Ci sono buoni film che illustrano pensieri e idee non certo edificanti e brutti film che invece sono ispirati da ottime storie sviluppati, però, in maniera ordinaria e piatta.
Va da sé che cinematograficamente siano da preferire di gran lunga i primi e non si può negare che Boy erased appartenga alla seconda tipologia.
Joel Edgerton, peraltro con un cast davvero notevole che include Nicole Kidman, Russell Crowe e il sempre più bravo Lucas Hedges, un dettaglio che aumenta il rammarico per il risultato mediocre, ha adattato il romanzo autobiografico Boy Erased: A Memoir di Garrard Conley, oggi scrittore e insegnante di letteratura, residente con il marito a New York.
Jared Eamons (Lucas Hedges) è un ragazzo di diciannove anni nato in Arkansas, da un padre, Victor, pastore battista (Russell Crowe), e da una madre, Nancy (Nicole Kidman), repressa dalla personalità ingombrante del marito. In un contesto del genere, l'omosessualità di Jared è inevitabilmente vissuta come un problema e, incredibile a dirsi, come una malattia.
Garrard/Jared, infatti, è costretto a frequentare, su consiglio del padre, a sua volta instradato dai suoi superiori, un programma di recupero chiamato "Love in Action", sorta di college finalizzato a curare l'omosessualità intesa come comportamento deviato, con tanto di lezioni tenute da improbabili professori come Victor Sykes (Joel Edgerton) e Brandon (interpretato da Flea, bassista dei Red Hot Chili Peppers), incapaci di ogni pur minimo insegnamento privo di connessioni con precetti biblici e religiosi.
È l'inizio degli anni 2000 e fa ancora più effetto sapere, grazie alle didascalie alla fine del film, che 700 mila ragazzi abbiano frequentato "scuole" di questo tipo e che ne esistano ancora oggi, in una di quelle tante assurdità statunitensi nascoste dietro un liberismo autolesionista.
Fatta eccezione per una bella ellissi iniziale che porta la mdp dalle foto di Jared bambino ad inquadrare le spalle di Jared ormai adulto, e al ricorso ad una serie di flashback che danno un minimo di movimento alla storia, tutto è maledettamente convenzionale e didascalico.
Lo spettatore viene condotto all'interno della vicenda e preso per mano ad ogni passo, in un mondo in cui fingere è l'unica soluzione per riuscire a rimanere se stessi. Di Jared ci vengono raccontati i primi turbamenti, dalla prima storia eterosessuale da giocatore di basket al liceo con una compagna ragazza pon pon, alla prima pessima esperienza con un ragazzo al college; dalla scoperta di una sessualità più serena, fino all'autoconsapevolezza e alla rivendicazione dei propri diritti con la famiglia.
Anche gli scontri con i genitori, dapprima sopiti e persino repressi nella convinzione di essere sbagliato, col tempo diventano diretti, generando risultati migliori con la madre, che coglie l'occasione per allontanarsi dal rigido e ottuso pensiero del marito, che per anni rifiuterà di confrontarsi con il figlio nel frattempo trasferitosi a New York e autore di articoli sul Times di denuncia contro Love in Action.
Tra gli attori, piccoli ruoli per Xavier Dolan e Troye Sivan, entrambi compagni di Jared nella scuola reazionaria, dove il personaggio più rilevante è Cameron (Britton Sear), la cui fisicità pienamente maschile, in contrasto con la spiccata sensibilità, gli costa più vessazioni degli altri, trasformandolo in una figura molto simile al Leonard Lawrence interpretato da Vincent D'Onofrio, per tutti soldato Palla di Lardo in Full Metal Jacket (Kubrick 1987).
Proprio a Cameron viene dedicata la sequenza più dura, e forse migliore, dell'intero film, in cui il ragazzo vive l'incubo di essere ritualmente giudicato e fisicamente vessato a colpi di Bibbia dai membri della propria famiglia, in una sequenza che farebbe invidia all'onirismo polanskiano di Rosemary's Baby, qui però privo di ambiguità.
Resta un'ultima suggestione cinefila, l'immagine della mano di Jared fuori dall'auto a far passare l'aria tra le dita, che tanto ricorda le sensazioni tattili di un capolavoro come Mommy (2014), e chissà che Dolan ci abbia messo lo zampino...
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