lunedì 21 settembre 2020

Sto pensando di finirla qui (Kaufman 2020)

Un bell'inizio con i titoli di testa che scorrono su una carta da parati a motivi floreali sembrerebbe dare allo spettatore un tocco di serenità... ma è praticamente l'ultimo che regala Sto pensando di finirla qui, ultima fatica di Charlie Kaufman, indimenticato sceneggiatore di Essere John Malkovich (Jonze 1999), che sconvolse il cinema alla fine degli anni novanta.
Da allora il regista newyorchese ha girato due pellicole, entrambe perturbanti: Synecdoche - New York (2008) e il film d'animazione Anomalisa (2015).
Molte le caratteristiche comuni a quella che possiamo definire una poetica kaufmaniana: realtà confusa, depressione di fondo dei personaggi, grandissimo ruolo della sceneggiatura, in questo caso acuito dal fatto che il film è un adattamento dell'omonimo romanzo dello scrittore canadese Iain Reid.
Gli spettatori già si dividono tra chi lo considera un capolavoro e chi un mero esercizio di stile finalizzato a rendere sullo schermo un insignificante senso della vita. Sicuramente è difficile definirla un'opera organica, ma il suo fascino è indubbio ed è un film da non perdere assolutamente.
Questa volta Kaufman torna sulle dinamiche psicologiche di
Se mi lasci ti cancello (Gondry 2004), altro film di cui scrisse la sceneggiatura, ma affrontando il rapporto di coppia prima del suo disfacimento e analizzando i tormenti della possibile fine. 
Lucy (Jessie Buckley) e Jake (Jesse Plemons) stanno da poco insieme, ma la ragazza ha la sensazione di essersi imbattuta in questa storia senza convinzione, felice di piacere ma non veramente presa dall'altro ("è difficile dire di no, non me l'hanno mai insegnato"). Gran parte del film si svolge con loro due in auto, in viaggio verso casa dei genitori di lui, mentre fuori continua a nevicare, non un semplice dettaglio atmosferico, ma paesaggio perfetto per il gelo che ascoltiamo nei pensieri di Lucy.

La giovane donna, infatti, continua a ripetersi "sto pensando di finirla qui" (in inglese un più sottile "I'm thinking of ending things"), ma anche tanto altro, mentre parla e sorride con il suo fidanzato. È straniante vederla interagire con lui in un modo, mentre la sua voce off, che ci indica i suoi reali pensieri, alterna frasi ciniche sui rapporti di coppia che culminano in una sentenza senza appello, "la gente tende a continuare una relazione oltre la data di scadenza, è la prima legge di Newton sulle emozioni", ad altri sulla vita in generale, che non hanno esiti migliori: 
"...sospetto che gli esseri umani siano gli unici animali a conoscere l'inevitabilità della loro morte: gli altri animali vivono nel presente, gli umani non possono, e così hanno inventato la speranza".
Jake, rispetto a lei, appare almeno inizialmente più sereno, ma anche lui è piuttosto cupo e, forse, la differenza sostanziale è che non ascoltiamo i suoi pensieri come nel caso di Lucy. La sua negatività è comunque evidente e si manifesta in frasi altrettanto buie: "ogni cosa è tinta [...] dall'umore, dall'emozione, dall'esperienza passata. Non esiste una realtà obiettiva".
La profonda depressione di Lucy è sintetizzata dalla sua poesia Ossa di cane che inizia con un ineffabile "Tornare a casa è terribile" e prosegue con versi quali "che tu abbia una moglie o solo una solitudine a forma di moglie", "tornare a casa ti fa sentire solo", "ti rattristi nell'attacco dei giorni tutti uguali", "il sole va su e giù come una puttana stanca", ecc. (vedi).
L'incontro con i genitori di Jake, non esattamente comuni, è a dir poco irritante: la madre, 
Suzie (Toni Collette), ha diverse stranezze, cita continuamente l'infanzia del figlio e la sua distanza intellettuale da loro, mentre anche la sua analisi della vita non è certo positiva ("la vita è un treno per l'inferno"); il padre, Dean (David Thewlis) è palesemente affetto da alzheimer e mette a disagio in maniera indicibile la povera Lucy parlandole di come si possa fare sesso in un letto singolo come quello che c'è nella vecchia camera di Jake.
