Il primo lungometraggio del regista napoletano per molti suoi "ammiratori delusi" è anche il migliore. Partendo da questo presupposto, la sfida è capire perché per tanti appassionati di buon cinema le opere di Paolo Sorrentino siano andate via via peggiorando.
Ammesso e non concesso, per dirla col principe de Curtis, che le prime opere dei grandi registi abbiano qualcosa di bellissimo che poi spesso si perde, l'evoluzione di un linguaggio cinematografico personale va riconosciuto e compreso prima di essere giudicato in maniera negativa.
L'uomo in più, la bella storia di due omonimi, un Antonio Pisapia calciatore (Andrea Renzi) e uno cantante (Toni Servillo), è una pellicola che per alcuni versi fa pensare nella filmografia di Sorrentino a quello che rappresenta I vitelloni in quella di Federico Fellini: un film perfettamente scritto, con personaggi ben delineati, ma che ad una visione poco attenta potrebbe sembrare realizzato anche da altri cineasti.
Il cinema del regista de Le conseguenze dell'amore col tempo si è sicuramente rarefatto, talvolta a scapito della sceneggiatura, ma oggi un suo film è riconoscibile in pochissimi fotogrammi, e aver creato uno stile così personale, proprio come accadde al grande regista riminese, è un merito che appare difficile non considerare.
Torniamo, però, a L'uomo in più, che peraltro inizia con una bellissima sequenza di cinema rarefatto, subacquea, che racconta, ma neanche troppo, la morte del fratello del cantante Antonio Pisapia... Due personaggi indimenticabili i protagonisti delle vicende che corrono parallele e alternate nel montaggio: il calciatore, liberamente ispirato alla storia del grande e compianto capitano della Roma degli anni '80, Agostino Di Bartolomei, e il cantante, che per più di qualche tratto ricorda la figura di Franco Califano. Come quest'ultimo, infatti, Tony - per differenziarlo dall'altro e ottenendo così anche l'omonimia con l'attore che lo interpreta - canta canzoni romanticamente dure e ciniche come La notte, con cui conquista stuoli di donne deluse dall'amore, secondo uno schema poetico e commerciale che negli stessi anni fece la fortuna del cantautore romano. Il suo agente, Genni (Ninni Bruschetta), è un faccendiere del mondo dello spettacolo, sempre colpito ferocemente da Sorrentino sin dal suo primo film, che infatti lo abbandona alle prime difficoltà.
Tony è un uomo che vive di entusiasmi e come tutti coloro che lo fanno, anche di vuoti enormi, l'equilibrio non è una dote che gli appartiene: musica e cucina sono le sue passioni; moglie e figlia recriminano la sua perenne assenza, mentre lui inanella relazioni con le fan, e una di queste, la più giovane, gli ricorda Pamela di Dallas, un paragone che ci precisa esattamente in che anni siamo. Il suo rapporto con la famiglia d'origine non è migliore di quello con la famiglia che si è creato: incapace di qualsiasi comportamento corretto, in costante scontro con la madre (Angela Goodwin), evita persino di farsi vedere al funerale del padre, trincerandosi dietro un inaccettabile "mi sono svegliato tardi". Persino vendere la propria auto sportiva significa fare i conti con un passato ormai tramontato, e non a caso il rottamatore che la acquista gli dice senza mezzi termini "sta macchina tiene lo stesso mercato ca tieni tu". È a questo personaggio dannato che Sorrentino riserva, oltre al ruolo dell'eroe, o meglio della versione sorrentiniana dell'eroe, le battute più dissacranti: "Voi orientali se vi organizzate a noi occidentali ci fate un culo così" o, con quella che forse è la migliore linea di sceneggiatura della pellicola, "Questo non perde mai occasione per mettersi di spalle alla vita"...
L'altro Antonio Pisapia, invece, è un leader silenzioso, il capitano di una squadra di serie A in una stagione deludente, che da difensore centrale realizza un gol in mezza rovesciata che gli dà una celebrità improvvisa, apoteosi della superiorità del caso nei confronti della dedizione e del duro lavoro quotidiano di una carriera intera. Un uomo vero, che non accetta combine e che ha uno splendido rapporto col suo vecchio allenatore e mentore, il Molosso (Nello Mascia). Proprio come il mondo dello spettacolo con Tony Pisapia, anche quello del calcio, dopo un grave infortunio, dimentica il suo Antonio, che studia per diventare allenatore e aspetta un ingaggio che tarda ad arrivare. La sua sofferenza sconfina anche nella vita privata, nella quale viene lasciato dalla moglie che non riesce a stargli a fianco ora che non è più uno sportivo affermato.
