Era da L'uomo in più (Sorrentino 2001) che il cinema italiano non raccontava il calcio, sport nazionale per antonomasia, sogno per molti ragazzi, sogno infranto per molti dei loro padri, passione per quasi tutti, uomini e donne.
Mentre il film di Sorrentino affrontava le vicende di un calciatore sul viale del tramonto, però, Leonardo D'Agostini narra di un giovane in ascesa, ma con un temperamento così sopra le righe da rischiare di compromettere l'intera carriera.
Cristian Ferro (Andrea Carpenzano) è un calciatore della Roma, adolescente eppure già idolo delle folle, ma Rigoni (Massimo Popolizio), il presidente dell'associazione sportiva, non vuole arrendersi alla sua totale mancanza di disciplina e decide di limitarne l'impiego in campo in base ai risultati che otterrà nello studio. Per questo Valerio (Stefano Accorsi) viene assunto dalla società come professore privato di Cristian, scelto tra tanti perché il più lontano dal mondo del calcio - non sa nemmeno chi sia il suo nuovo allievo -, con il compito di portarlo ad ottenere la maturità. Il compito, però, non sarà così facile...
Il soggetto ha un certo fascino, per quanto strizzi l'occhio al luogo comune del calciatore viziato e privo di cervello, vittima di famiglia, fidanzate, amici e procuratore, che lo sfruttano senza amarlo. La parabola dell'ascesa, del crollo e della risalita è indubbiamente valida, ma sceneggiatura e regia sostengono il film solo nella prima parte, portandolo successivamente alla deriva, limitandolo ad una storia edificante e piuttosto ordinaria.
A brillare sono soprattutto gli attori: bravi Stefano Accorsi, nei panni del professore idealista, ma allo stesso tempo realisticamente motivato da uno stipendio ben oltre la media, e Massimo Popolizio, in quelli del presidente con fare paterno, ma pur sempre pronto a scaricare tutti per un tornaconto economico; ottimo Andrea Carpenzano che, dopo Tutto quello che vuoi (Bruni 2017) e La terra dell'abbastanza (fratelli D'Innocenzo), dimostra ancora di essere uno dei migliori attori emergenti del panorama italiano.
La pellicola inizia con una sequenza che deve molto al genere in voga negli ultimi anni e che potremmo definire "malvivenza all'italiana" (penso soprattutto a serie tv come Gomorra e Suburra e a un film come La paranza dei bambini - Giovannesi 2018), con Cristian e i suoi amici che compiono la bravata di fuggire senza pagare da un negozio di abbigliamento con una grossa quantità di vestiti. La corsa del protagonista per i viali del grande centro commerciale (Euroma 2 per la cronaca), che dribbla le guardie, scimmiotta i più riusciti spot Nike di fine anni '90, mentre l'idea è quella di far subito capire allo spettatore quale sarebbe stata la vita di Cristian se non avesse avuto il talento per il calcio. E le riunioni in società, la strafottenza del ragazzo e la sua vita a dir poco disordinata e lontanissima da quella di un atleta professionista non fanno che confermarlo.
La villa di Cristian è costantemente occupata da amici che giocano ai videogiochi (tra i calciatori c'è anche il volto di Carpenzano riprodotto per l'occasione); dalla ragazza, Sylvie, che tiene un maialino come animale domestico, si pavoneggia davanti al cellulare diffondendo la propria immagine sui social; dal padre, che vive lì con l'atteggiamento di chi ha trovato in casa la gallina dalle uova d'oro.
Valerio, naturalmente, dopo un inizio difficile, ignorato e persino deriso da Cristian, oltre a trovare il metodo per far apprendere il programma al ragazzo, gli insegnerà cose molto più importanti: come vivere, di chi fidarsi e persino quale donna scegliere (la semplice Alessia, che lo conosce sin dall'infanzia, interpretata da Ludovica Martino).
