmente, il problema non è la credibilità, che ad una pellicola del genere non si chiede e non si deve chiedere, ma l'intensità, la capacità di inchiodare alla poltrona chi sta guardando. Quella non c'è, il film si sfilaccia proprio quando dovrebbe appassionare di più e implode, mentre i suoi protagonisti vengono sparati con un cannone da circo verso la luna, volando come le biciclette di E.T. o le scope di Miracolo a Milano...
Nessun commento:
Posta un commento