Il ragazzo non tollera le particolarità dei suo genitori, ne è profondamente infastidito, tanto più che sua madre continua a ricordare che da bambino abbia vinto il "premio della diligenza", non proprio una cosa di cui vantarsi, ma allo stesso tempo sente l'amore e il dovere filiale di stargli vicino e assisterli, una dicotomia che trova conferma in una battuta con cui si apre con Lucy: "certe volte pare che nessuno si accorga delle cose buone che fai, e ti senti solo". Ma d'altronde, "tutti hanno screzi coi propri genitori", sentenzia e normalizza Lucy.
La lunga sequenza disturbante in casa dei genitori di Jake è a un passo dall'horror, e Kaufman ci tiene ancorati a questa sensazione di prossimità alla tragedia aumentando l'ansia della visione con lo spauracchio di una cantina che, tanto più alla presenza di un attore come Jesse Plemons (lo ricordate nella cantina della seconda serie di 
Fargo?), è topos di quel genere.
Nulla, però, è così chiaro, poiché Lucy, che viene chiamata anche Louisa e Lucia, si riconosce in una foto appesa al muro in quella casa, che Jake le mostra come propria foto d'infanzia; quando, poi, legge la sua poesia Ossa di cane in un libro nella stanza di Jake, l'identificazione tra i due appare ancora più evidente, tanto più che in cantina trova i suoi dipinti, ma firmati da Jake. E non c'è solo questo, poiché mentre parla con gli altri in salotto, le basta alzarsi a guardare fuori dalla finestra perché improvvisamente non ci sia più nessuno. Il modo in cui Lucy e Jake si sono incontrati cambia di volta in volta, all'università, al bar in cui lei lavora, e così anche gli impegni di Lucy: studia fisica, ma anche gerontologia, fa la cameriera, ma anche la pittrice, scrive poesie (ma in altri momenti si infastidisce quando Jake cita Wordsworth "non sono un tipo da metafore"), forse un po' troppo per una sola identità. Senza dimenticare che Suzie e Dean da una scena all'altra cambiano età.
Proprio questi giochi sul tempo (non ce ne voglia Nolan) vengono ben spiegati quando Jake ripensando alla cena con i suoi e con Lucy, dice ingenuamente 
"è positivo quando le persone che ti piacciono si piacciono tra loro", mentre la ragazza pensa di essersi sentita come il vento che soffia attraverso i corpi dei genitori di Jake e per questo li ha visti in tempi ed età diversi: "alle persone piace pensare di essere come punti che si muovono attraverso il tempo. Ma io credo che probabilmente sia il contrario. Noi siamo fermi e il tempo passa attraverso di noi soffiando come il vento freddo, rubandoci il nostro calore, lasciandoci screpolati e congelati e... morti". 
In una pellicola sostanzialmente fatta di parole e di pochi movimenti della mdp, che trova uno sfogo parziale nella seconda metà del film (molto bella la fotografia di Łukasz Żal), la sceneggiatura si affastella di citazioni, perlopiù cinematografiche e letterarie, ma anche artistiche.
Tra queste ultime, nella scenografia iniziale si vede il capolavoro di Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia (1818, Amburgo, Kunsthalle); più avanti viene citato
 Christina's World, famoso dipinto del pittore realista statunitense Andrew Wyeth (1948, New York, MoMA), ma anche l'arte di Ralph Albert Blakelock, romantico statunitense del XIX secolo, di cui si vedono un paio di poster di mostre in cantina, proprio vicino ai dipinti di Jake.
Tra quelle letterarie, c'è spazio per una raccolta di saggi di David Forster Wallace, autore che secondo Jake ora tutti conoscono, anche senza aver letto una riga dei suoi lavori, solo per il suo suicidio. Ed è sempre Jake che ricorda Ghiaccio (1967), romanzo apocalittico di Anna Kavan. Allo stesso tempo l'ironia di Kaufman si fa notare durante il viaggio di ritorno in auto, quando Lucy parla de La società dello spettacolo di Guy Debord, "lo spettacolo non può essere compreso come un mero inganno visivo, prodotto delle tecnologia dei mass media", e propro allora il suo personaggio viene sostituito da un'altra attrice.
