Come recentemente visto in Cuori puri (De Paolis 2017) e, naturalmente, in Dogman (Garrone 2018), alla cui sceneggiatura peraltro i fratelli D'Innocenzo hanno collaborato, l'estrema periferia è ancora una volta protagonista di un ottimo prodotto cinematografico italiano.
La borgata come territorio dimenticato, terra del possibile, in cui il crudo realismo si fonde, pasolinianamente, con la poesia drammatica dei singoli, troppo spesso condannati a quella vita da un contesto dal quale è davvero difficile liberarsi.
Manolo (Andrea Carpenzano) e Mirko (Matteo Olivetti) sono due ragazzi nati e cresciuti in una borgata romana, Ponte di Nona, le cui case dai mille colori contrastano la cupa realtà quotidiana.
Compagni di classe in una scuola alberghiera, sono entrambi figli di genitori single, Manolo vive con il padre Danilo (Max Tortora), Mirko con la madre Alessia (Milena Mancini).
Compagni di classe in una scuola alberghiera, sono entrambi figli di genitori single, Manolo vive con il padre Danilo (Max Tortora), Mirko con la madre Alessia (Milena Mancini).
La loro vita scorre tra amici, fidanzate e discorsi sul futuro in cui fantasticano, con i piedi ben saldi al terreno, vedendosi camerieri e cuochi, mestieri che comunque gli permetterebbero di superare i problemi economici delle rispettive famiglie d'origine. Questa quotidianità, però, viene spezzata da un incidente nel quale, proprio durante un dialogo incentrato su cosa sarà meglio per il loro futuro, investono un uomo e, presi dal panico, decidono di scappare.
Scoprire di aver ucciso un uomo ricercato dalla famiglia che controlla la zona sembra essere la più grande fortuna che potesse capitare loro e, nella speranza di "aver svoltato", non capiranno mai di aver imboccato una strada verso l'annientamento...
Scoprire di aver ucciso un uomo ricercato dalla famiglia che controlla la zona sembra essere la più grande fortuna che potesse capitare loro e, nella speranza di "aver svoltato", non capiranno mai di aver imboccato una strada verso l'annientamento...
La scena iniziale è simbolica: i due protagonisti sono in auto, parcheggiati in un isolato privo di palazzi, ma che difficilmente definiremmo parco, davanti alle case colorate che contrastano col paesaggio desolante (per i romani, siamo tra via Padre Damiano de Veuster e Padre Ezechiele Ramin). Manolo e Mirko ridono e scherzano a bocca piena, mentre mangiano panini salsiccia e cicoria. Ragazzi semplici, che parlano di calcio e di cosa faranno da grandi, senza sconfinare in discorsi che potrebbero coinvolgere le loro situazioni familiari, cosicché alla prima domanda "indiscreta" sui litigi tra sua madre e l'uomo che frequenta, Mirko reagisce ("litigano pei cazzi loro, fatti i cazzi tua!").
Se, infatti, il moro Manolo è il più calmo e sornione della coppia, ma anche molto più calcolatore, il biondo Mirko è il tipico ragazzo dalla miccia corta, più generoso e istintivamente buono forse, ma oltremodo impulsivo. A quest'ultimo spetta il ruolo del plautino vanaglorioso: basta vederlo giocare a pallacanestro a scuola, quando urla a squarciagola, dopo un canestro fortunoso, "pure co' 'e mani so' bono", o più avanti quando ricopre letteralmente di costosi regali la piccola Daria, figlia del compagno della madre, ma che MIrko considera a tutti gli effetti una sorella. Ed è ancora lui a dimostrare i sentimenti più forti e sinceri: con la madre, verso cui si comporta in maniera paterna, coccolandola e preoccupandosi per la sua salute, indispettito per la sua relazione con un uomo che non crede la rispetti quanto merita; con la fidanzata Ambra (Michela De Rossi), che stringe e ama a pieni sorrisi, ma che lamenta l'incapacità di piangere di Mirko, che invece scoprirà col tempo di poter piangere a dirotto e disperatamente...
Di Manolo, invece, sappiamo ben poco del rapporto con il padre - ex vanaglorioso anche lui, dorme con la foto di Alain Delon sopra il letto - che però ha una certa influenza su di lui, capace di passare dall'iniziale "che te frega, guidava lui" a convincerlo a prendersi "il merito" dell'omicidio una volta compreso che potrebbe essere un vantaggio.
Il favore fatto al clan dei Pantano, avvicinerà Manolo alla malavita e sarà lui, in un secondo momento, a far entrare nel giro anche Mirko.
I fratelli D'Innocenzo raccontano con attenzione la discesa verso l'Inferno dei due ragazzi di borgata dirigendoli perfettamente e ottenendo da loro una vera e propria trasfigurazione. La mdp li accompagna dalla fase più adolescenziale all'ingresso in un mondo decisamente più grande di loro, affrontato con leggerezza e inconsapevolezza. In tal senso è indicativa, e dimostra tutta la differenza tra i due, la sequenza in cui Manolo e Mirko ricevono le pistole con cui commettere il loro primo omicidio: l'eccitazione è palpabile, entrambi sono orgogliosi di un incarico così importante, ma mentre Manolo è concentrato e abbastanza freddo, Mirko non sta nella pelle, il suo volto è raggiante e adrenalinico, tanto da mettere la pistola nei pantaloni dalla parte sbagliata...