Tra i momenti migliori del film vanno segnalati proprio i duetti tra Cristian e Valerio, con quest'ultimo deriso dall'allievo per la sua insistenza e per la totale ignoranza sul mondo del calcio e su tutto ciò che è attuale. Esemplare il momento in cui Sylvie si commuove per l'alto numero di "followers" del suo profilo e, di fronte al viso interrogativo del professore, Cristian spiega il concetto con volto indolente e un dono della sintesi altrettanto romano: "è 'a gente".
Valerio è costretto a fare lezione nei ritagli di tempo e, tra questi, durante le riprese di un divertente spot televisivo di un cellulare in cui il calciatore è vestito da centurione.
In uno dei cedimenti del protagonista, la notte in discoteca e la festa del giorno dopo intorno alla piscina della villa sembrano esemplati sul cinema di Paolo Sorrentino e, a confermarlo, l'inquadratura dall'alto di Carpenzano, sdraiato su un materassino in acqua, mentre una simbolica corona galleggia poco più in là. A questo, tra i modelli di D'Agostini, si aggiunga la citazione del tipico movimento di macchina alla Spike Lee con il protagonista trasportato sul carrello della mdp con effetto alienante.
Cristian, che gioca con la maglia n. 24 (riferimento a Florenzi, il futuro capitano romano e romanista dopo i mostri sacri Totti e De Rossi, totalmente diverso dal personaggio del film), è nato nel quartiere popolare del Trullo, ha perso la madre da anni, è stato abbandonato dal padre che è ricomparso nella sua vita solo dopo il successo. Il passato di Valerio non è migliore: è stato sposato con Cecilia (Anita Caprioli), da cui si è separato dopo la terribile esperienza di un figlio morto nei primi anni di vita. Tutto contribuisce alla chiave edificante della trama e al superamento delle difficoltà per entrambi.
Cristian, peraltro, dovrà trovare un equilibrio che gli permetta di non patire gli alti e bassi vertiginosi del mondo del calcio, perfettamente sintetizzati ad Alessia, davanti al murale che lo ritrae nel suo quartiere: "un giorno so' un dio, un giorno so' 'na merda".
Peccato per il film, che in fondo dà la sensazione di essere un'occasione persa: soggetto e interpretazioni avrebbero meritato di più.
Cristian Ferro (Andrea Carpenzano) è un calciatore della Roma, adolescente eppure già idolo delle folle, ma Rigoni (Massimo Popolizio), il presidente dell'associazione sportiva, non vuole arrendersi alla sua totale mancanza di disciplina e decide di limitarne l'impiego in campo in base ai risultati che otterrà nello studio. Per questo Valerio (Stefano Accorsi) viene assunto dalla società come professore privato di Cristian, scelto tra tanti perché il più lontano dal mondo del calcio - non sa nemmeno chi sia il suo nuovo allievo -, con il compito di portarlo ad ottenere la maturità. Il compito, però, non sarà così facile...
Il soggetto ha un certo fascino, per quanto strizzi l'occhio al luogo comune del calciatore viziato e privo di cervello, vittima di famiglia, fidanzate, amici e procuratore, che lo sfruttano senza amarlo. La parabola dell'ascesa, del crollo e della risalita è indubbiamente valida, ma sceneggiatura e regia sostengono il film solo nella prima parte, portandolo successivamente alla deriva, limitandolo ad una storia edificante e piuttosto ordinaria.
A brillare sono soprattutto gli attori: bravi Stefano Accorsi, nei panni del professore idealista, ma allo stesso tempo realisticamente motivato da uno stipendio ben oltre la media, e Massimo Popolizio, in quelli del presidente con fare paterno, ma pur sempre pronto a scaricare tutti per un tornaconto economico; ottimo Andrea Carpenzano che, dopo Tutto quello che vuoi (Bruni 2017) e La terra dell'abbastanza (fratelli D'Innocenzo), dimostra ancora di essere uno dei migliori attori emergenti del panorama italiano.