La frase del filosofo R.W. Emerson, "non c'è niente di più raro in un uomo che un atto di sua propria volontà", dà il la a Lucy per citare 
Oscar Wilde: "la maggior parte delle persone sono altre persone, i loro pensieri sono opinioni di qualcun altro; la loro vita un'imitazione; le loro passioni una citazione", forse una chiave di lettura anche per i due personaggi principali del film. 
Il cinema è citato a partire dai suoi attori: vengono nominate Bette Davis ("invecchiare non è per femminucce, diceva Bette Davis") e Billy Crystal, ma soprattutto sono tanti i musical citati da Jake, appassionato del genere, così come il padre: da Oklahoma a My Fair Lady, da Grease a Bulli e pupe, ma nessuno supera nella sua considerazione il primo.
Un intero dialogo tra i due fidanzati riguarda, invece, Una moglie di John Cassavetes (1974), con Lucy che ricorda la protagonista Mable, interpretata da una superba Gena Rowlands, che esplode perché nella vita ha sempre cercato di accontentare tutti, qualcosa di impensabile per lei e che rifugge.
Come per la frase citata di Bette Davis, in cui il termine "femminucce" viene analizzato come espressione offensiva di un'epoca in cui il rispetto per la parità di genere era ancora più lontano di ora, lo stesso avviene, anche se a parti invertite, per il brano 
Baby it's cold outside del 1944 (nel film si dice del 1936), divenuto celebre perché inserito nel musical La figlia di Nettuno - Buzzell 1949 (vedi). Secondo Lucy, infatti, la canzone è sessista perché il protagonista offre un drink alla donna per "abbassare le sue difese" in vista di quello che lei interpreta come un possibile stupro, mentre Jake la considera solo una gentilezza.
Anche le teorie freudiane vengono abbattute come "sproloqui misogini" contro le madri del XX secolo, cui sono state attribuite tutte le colpe dei figli: "è molto comodo dare la colpa a qualcun altro".
Tante le suggestioni cinematografiche. Se la prima parte sull'amore fa naturalmente pensare al già citato Se mi lasci ti cancello, infatti, il viaggio così alienante fa rivivere emozioni degne di Fuori orario (Scorsese 1985), mentre l'ultima sezione del film, con il bidello della scuola che in macchina si spoglia e segue un maiale, uno dei due inserti di animazione all'interno della pellicola (l'altro è su una pubblicità chiarificatrice), dà la sensazione di essere in un film di David Lynch, magari davanti al gigante che appariva all'agente Cooper in Twin Peaks o ai due vecchietti frutto delle ansie di Naomi Watts di Mulholland Drive (2001).
Quel bidello era già comparso durante il film... lo avevamo visto fare colazione da solo davanti alla tv e iniziare una giornata anonima; guardare il finale di una commedia romantica di Robert Zemeckis, prodotta da Gerald Kramer, la cui protagonista dava dell'idiota al compagno che dichiarava di amarla, ma anche spiare i due protagonisti mentre si baciavano e finalmente sembravano fare pace.
La sequenza di Jake vecchio che ritira un premio come fisico su un palco è un'ellissi temporale davvero lynchiana. In platea vediamo i genitori, vecchissimi e anche un'anziana Lucy, cui vanno i ringraziamenti del compagno. Hanno evidentemente passato la loro vita insieme? Le cose sono andate bene nonostante il pessimismo iniziale? Abbiamo visto una storia che è stato un lungo flashback? Oppure nulla di tutto ciò?
La dichiarazione d'amore su quel palco, in cui Jake subito dopo si trasforma in un perfetto interprete di musical degno di Broadway (canta Stanza Solitaria del già citato Oklahoma), è però il momento più rassicurante di un film che ci ha preso a schiaffi per tutta la sua durata e non sta smettendo di farlo: 
"È solo nelle misteriose equazioni dell'amore che si può trovare una logica o una ragione. Io sono questa sera grazie a te. Tu sei la ragione per cui esisto, tu sei tutte le mie ragioni. Grazie".
Questa sarebbe potuta essere la vita di Jake e Lucy, ma forse nulla di tutto questo è realmente accaduto, forse sono solo i sogni di un bidello che avrebbe voluto vivere quella vita, magari come in un musical...
D'altronde "tutto è uguale, quando guardi bene da vicino" e “un pensiero può essere più vicino alla verità, alla realtà di un’azione”.

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