Dopo la sortita hollywoodiana con Jackie (2016), Pablo Larraín torna al suo Cile e alle tematiche sociali, ma nonostante gli indubbi pregi, Ema non risulta all'altezza dei suoi film migliori.
L'idea del fuoco che, fuor di metafora, è un dolore che brucia dentro, però, è una splendida allegoria che ci accompagna per tutta la pellicola, comunque ben girata da Larraín e ben scritta da Guillermo Calderón e Alejandro Moreno (trailer). Il regista de Il club, ancora una volta senza il suo attore feticcio, Alfredo Castro, recupera Gael García Bernal, che aveva già lavorato con lui in No - I giorni dell'arcobaleno (2012) e Neruda (2016), e gli affianca l'attrice televisiva Mariana Di Girolamo, qui all'esordio sul grande schermo, che non sfigura affatto al fianco del collega ben più esperto, in un ruolo difficile, intimista, riflessivo, ma anche fatto di esplosioni corporee in scene di sesso e, soprattutto, di danza.
Gastón (Bernal) e Ema (Di Girolamo) sono marito e moglie e tra loro intercorrono molti anni di distanza, dodici per l'esattezza. Si sono conosciuti lavorando: la ragazza è prima ballerina della compagnia che lui dirige come coreografo. Larraín non ci racconta nulla della fase idilliaca della loro relazione, ma ci catapulta nel momento di massima crisi, ad un passo dal divorzio, causato da diversi fattori, quali la sterilità di Gastón e la conseguente adozione di Polo, il bimbo che hanno appena riconsegnato ai servizi sociali dopo un grave episodio di piromania che ha visto coinvolta la sorella di Ema.
La storia si fonda sullo sfaldamento della coppia protagonista, i cui componenti, ad ogni confronto, non perdono occasione per colpirsi a suon di recriminazioni e accuse che lasciano il segno: Gastón incolpa Ema di aver insegnato a Polo ad usare il fuoco; lei, di contro, lo definisce "porco sterile", per non averle permesso di avere un figlio naturale, e lo offende in maniera terribile, dandogli del "preservativo umano" e ricordandogli la sua immagine dal dottore con il proprio sperma in un barattolo come massima "immagine del fallimento".
Larraín usa la mdp come un pugno - e questo lo sa fare magistralmente -, cosicché il confronto serrato tra i due è ripreso attraverso l'alternanza di inquadrature dei loro volti frontali in campo e controcampo.
Alcune immagini del film sono magnifiche, soprattutto quelle con il fuoco, elemento portante dell'intera storia: si va dal semaforo che arde all'inizio della pellicola alla bellissima inquadratura delle altalene con i copertoni degli pneumatici che avvampano sulla spiaggia di notte. Un paio di surcadrage valgono da soli il prezzo del biglietto: uno vede due attrici dialogare sul fondo di un corridoio di cui loro rappresentano il punto di fuga; l'altro, sul finire del film, mostra una tavola attorno alla quale sono seduti molti personaggi ad ascoltare le parole con cui Ema spiega la sua intera strategia.
Ingombrante, forse in maniera eccessiva, la presenza della musica e della danza che trasformano troppo spesso il film in un bruciante videoclip (le musiche sono del compositore Nicolas Jaar). Ema balla da sola sul molo, con le sue colleghe sul palco, ma anche in strada, in casa, ovunque, persino sul tavolo di Raquel (Paola Giannini) dell'avvocato divorzista che contatta per la separazione.
Ema e le altre ballano reggaeton nel loro tempo libero, mentre Gastón odia quel genere, lo definisce "da prigione", musica fatta per non pensare, forse proprio quello che agogna Ema in questo momento di dolore e di crisi personale.
La vicenda personale di Ema si fonde con quella di Raquel, colei che, insieme al marito Aníbal (Santiago Cabrera), ha adottato il piccolo Polo. Ema è come il fuoco, dirompente e devastante, anche nella sua sessualità: avvicinarsi a questa coppia per lei significa, tra le altre cose, sedurre e avere una relazione con entrambi, ma "non sai dove voglio arrivare" e "quando saprai quello che sto facendo e perché ti farà orrore" sono frasi sibilline che preannunciano il twist finale.