La pellicola inizia con una sequenza che deve molto al genere in voga negli ultimi anni e che potremmo definire "malvivenza all'italiana" (penso soprattutto a serie tv come Gomorra e Suburra e a un film come La paranza dei bambini - Giovannesi 2018), con Cristian e i suoi amici che compiono la bravata di fuggire senza pagare da un negozio di abbigliamento con una grossa quantità di vestiti. La corsa del protagonista per i viali del grande centro commerciale (Euroma 2 per la cronaca), che dribbla le guardie, scimmiotta i più riusciti spot Nike di fine anni '90, mentre l'idea è quella di far subito capire allo spettatore quale sarebbe stata la vita di Cristian se non avesse avuto il talento per il calcio. E le riunioni in società, la strafottenza del ragazzo e la sua vita a dir poco disordinata e lontanissima da quella di un atleta professionista non fanno che confermarlo.
La villa di Cristian è costantemente occupata da amici che giocano ai videogiochi (tra i calciatori c'è anche il volto di Carpenzano riprodotto per l'occasione); dalla ragazza, Sylvie, che tiene un maialino come animale domestico, si pavoneggia davanti al cellulare diffondendo la propria immagine sui social; dal padre, che vive lì con l'atteggiamento di chi ha trovato in casa la gallina dalle uova d'oro.
Valerio, naturalmente, dopo un inizio difficile, ignorato e persino deriso da Cristian, oltre a trovare il metodo per far apprendere il programma al ragazzo, gli insegnerà cose molto più importanti: come vivere, di chi fidarsi e persino quale donna scegliere (la semplice Alessia, che lo conosce sin dall'infanzia, interpretata da Ludovica Martino).
Tra i momenti migliori del film vanno segnalati proprio i duetti tra Cristian e Valerio, con quest'ultimo deriso dall'allievo per la sua insistenza e per la totale ignoranza sul mondo del calcio e su tutto ciò che è attuale. Esemplare il momento in cui Sylvie si commuove per l'alto numero di "followers" del suo profilo e, di fronte al viso interrogativo del professore, Cristian spiega il concetto con volto indolente e un dono della sintesi altrettanto romano: "è 'a gente".
Valerio è costretto a fare lezione nei ritagli di tempo e, tra questi, durante le riprese di un divertente spot televisivo di un cellulare in cui il calciatore è vestito da centurione.
In uno dei cedimenti del protagonista, la notte in discoteca e la festa del giorno dopo intorno alla piscina della villa sembrano esemplati sul cinema di Paolo Sorrentino e, a confermarlo, l'inquadratura dall'alto di Carpenzano, sdraiato su un materassino in acqua, mentre una simbolica corona galleggia poco più in là. A questo, tra i modelli di D'Agostini, si aggiunga la citazione del tipico movimento di macchina alla Spike Lee con il protagonista trasportato sul carrello della mdp con effetto alienante.
Cristian, che gioca con la maglia n. 24 (riferimento a Florenzi, il futuro capitano romano e romanista dopo i mostri sacri Totti e De Rossi, totalmente diverso dal personaggio del film), è nato nel quartiere popolare del Trullo, ha perso la madre da anni, è stato abbandonato dal padre che è ricomparso nella sua vita solo dopo il successo. Il passato di Valerio non è migliore: è stato sposato con Cecilia (Anita Caprioli), da cui si è separato dopo la terribile esperienza di un figlio morto nei primi anni di vita. Tutto contribuisce alla chiave edificante della trama e al superamento delle difficoltà per entrambi.
Cristian, peraltro, dovrà trovare un equilibrio che gli permetta di non patire gli alti e bassi vertiginosi del mondo del calcio, perfettamente sintetizzati ad Alessia, davanti al murale che lo ritrae nel suo quartiere: "un giorno so' un dio, un giorno so' 'na merda".
Peccato per il film, che in fondo dà la sensazione di essere un'occasione persa: soggetto e interpretazioni avrebbero meritato di più.
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