martedì 28 dicembre 2021

Polvere di Napoli (Capuano 1998)

È una polvere metaforica e reale quella che dà il titolo al film a episodi di Antonio Capuano, scritto insieme ad un giovanissimo Paolo Sorrentino, che solo tre anni dopo avrebbe girato la sua opera prima, L'uomo in più.
La frase in esergo, "... ciò che si vede nei film, anche se a volte luccica, non è tutto oro, rassomiglia più all'argento e, il più delle volte è polvere...", spiega il titolo del film, e in effetti la polvere compare e chiude le cinque storie che costituiscono il film, ispirato, almeno nel titolo e nella struttura a L'oro di Napoli (De Sica 1954). Appaiono evidenti le suggestioni lasciate sull'autore da Fellini, da Luciano De Crescenzo, dal primo Nanni Moretti. Ne risulta una pellicola che trasforma il dramma in commedia surreale e grottesca, qualcosa tra Kieslowski e Buñuel fusi in versione partenopea.

Scopa a sette racconta i sotterfugi di un marito, Eugenio (Alan De Luca), conte decaduto e soffocato da una moglie che non esita a definire "una mosca di 88 chili", per trovare il tempo di giocare a carte con il portiere del proprio condominio (Gigio Morra) e una coppia di personaggi loschi, e fatalmente perdere.
Il modello della storia è ovviamente I giocatori del film di De Sica, dove invece la frustrazione del conte Prospero, interdetto dal gioco, trovava parziale sfogo nello sfidare - con lo stesso insuccesso - il giovanissimo figlio del portiere, Gennarino.
Tutti scappano dalle mogli e Capuano, significativamente, passa dal b/n al colore proprio quando Eugenio esce dal condominio che dà su piazza del Gesù Nuovo - si tratta di Palazzo Pandola, al civico 33 - e trova la temporanea libertà. Il regista, inoltre, ci regala una bella panoramica a 360° sulla terrazza che dà sulla basilica di Santa Chiara, sul campanile trecentesco e il barocco obelisco dell'Immacolata; un'ellissi tra il pallone calciato in una partita in tv e quello che giunge in casa dalla stessa piazza sottostante dove giocano dei ragazzi; ma anche momenti surreali in cui un paio di partecipanti alla sfida a carte che ci vengono mostrati con teste di maiali.
Le nozze
 narra il burrascoso rapporto tra Teresa (Teresa Saponangelo) e Gino (Raffaele Musella), che si scontrano in strada e si rincorrono sui vagoni della circumvesuviana, lei offesa, lui che prova a recuperare, mentre il resto dei viaggiatori fa da pubblico: Capuano li riprende come spettatori di tennis, con gli occhi che vanno continuamente da una parte all'altra, e persino mentre si lasciano andare ad un fragoroso applauso. La pace è un matrimonio intimo, tra i soli due fidanzati - The secret marriage per dirla con Sting - che entrano nella basilica del Carmine a piazza Mercato, quella della Madonna Bruna e della famosa espressione "Mamma d'o Carmene", e che immergono le mani intrecciate nell'acquasantiera. È questa l'immagine più iconica dell'episodio, allo stesso momento piena di romanticismo e di devozione popolare.
Fred
 sposta l'azione negli scavi di Pompei, dove uno sciopero dei dipendenti non permette di entrare ad un gruppo di malviventi accorsi lì dopo un matrimonio. Lo stesso non vale, però, per Ciriaco (Silvio Orlando), improbabile attore di telenovele argentine come Amores nel vientos (sic), e la sua giovane moglie Rosita (Lola Pagnani). La coppia è lì in viaggio di nozze e riuscirà a vedere il sito archeologico con l'inconsueta visita guidata del casiere Pasqualo "Lo Squalo" (Francesco Pennasilico), convinto ad aprire dall'avvenenza della donna, che indossa occhiali a cuore come la Lolita di Kubrick (1962).
Tutto l'episodio, che ancora una volta dà spazio alle bellezze storico-culturali napoletane, gioca con allusioni al cinema western: Pasqualo sembra uscito da un film di Sergio Leone, tiene sempre un filo d'erba in bocca, si muove negli scavi con un asino e potrebbe essere la versione scalcagnata del Juan Miranda-Rod Steiger di Giù la testa (1971). Tanta ironia, buffa sensualità e persino una sparatoria che si chiude in maniera degna di una slapstick comedy.
Richard Gere
è il modello inarrivabile di Mimmo Pezzella (Giovanni Esposito), giovane disoccupato che passa le giornate davanti alle trasmissioni delle tivù locali, sognando di passare dall'altra parte dello schermo, collezionando bollette telefoniche da capogiro e dichiarando "io voglio fare l'attore nei film belli non in quelli che non sono buoni, eh". Novello Norman Bates in versione comica, dialoga con la madre nell'altra stanza, che non vediamo mai, salvo poi comprendere che la voce della donna è quella dello stesso Mimmo che, peraltro, conficca continuamente chiodi nel muro. La ricerca di 300 mila lire per i provini lo porta da Concetta, una signora del suo condominio, che in cambio lo costringe a donarle cinque dosi di un'organica lozione che lei usa per i capelli (che giunga da qui l'ispirazione di Sorrentino per la sequenza di Fabietto e la baronessa Focale in È stata la mano di Dio (2021)? 
La 'Madonna blindata' dell'ultimo episodio
Ciarli e Gerri
, infine, è l'episodio con cui Antonio Capuano strizza l'occhio al felliniano Ginger e Fred (1986). Se nel film di Fellini, infatti, i personaggi interpretati da Marcello Mastroianni e Giulietta Masina erano vecchie glorie del tip-tap nazionale richiamate in tv nostalgicamente, che portavano i nomi di Ginger Rogers e Fred Astaire, qui Ciarli (Silvio Orlando) e Gerri (Tonino Taiuti) sono jazzisti che si rifanno a Charlie Parker e Gerry Mulligan, ma non mancano di citare John Coltrane. Dopo premesse da musicisti affermati, allo spettatore non resta che prendere atto del loro fallimento vedendoli suonare a feste di matrimonio trash, in cui il pubblico si annoia tremendamente all'unico brano veramente jazz. Il successo arriverà per caso a Cancello Arnone, dove i due spopoleranno involontariamente come cabarettisti, per poi ritrovarsi a suonare jazz con un gruppo di extracomunitari impegnati a raccogliere pomodori in un campo lì vicino.
Tra madonne blindate e battute come "m'è venut' o mal' e Callas", il grottesco, l'ironia e qualche riflessione sono assicurati.

Nessun commento:

Posta un commento