domenica 4 ottobre 2020

Undine - Un amore per sempre (Petzold 2020)

Due anni dopo La donna dello scrittore, Christian Petzold ripropone la coppia protagonista di quella pellicola, costituita da Paula Beer e Franz Rogowski, attorno ai quali costruisce una storia d'amore che passa con disinvoltura dal sogno al dramma, trasformandosi in una fiaba nera di indiscutibile presa sullo spettatore, che tanto deve al mito (trailer). 

Undine (Beer) e Christoph (Rogowski) si conoscono in circostanze a dir poco surreali. Lei è una storica che lavora al Markisches Museum, dove tiene visite guidate che illustrano le evoluzioni urbanistiche di Berlino dopo la caduta del muro. È stata appena lasciata dal suo fidanzato Johannes (Jacob Matschenz) e, nell'attesa di parlarci dopo il suo turno di lavoro, incontra Christoph, tra i partecipanti della visita guidata appena terminata, colpito dalla bellezza di Undine, che ha voluto raggiungere per complimentarsi e, soprattutto, per tentare di conoscerla. La tensione emotiva e un movimento goffo del ragazzo, però, fanno cadere un grande acquario del ristorante e i due finiscono a terra, uno di fronte all'altra, zuppi, tra i vetri, i pesci morenti e la statuetta di un sommozzatore che era al centro della vasca...

È indubbiamente questa una delle immagini e dei momenti portanti del film, poiché è proprio questo incontro sui generis che fa scattare la scintilla tra i due e, nel caso di Undine, le fa dimenticare il suo recentissimo passato in un batter d'occhio.
Un ulteriore twist all'interno della storia, però, avverrà quando Undine e Christoph, pienamente innamorati l'uno dell'altra, incontreranno passeggiando Johannes e Nora, la sua nuova compagna. Si tratterebbe di un incontro come tanti, privo di conseguenze, se le insicurezze di Christoph non attivassero una serie di pensieri a catena, che amplificano oltremodo il comprensibile momento di turbamento di Undine, peraltro impassibile ai successivi tentativi di riavvicinamento di Johannes. Nonostante la certezza dei sentimenti di entrambi, questo insignificante episodio mina la loro storia, che da spensierata e simbiotica, si trasformerà nel suo esatto opposto.  
È il caso a governare e regnare sulla vita delle persone, un indeterminismo democriteo che applicato all'amore fa subito Nouvelle vague, ma che virato in direzione del dramma, rimanda immediatamente anche alla Tyche classica e al suo ruolo nella tragedia greca, soprattutto euripidea.
Il richiamo al passato, però, non si limita a questo, poiché lo stesso nome di Undine apre un ampio e colto parallelo con la figura mitologica nordica delle Ondine, appunto, creature assimilabili alle fate, ma connesse al mondo acquatico. La tradizione, infatti, le considera abitanti di fiumi, laghi e mari, e, come le sirene greche, attirano gli uomini per poi annegarli.
Non è, quindi, un caso che nelle poche parole che Undine e il suo ex si scambiano, la ragazza dice a Johannes "Se mi lasci dovrò ucciderti", una frase raggelante che sembra pronunciata in un momento di rabbia, delusione e sconcerto per la storia inaspettatamente chiusa, ma che invece rimanda al mito delle Ondine.
E proprio a quel mito, nonché alla fiaba di Friedrich de la Motte Fouque, il cinema ha più volte guardato sin dall'epoca del muto, con Undine di Henry Otto (1916); e poi, proprio in Germania, con Undine '74 di Rolf Thiele (1973); e Undine di Eckart Schmidt (1992); ma anche con la versione irlandese, Ondine, di Neil Jordan (2009). Petzold ne fa un film romantico, caratterizzato da un cupo realismo e allo stesso tempo da parti meno razionali, ma che non sconfinano mai nel fantasy.
Molti elementi della pellicola sono simbolici, ma su tutti spicca la statuina del sommozzatore, sorta di simulacro dello stesso Christoph, che nella vita lavora come sommozzatore industriale, ovviamente un "uomo d'acqua". Che miniatura e personaggio vadano di pari passo lo si capisce quando la prima cade, e Undine ne incolla una gamba, e il secondo ha un incidente sott'acqua rimanendo incastrato proprio per una gamba. Più avanti, al centro dell'acquario, quella statuina sarà sostituita da due piccoli Moai dell'Isola di Pasqua.
Sono diverse le sequenze ambientate in acqua e l'idea di un amore, tormentato e surreale, in un contesto subacqueo, proietta subito lo spettatore fino a L'Atalante di Jean Vigo (1934), capolavoro assoluto della storia del cinema, che in alcuni frangenti Petzold cita in maniera evidente, avvicinando la mdp al naso dei protagonisti che nuotano in acqua, proprio come il maestro francese faceva con Jean Dasté e Dita Parlo. E ai titoli di coda, risulta un peccato per i cinefili dover constatare che Undine non si chiami Vigo, ma Wibeau, dal protagonista del romanzo di Ulrich Plenzdorfun I nuovi dolori del giovane W. (1976).
In una di queste sequenze, in cui Undine sembra uscita da un dipinto di Gustav Klimt, che spesso tornò sul tema delle Ondine, il regista tedesco si lascia andare anche a un inserto a metà tra l'horror e il documentario, facendo passare di fronte a Christoph, impegnato nel suo lavoro, un enorme pesce gatto, che lui e i colleghi chiamano Günther, proprio il nome dello zoologo che lo classificò nel 1864.
Anche la musica deve fare i conti con l'acqua in questo film che, per gran parte delle scene è accompagnato dalle note di Johann Sebastian Bach, ma che in un momento difficile, in cui Christoph si ritrova a fare la respirazione bocca a bocca a Undine, si stempera con Staying alive, la canzone che dà il giusto ritmo al massaggio cardiaco.
L'acqua è determinante nel bene e nel male, anche se Undine ricorda ai suoi visitatori che Berlino vuol dire "luogo asciutto tra le paludi", una definizione che dà la misura di quanto sia facile cadere e rimanere invischiati in quelle paludi... 

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