Jane Campion torna al cinema dopo ben dodici anni - Bright Star era del 2009 - e lo fa, come spesso nella sua carriera, con un film in costume, adattamento dell'omonimo romanzo di Thomas Savage (1967), e con la consueta classe, che le è valsa il meritatissimo premio per la miglior regia al festival di Venezia.
Il potere del cane è un western sui generis, come ormai quasi tutti i film del genere americano per antonomasia, che da Gli spietati (Eastwood 1992) in poi ha conosciuto un rinnovamento tematico sostanziale. Una pellicola ben girata, ben scritta, ben recitata da quattro attori in stato di grazia (Cumberbatch su tutti), e visivamente impeccabile (trailer).
L'azione, divisa in cinque capitoli segnalati da sipari numerati, si svolge in Montana, nel 1925. Phil (Benedict Cumberbatch) e George (Jesse Plemons) sono due fratelli molto diversi: il primo è un cowboy apparentemente tipico, intollerante alla forma e alle buone maniere, che vive la sua vita tra le mandrie di buoi e la terra, mandando avanti il ranch; il secondo è molto meno pragmatico e più adatto alla città probabilmente. Il loro rapporto, già non buono, tanto da meritare il parallelo di Romolo e Remo, peggiora quando George sposa Rose (Kirsten Dunst), vedova in vista per la sua bellezza e perché gestisce la locanda della cittadina in cui tutti i personaggi vivono. Phil, infatti, vede in Rose solo una profittatrice che sceglie George come porto sicuro e per garantire una sicurezza economica a se stessa e al figlio, Peter (Kodi Smit-McPhee), adolescente molto studioso e decisamente poco incline alla vita del west, forse ancor più di George.
Per questo il ragazzo attira le ironie di tutti i cowboy come Phil che ostentano la loro virilità prendendolo in giro per i suoi vezzi, il suo hula hoop e gli origami di fiori che realizza per decorare i tavoli dei clienti. Il rapporto tra Phil e Peter col tempo cambierà e sarà proprio il ruvido cowboy a tentare di far sentire a suo agio il figlio di Rose in quel contesto, sperando di essere per quel ragazzo ciò che un tempo fu Bronco Henry per lui, un mentore, un punto di riferimento, tramandando gli insegnamenti di generazione in generazione, come il vecchio west impone, anche in casi in cui la tradizione non ha nulla di tradizionale... d'altronde, come diceva Bronco e ripete Phil, "un uomo è fatto di pazienza e circostanze avverse".
Per questo il ragazzo attira le ironie di tutti i cowboy come Phil che ostentano la loro virilità prendendolo in giro per i suoi vezzi, il suo hula hoop e gli origami di fiori che realizza per decorare i tavoli dei clienti. Il rapporto tra Phil e Peter col tempo cambierà e sarà proprio il ruvido cowboy a tentare di far sentire a suo agio il figlio di Rose in quel contesto, sperando di essere per quel ragazzo ciò che un tempo fu Bronco Henry per lui, un mentore, un punto di riferimento, tramandando gli insegnamenti di generazione in generazione, come il vecchio west impone, anche in casi in cui la tradizione non ha nulla di tradizionale... d'altronde, come diceva Bronco e ripete Phil, "un uomo è fatto di pazienza e circostanze avverse".
Il film inizia con una frase ad esergo - "che uomo sarei se non aiutassi mia madre, se non la salvassi? -, che lo spettatore potrà attribuire con certezza solo alla fine. Il bellissimo carrello verso sinistra, che vediamo subito dopo (si ripeterà in una delle ultime scene della pellicola), e che scorre lungo un ambiente buio con una parete dalle molteplici finestre che si aprono sul luminoso paesaggio circostante, è il primo di una sequela di raffinati movimenti di macchina e di belle sequenze con cui Jane Campion delizia il suo pubblico.
A tal proposito si faccia caso ai raggi di sole che attraversano le nuvole e giungono sulle mani di Phil e George in una delle prime scene del film; all'inquadratura dal pelo dell'acqua quando Phil si fa il bagno nel fiume e poi si cosparge di fango; ad una bellissima ripresa circolare che ruota attorno a Phil in lacrime e a Peter; a quella che mostra il ranch dei Burbank dall'alto, oggi evidentemente realizzata con un drone, ma che, dato il contesto western, fa subito pensare al dolly di C'era una volta il west, con l'arrivo di Jill alla ferrovia (vedi).
Ed è proprio nel paesaggio circostante che si nasconde il titolo del film, poiché su una collina, l'ombra che si crea in una certa ora del giorno mostra proprio la silhouette della testa di un cane che abbaia, anche questa mostrata da Bronco Henry a Phil e da Phil a Peter.
Rose suona il piano e dice di averlo fatto "solo" per il cinematografo. Naturalmente il tono è di chi ritiene l'accompagnamento dei film senza sonoro al gradino più basso dell'esecuzione musicale. Oltre la notazione sulla storia del cinema agli albori, la cinefilia ci impone di notare anche il parallelo con Lezioni di piano della stessa Campion (1993), in cui a suonare il pianoforte era Ada-Holly Hunter, anche lei vedova e madre, lì di una figlia, Flora, interpretata da una giovanissima Anne Paquin.
Anche le poche note suonate da Rose sono obiettivo degli strali di Phil che, spiandola dal piano di sopra, le fa il verso accompagnandola col banjo e sottolineandone gli errori, ma con il solo contrappunto musicale. Rose, infatti, rinuncerà a suonare per i genitori di George, il governatore (Keith Carradine) e sua moglie, durante una cena in cui Phil si presenterà solo alla fine ostentando la sua distanza da certi contesti, in cui bisogna lavarsi e vestirsi bene, per di più affermando "puzzo e mi piace".
Proprio la sequenza con la donna tentennante al piano dopo la cena permette alla regia una messa in scena degna di un dipinto, con Rose seduta e tutti gli altri personaggi disposti prospetticamente e in maniera saliente.
Se questo è forse il frangente in cui la composizione dell'inquadratura è maggiormente studiata, non mancano i tantissimi altri casi in cui la mdp sfrutta surcadrage ricavati da finestre, porte, riquadri, vetrate rotte, il tutto valorizzato dalla magnifica fotografia di Ari Wegner e dalle atmosfere restituite dalla bella colonna sonora di Jonny Greenwood.
Il western non è affatto morto e Jane Campion ne ha fuso l'epica tradizionale con i toni del giallo e delle tematiche gender, pur non indugiando troppo nel sentimentalismo e nell'approfondimento psicologico di opere come I segreti di Brokeback Mountain. Un film bellissimo, che lascerà il segno.
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