martedì 1 settembre 2020

Tenet (Nolan 2020)

Christopher Nolan è ormai vittima del suo personaggio.
Il suo cinema spettacolare e algidamente lambiccato ha forse raggiunto il culmine (o almeno lo speriamo). 
Tenet è un improbabile spymovie tra 007 e Ritorno al futuro, un lunghissimo ginepraio (2h30') fondato su una sola e ossessiva idea di salti temporali, giustificati da una rapida spiegazione iniziale di una scienziata (Clémence Poésy), che racconta allo spaesato protagonista (John David Washington) la scoperta dell'inversione dell'entropia degli oggetti (sic). Tale trovata permette al regista, sceneggiatore e produttore della pellicola di inserire nel soggetto intrighi internazionali, con rischi di III guerra mondiale e fine del mondo, tematiche che coinvolgono la CIA e nostalgie da Guerra Fredda, ma soprattutto di montare sequenze "al contrario", che sono la vera e unica cifra stilistica del film.
Che poi sia la stessa scienziata, di fronte al dubbio del malcapitato - "ma la causa viene prima dell'effetto!" -, a consigliare di "non cercare di capire", dà allo spettatore una chiave di lettura che, se fossimo nell'orizzonte onirico di David Lynch o Federico Fellini, aprirebbe a un tuffo nella sospensione dell'incredulità, ma nel sistema deterministico di Nolan risulta un totale controsenso.
Uno dei marmi con il Quadrato di Sator
Anche Neil (Robert Pattinson), fisico e agente segreto, si impegna a spiegare scientificamente quello che succede, e due spiegazioni appaiono davvero un po' troppe per qualcosa che non dovrebbe interessare capire.
L'elemento che funziona di più in Tenet è proprio il suo titolo, che Christopher Nolan riprende chiaramente dal Quadrato di Sator. La famosa frase palindroma SATOR AREPO TENET OPERA ROTAS, che letta in ogni direzione risulta sempre la stessa, sul cui significato georgico o astrologico ancora si discute, dà la dimensione del rompicapo voluto dal regista, fondato proprio sulla direzionalità della materia. Tenet è la parola centrale e inevitabilmente palindroma essa stessa, ma Nolan all'interno della sceneggiatura ne inserisce anche altre: "Opera", la prima sequenza è girata al teatro dell'opera di Kiev; "Arepo" è il pittore che dipinge i falsi di Francisco Goya, citato da Sir Michael Crosby (Michael Caine); Andrei "Sator" (Kenneth Branagh) è il cattivo della storia.
Sator ("seminatore") è colui che, a seconda della traduzione, controlla l'aratro o le stelle, e non a caso nel film il personaggio interpretato da Kenneth Branagh, ucraino per l'occasione, ha in mano le sorti della Terra. Sua moglie, Katherine (Elizabeth Debicki), è la persona attraverso la quale protagonista e antagonista vengono a contatto, ma tutti usano tutti in un mondo di doppogiochisti come questo e non ci si può mai fidare di quello che accade o viene detto.
"Siamo in un mondo crepuscolare" è la parola d'ordine che sentiamo ripetere più volte e lo stesso Sator ne è convinto, dato che si mostra pentito di aver fatto nascere un bambino in quello che considera - e chi meglio di lui? - "un mondo alla fine". Ed è sempre lui che, all'obiezione di credere solo nella propria esperienza, risponde "il resto è fede e io non ne ho", forse una conferma che i buoni, nell'immaginario di Nolan, debbano averne tanta, anche tra gli spettatori.
Per il resto, il film è un insieme di bei dettagli panoramici, soprattutto acquatici - diverse sequenze sono girate nella costiera amalfitana tra Amalfi e Ravello - e bella vita, tra catamarani, motoscafi, cene altolocate, lingotti d'oro, plutonio, il tutto in perfetto stile James Bond, così come la bella sequenza di inseguimento in autostrada... in cui però alcune automobili corrono in retromarcia, per tener fede all'idea dei materiali invertiti. Divertente e dal sapore hitchcockiano, dato l'utilizzo degli oggetti a disposizione nel contesto dato, una zuffa nella cucina di un ristorante dove, per colpirsi appunto, si usano piatti e grattugie.
La sceneggiatura gioca e strizza l'occhio a chi guarda, e un tocco d'ironia non guasta in un film che si prende così maledettamente sul serio, e la trafficante d'armi Priya (Dimple Kapadia) che dice al personaggio di John David Washington "tu sei un protagonista, pensi di essere l'unico in grado di salvare il mondo?", regala un momento di relax e sorriso in questa storia dal ritmo frenetico che non sappiamo in che direzione guardare. E se riavvolgessimo la pellicola e sciogliessimo le mani intrecciate?
Parte dell'inversione materica, che dopo la seconda o terza volta viene a noia, è anche il fuoco che ghiaccia invece di ustionare, un fenomeno che il protagonista del film sintetizza definendolo "una pisciata controvento", un po' di autocritica del cineasta londinese? Chissà, sicuramente qualcosa di simile è la sensazione dello spettatore all'uscita dal cinema. Nolan, forse, citandolo, ha "un futuro nel passato", vederlo andare avanti così, da amanti del cinema, spaventa...

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