Non va meglio con il presidente della sua società, che lo liquida con un'altra sentenza ("il calcio è un gioco e tu sei un uomo fondamentalmente triste"), e in questo stato emotivo non può che andar male anche la sua possibile nuova storia d'amore...
La differenza tra i due temperamenti è tutta negli interessi durante i momenti di difficoltà: Tony, che si ritrova a suonare in tristi feste di paese prima di rinunciare alla musica, si appassiona alla cucina e prova anche a rilevare un ristorante; Antonio, invece, oltre a studiare schemi al Subbuteo e a presentarsi vestito da n.10 della Juve in una festa non mascherata - segno del suo essere costantemente fuoriposto -, va a vedere malinconicamente gli aerei che decollano, simbolo di un'impossibile evasione di chi si sente ormai invischiato in una vita che non lo soddisfa.
L'uomo in più è quindi un film sulla caduta e su come si possa reagire ad essa, un tema che il regista partenopeo affronterà più volte anche se declinandolo in maniere differenti.
Lo stile e la bella forma delle immagini di Sorrentino sono già in nuce, non mancano infatti riprese circolari, inquadrature ricercate e soprattutto la sequenza del sogno delle ballerine potrebbe già appartenere ad uno dei film successivi del regista.
Napoli fa da splendido scenario ad entrambe le vicende: il mondo del tifo è napoletano (lo stadio che si vede è proprio il San Paolo anche se la squadra non è quella azzurra), così come quello dello spettacolo, quello televisivo, della ristorazione e del carcere...
Anche il titolo del film, riferimento all'idea tattica che Antonio vorrebbe sviluppare in una squadra da allenare, rimanda al futuro Sorrentino: proprio sull'impossibilità di attuazione del suo nuovo schema di gioco, difeso con un laconico "è il principio dell'aerobica", il Molosso sentenzierà con un sarcastico "e centravanti chi gioca, Jane Fonda?", citando un altro caposaldo degli anni '80 - le videocassette che insegnavano a fare ginnastica in casa - e l'attrice chiamata ad interpretare un cameo nel suo ultimo Youth - La giovinezza.
Infine, come in tutti i film di Sorrentino, la musica è fondamentale: Please don't let me be misunderstood interpretata dai Santa Esmeralda (la stessa versione usata da Tarantino in Kill Billl), Just an illusion degli Imagination, sono i pezzi scelti per il breve momento di successo dei protagonisti ad inizio anni Ottanta, mentre l'immancabile I will survive, pur se cronologicamente lontana dagli anni in cui è ambientato il film, poiché usata nella versione eseguita dai Cake, fa da degna conclusione al bellissimo finale su cui non spenderò una parola per non rovinare la festa di chi non l'avesse mai visto o di chi volesse rivederlo senza ricordarlo del tutto...
Anche il titolo del film, riferimento all'idea tattica che Antonio vorrebbe sviluppare in una squadra da allenare, rimanda al futuro Sorrentino: proprio sull'impossibilità di attuazione del suo nuovo schema di gioco, difeso con un laconico "è il principio dell'aerobica", il Molosso sentenzierà con un sarcastico "e centravanti chi gioca, Jane Fonda?", citando un altro caposaldo degli anni '80 - le videocassette che insegnavano a fare ginnastica in casa - e l'attrice chiamata ad interpretare un cameo nel suo ultimo Youth - La giovinezza.
Infine, come in tutti i film di Sorrentino, la musica è fondamentale: Please don't let me be misunderstood interpretata dai Santa Esmeralda (la stessa versione usata da Tarantino in Kill Billl), Just an illusion degli Imagination, sono i pezzi scelti per il breve momento di successo dei protagonisti ad inizio anni Ottanta, mentre l'immancabile I will survive, pur se cronologicamente lontana dagli anni in cui è ambientato il film, poiché usata nella versione eseguita dai Cake, fa da degna conclusione al bellissimo finale su cui non spenderò una parola per non rovinare la festa di chi non l'avesse mai visto o di chi volesse rivederlo senza ricordarlo del tutto...
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