L'espressione di Mirko però cambierà ben presto, e quando si troverà a vedere i boss in azione (a capo del clan c'è Angelo interpretato da Luca Zingaretti), i suoi occhi saranno ben più atterriti.
Eppure Manolo è convinto che "c'avemo la chimica io e te, le cose ce vengono bene", ma allo stesso tempo ricorda lucidamente al compagno che dà i primi segni di consapevolezza "perché .pensi, nun devi pensa', sfogate!"
In uno di questi dialoghi, i D'Innocenzo curano particolarmente la messa in scena e dispongono i busti di Mirko e Manolo su piani sovrapposti, frontali e di profilo, mentre le parole dimostrano che i due hanno raggiunto il punto più alto del loro delirio di onnipotenza: "avemo svortato", "dovemo ammazza' io e te".
La regia, però, forse dà il meglio in una delle scene finali, durante la quale la mdp segue i due protagonisti dall'alto, mentre superano un cancello per entrare al'interno di una proprietà, affrontano i cani da guardia e stanano l'uomo che stanno cercando... una visione da videogioco platform anni '80, quelli in cui c'erano più "vite" o era possibile inserire altri gettoni.
Il film d'esordio dei ventinovenni Fabio e Damiano d'Innocenzo funziona, e Carpenzano e Olivetti fanno sperare che siano nate due stelle. Il cinema italiano li aspetta tutti e quattro, ne ha decisamente bisogno!
Se, infatti, il moro Manolo è il più calmo e sornione della coppia, ma anche molto più calcolatore, il biondo Mirko è il tipico ragazzo dalla miccia corta, più generoso e istintivamente buono forse, ma oltremodo impulsivo. A quest'ultimo spetta il ruolo del plautino vanaglorioso: basta vederlo giocare a pallacanestro a scuola, quando urla a squarciagola, dopo un canestro fortunoso, "pure co' 'e mani so' bono", o più avanti quando ricopre letteralmente di costosi regali la piccola Daria, figlia del compagno della madre, ma che MIrko considera a tutti gli effetti una sorella. Ed è ancora lui a dimostrare i sentimenti più forti e sinceri: con la madre, verso cui si comporta in maniera paterna, coccolandola e preoccupandosi per la sua salute, indispettito per la sua relazione con un uomo che non crede la rispetti quanto merita; con la fidanzata Ambra (Michela De Rossi), che stringe e ama a pieni sorrisi, ma che lamenta l'incapacità di piangere di Mirko, che invece scoprirà col tempo di poter piangere a dirotto e disperatamente...
Di Manolo, invece, sappiamo ben poco del rapporto con il padre - ex vanaglorioso anche lui, dorme con la foto di Alain Delon sopra il letto - che però ha una certa influenza su di lui, capace di passare dall'iniziale "che te frega, guidava lui" a convincerlo a prendersi "il merito" dell'omicidio una volta compreso che potrebbe essere un vantaggio.
Il favore fatto al clan dei Pantano, avvicinerà Manolo alla malavita e sarà lui, in un secondo momento, a far entrare nel giro anche Mirko.
I fratelli D'Innocenzo raccontano con attenzione la discesa verso l'Inferno dei due ragazzi di borgata dirigendoli perfettamente e ottenendo da loro una vera e propria trasfigurazione. La mdp li accompagna dalla fase più adolescenziale all'ingresso in un mondo decisamente più grande di loro, affrontato con leggerezza e inconsapevolezza. In tal senso è indicativa, e dimostra tutta la differenza tra i due, la sequenza in cui Manolo e Mirko ricevono le pistole con cui commettere il loro primo omicidio: l'eccitazione è palpabile, entrambi sono orgogliosi di un incarico così importante, ma mentre Manolo è concentrato e abbastanza freddo, Mirko non sta nella pelle, il suo volto è raggiante e adrenalinico, tanto da mettere la pistola nei pantaloni dalla parte sbagliata...
L'espressione di Mirko però cambierà ben presto, e quando si troverà a vedere i boss in azione (a capo del clan c'è Angelo interpretato da Luca Zingaretti), i suoi occhi saranno ben più atterriti.
Eppure Manolo è convinto che "c'avemo la chimica io e te, le cose ce vengono bene", ma allo stesso tempo ricorda lucidamente al compagno che dà i primi segni di consapevolezza "perché .pensi, nun devi pensa', sfogate!"
In uno di questi dialoghi, i D'Innocenzo curano particolarmente la messa in scena e dispongono i busti di Mirko e Manolo su piani sovrapposti, frontali e di profilo, mentre le parole dimostrano che i due hanno raggiunto il punto più alto del loro delirio di onnipotenza: "avemo svortato", "dovemo ammazza' io e te".
La regia, però, forse dà il meglio in una delle scene finali, durante la quale la mdp segue i due protagonisti dall'alto, mentre superano un cancello per entrare al'interno di una proprietà, affrontano i cani da guardia e stanano l'uomo che stanno cercando... una visione da videogioco platform anni '80, quelli in cui c'erano più "vite" o era possibile inserire altri gettoni.
Il film d'esordio dei ventinovenni Fabio e Damiano d'Innocenzo funziona, e Carpenzano e Olivetti fanno sperare che siano nate due stelle. Il cinema italiano li aspetta tutti e quattro, ne ha decisamente bisogno!
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