La giovane ballerina, peraltro, nel suo horror vacui sessuale, una sorta di versione femminile del personaggio di Brandon-Fassbender in Shame (McQueen 2011), si ritrova ad avere incontri amorosi anche con diverse colleghe ballerine ed è indicativo, per il già evidenziato valore allegorico della pellicola, che Aníbal sia proprio un pompiere.
Anche su questo Ema e Gastón sono totalmente diversi: triste, ma socievole e sessualmente vorace la prima; introspettivo e pressoché disinteressato ad altri corpi il secondo. Il loro equilibrio si fonda su questo squilibrio e, quando Gastón si lascia andare ad un'avventura di una notte, la reazione di Ema è scomposta e violenta.
Il sesso è spesso al centro dei discorsi dei personaggi e una delle ragazze, anche durante un semplice pranzo, spiega alle altre quanto ami masturbare gli uomini mantenendo il pieno controllo della situazione, quasi per "interesse antropologico", per poterli vedere trasfigurarsi nel momento dell'orgasmo e vedere il cambiamento del volto fino a riassumere quello dell'infanzia.
Ema, per quanto disomogeneo e squilibrato nella sua parte musicale e anche se non riesce a mantenere la stessa tensione per tutta la sua durata, è un film visivamente notevole, ottimamente scritto e ben recitato. Il suo valore, inoltre, riceve una decisa impennata nella parte finale, in cui si diradano i grovigli dei personaggi, aprendo soluzioni di vita impostate su larghe vedute, e conviene rimanere molto attenti, perché i colpi di scena non mancano fino all'ultima inquadratura.
Ingombrante, forse in maniera eccessiva, la presenza della musica e della danza che trasformano troppo spesso il film in un bruciante videoclip (le musiche sono del compositore Nicolas Jaar). Ema balla da sola sul molo, con le sue colleghe sul palco, ma anche in strada, in casa, ovunque, persino sul tavolo di Raquel (Paola Giannini) dell'avvocato divorzista che contatta per la separazione.
Ema e le altre ballano reggaeton nel loro tempo libero, mentre Gastón odia quel genere, lo definisce "da prigione", musica fatta per non pensare, forse proprio quello che agogna Ema in questo momento di dolore e di crisi personale.
La vicenda personale di Ema si fonde con quella di Raquel, colei che, insieme al marito Aníbal (Santiago Cabrera), ha adottato il piccolo Polo. Ema è come il fuoco, dirompente e devastante, anche nella sua sessualità: avvicinarsi a questa coppia per lei significa, tra le altre cose, sedurre e avere una relazione con entrambi, ma "non sai dove voglio arrivare" e "quando saprai quello che sto facendo e perché ti farà orrore" sono frasi sibilline che preannunciano il twist finale.
La giovane ballerina, peraltro, nel suo horror vacui sessuale, una sorta di versione femminile del personaggio di Brandon-Fassbender in Shame (McQueen 2011), si ritrova ad avere incontri amorosi anche con diverse colleghe ballerine ed è indicativo, per il già evidenziato valore allegorico della pellicola, che Aníbal sia proprio un pompiere.
Anche su questo Ema e Gastón sono totalmente diversi: triste, ma socievole e sessualmente vorace la prima; introspettivo e pressoché disinteressato ad altri corpi il secondo. Il loro equilibrio si fonda su questo squilibrio e, quando Gastón si lascia andare ad un'avventura di una notte, la reazione di Ema è scomposta e violenta.
Il sesso è spesso al centro dei discorsi dei personaggi e una delle ragazze, anche durante un semplice pranzo, spiega alle altre quanto ami masturbare gli uomini mantenendo il pieno controllo della situazione, quasi per "interesse antropologico", per poterli vedere trasfigurarsi nel momento dell'orgasmo e vedere il cambiamento del volto fino a riassumere quello dell'infanzia.
Ema, per quanto disomogeneo e squilibrato nella sua parte musicale e anche se non riesce a mantenere la stessa tensione per tutta la sua durata, è un film visivamente notevole, ottimamente scritto e ben recitato. Il suo valore, inoltre, riceve una decisa impennata nella parte finale, in cui si diradano i grovigli dei personaggi, aprendo soluzioni di vita impostate su larghe vedute, e conviene rimanere molto attenti, perché i colpi di scena non mancano fino all'ultima inquadratura.
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