sabato 25 febbraio 2017

Jackie (Larraín 2016)

Pur se imbrigliato negli ingranaggi di Hollywood, il talento e il rigore del cinema di Pablo Larraín c'è e si vede!
Sapevamo che Jackie non sarebbe mai potuto essere un film come i precedenti capolavori del regista cileno, ma la qualità resta alta e lo spettatore non può non entrare in empatia con la first lady più famosa del XX secolo.
La mdp, infatti, non si separa mai dalla protagonista, che inquadra frontalmente o da dietro ma in maniera costante, e tutto quello che vediamo durante la pellicola sono le reazioni, i pensieri, le risposte, i sentimenti di Jacqueline nei quattro giorni intercorsi tra l'omicidio di suo marito, John Fitzgerald Kennedy, e il momento in cui lei e i due figli, Caroline e John junior, lasciarono la Casa Bianca.

La storia narrata nel film ha origine da un'intervista concessa da Jackie (Natalie Portman) a Theodore H. White (Billy Crudup), realmente avvenuta il 29 novembre 1963, ad una settimana esatta dalla morte di John a Dallas, e, a partire da quella, il gran lavoro di montaggio di Sebastian Sepulveda va alternativamente in diverse direzioni, passando dal ritorno in aereo dello stesso 22 novembre alla vita felice degli anni precedenti, dalla cattura di Lee Oswald alla messa privata in onore di John, dalla scelta del punto in cui seppellirlo all'organizzazione del corteo funebre per il quale Jackie chiede di poter studiare quello di Abraham Lincoln; e, naturalmente, i pochi ma densissimi secondi dell'omicidio in cui la storia dei Kennedy cambiò per sempre.
Nel film trova spazio anche il riferimento, che offre l'occasione a regista di girare un brano televisivo in bianco e nero, alla celebre visita guidata che la first lady tenne alla Casa Bianca il 14 febbraio 1962, e che fu trasmessa in televisione.
Larraín raramente abbandona la prospettiva centrale che dà un tono ancora più solenne alla pellicola. La usa sia per gli esterni, in campi lunghi in cui può ugualmente abbracciare il grande porticato sotto il quale si svolge l'intervista o le lapidi del cimitero di Arlington in Virginia, dove venne sepolto il presidente degli Stati Uniti; sia per gli interni della Casa Bianca, dove vediamo flashback che ricordano concerti di musica da camera cui assistevano i coniugi Kennedy e i loro ospiti, o intere sequenze in cui Jackie passeggia tra quelle grandi sale, in cui la solennità si trasforma in angosciosa solitudine.
Il film non è una biografia in senso stretto, così come non lo era Neruda (2016), ma un'intensa analisi che scava nell'anima di una delle vicende familiari più drammatiche dello scorso secolo. Una vera e propria caduta degli dei, di cui la unica protagonista è Jackie, che Larraín senza mezzi termini mette al pari di Antigone, Medea, Giocasta, e delle altre eroine sfortunate della tragedia classica.
Il regista riesce a conferire un tono epico a molte sequenze e, per comprenderlo, basta guardare la ritualità quasi religiosa di quella in cui Jackie entra nella Casa Bianca al rientro da Dallas e, come un guerriero che torna dalla battaglia, si toglie i vestiti macchiati di sangue ed entra nella doccia in cui l'acqua diventerà presto rossa...
Natalie Portman ha fatto un lavoro incredibile, la classica interpretazione da Oscar annunciato: è davvero impressionante vederla incedere con il passo e la classe di Jacqueline, di cui riprende anche i minimi dettagli, come la caratteristica fissità delle braccia. Sembra proprio lei anche quando scende le scale della Casa Bianca tenendo per mano i due figli, in una delle immagini più famose di quei giorni, ed è ancora credibilissima mentre passeggia sul prato e in riva al mare con Caroline e John, in una sequenza priva di parole, cui fa da sottofondo la sola colonna sonora di Mica Levi... una messa in scena che fa tanto pensare al cinema di Malick (con cui la Portman, peraltro, ha girato il recente Knight of cups - 2015 e il prossimo Song to song - 2017).   
Anche la sceneggiatura di Noah Oppenheim, ovviamente, gioca la sua parte nel fornire le battute alla protagonista:  "in quella terra non ragionano" dice Jackie riportando il pensiero del marito sul Texas; "Per regnare è necessaria la tradizione, per la tradizione è necessario il tempo" spiega al cognato Bobby; e poi è materna e sincera quando si ritrova a tu per tu con i figli per dire loro quanto è accaduto al padre, "volato in cielo con Patrick", il fratellino morto solo pochi mesi prima dopo due giorni di vita. Commoventi e degne di una tragedia classica, infine, le parole scelte per la descrizione del volto del marito subito dopo lo sparo, bellissimo e con gli occhi aperti; e l'estremo e irrazionale tentativo di porre rimedio alla morte: "ho tenuto i pezzi della sua testa per tenere tutto dentro".
Un discorso a parte meritano i suoi dialoghi con il sacerdote Richard McSorley, ultimo ruolo del grande John Hurt, con il quale scarica tutta la rabbia contro un Dio che permette che avvengano omicidi come quello di suo marito, al quale dice anche che "le donne sono di due specie: quelle che vogliono il potere nel mondo e quelle che lo vogliono in amore".
E poi le note di Camelot, il musical di Broadway del 1960 amato da John, che Jackie mette sul giradischi in una delle sequenze più riuscite del film, in una serata in cui la vedova Kennedy si veste come nelle grandi occasioni, serve del buon vino a se stessa e prova a fingere che tutto vada bene...
È quello il tema musicale portante, d'altronde "per un breve momento c'è stata una Camelot" ripete al suo intervistatore che saggiamente prende appunti, quelli che ancora oggi sono noti con il nome di "Camelot documents". Il sogno di quella favola principesca è svanito ma, come sottolinea Larraín in un altro splendido momento cadenzato dalla sola musica, l'immagine di Jackie diventerà parte della cultura pop successiva, come dimostrano le vetrine che si riempiono di manichini che riproducono la sua silhouette e indossano i suoi vestiti.
Theodore White, dal canto suo, la ringrazia per lo stile e la dignità con cui ha affrontato tutto, di come abbia saputo essere madre di una nazione che aveva perso il padre, e profetizza che "anche fra molti anni il paese avrà memoria".
Il film di Larraín, fuori dalla retorica, è parte di quella memoria...

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