giovedì 2 maggio 2019

Ride (Mastandrea 2018)

Dopo il corto Trevirgolaottantasette (2005), con cui vinse il Nastro d'Argento, Valerio Mastandrea torna dietro la mdp per il suo primo lungometraggio, mettendo in scena il racconto della reazione a un dramma, quello della morte di un operaio in fabbrica, Mauro Secondari.
A questo evento, che rappresenta l'unità di azione, la pellicola aggiunge anche unità di tempo, il giorno che precede i funerali del ragazzo, che avranno una certa eco per via della manifestazione che i colleghi stanno organizzando, e di luogo, Nettuno, il centro in cui è la fabbrica che ha dato lavoro a diverse generazioni.

La narrazione si concentra quasi esclusivamente sulla vita in quelle ventiquattro ore, di Carolina (Chiara Martegiani), compagna di Mauro, lasciando uno spazio minore al padre della vittima, Cesare (Renato Carpentieri), anche lui operaio, ora in pensione, della stessa fabbrica, nonché al figlio di dieci anni, Bruno (Arturo Marchetti).
Mastandrea sceglie di lasciare sullo sfondo la valenza politica, di cinema impegnato alla Loach o alla Dardenne, limitandola alle parole di Cesare, rivolte ai colleghi di un tempo - Ictus (Walter Toschi) e Morbido (Giancarlo Porcacchia) - sulla condizione dei lavoratori, per nulla cambiata da allora, e su come la nuova generazione sia costretta a correre gli stessi rischi ("ma davero nun semo serviti un cazzo, o quarcosa de bono l'avemo fatto?", dirà uno di loro). 
Ciò che più interessa l'attore e regista romano sono i sentimenti di chi resta di fronte ad una morte così improvvisa e immotivata, che rende tutti impotenti.
Il titolo del film riassume la sofferente incapacità di piangere di Carolina, che vorrebbe sfogarsi, urlare forse, ma che scena dopo scena dimostra quanto le risulti difficile. Anche la colonna sonora ha in parte questo ruolo, poiché intradiegeticamente è proprio la donna a scegliere brani come Dancing with tears in my eyes (Ultravox) o Sick of Goodbyes (Sparklehorse), che nelle sue intenzioni dovrebbero aiutarla a piangere, ma senza successo.
È proprio in un bel dialogo con il piccolo Bruno che la sua difficoltà viene evidenziata, poiché il figlio le fa notare quanto sia sorprendente il suo comportamento, "quando mi chiedono 'come sta mamma?', dovrei rispondere  'mamma ride' ", "perché non piangi?".
Il confronto tra Carolina e Bruno apre anche il film: la mdp li riprende al tavolo della cucina, mentre fanno colazione, dialogando su come si vestiranno il giorno dopo; dettagli pratici, apparentemente secondari e inutili, eppure da dover decidere. 
La sceneggiatura, scritta da Mastandrea con Enrico Audenino, è indubbiamente il punto forte del film e alcune battute si fanno notare più di altre. Un uomo lascia il padre anziano e malato da Cesare, nella sua casa a ridosso della spiaggia, e gli parla ad alta voce; alla domanda di Cesare sul perché, l'anziano risponde "perché se crede che l'ictus è 'na cosa che viene dentro 'e orecchie". Una coppia di amici arriva a casa di Carolina e, oltre a farle le condoglianze, i due le rivelano di essersi lasciati perché lui si è innamorato di un'altra donna, un avvenimento su cui la compagna dice: "nun piagnevo come 'na donna, piagnevo come 'na madre", sottolineando di fatto come fossero già in precedenza lontani dall'essere una vera coppia.
Carolina si ritrova a dover accogliere anche le lacrime della prima fidanzata di Mauro, Sonia, che non conosce nemmeno, e che si presenta a casa sua disperata, quasi trasfigurata dal dolore, una reazione ancora più clamorosamente contrastante rispetto alla sua, che paradossalmente non può far altro che consolarla. 
Tutti hanno storie e consigli non richiesti per lei. Si configura così anche la visita di Ada (Milena Vukotic), un'anziana signora che la trucca e che le espone la sua teoria, non richiesta, di quanto il giorno dopo dovrà "essere la più forte e la più bella di tutte", perché "tu non devi smettere di essere una donna perché ti è morto il marito". Peccato, però, che sarà lei ad avere immediato bisogno di Carolina che, dopo una sua caduta, dovrà chiamare l'ambulanza per farla soccorrere.
Bruno gioca con un coetaneo, Ciccio (Mattia Stramazzi), perché i bambini non smettono di giocare mai, nemmeno in momenti del genere, al massimo declinano il gioco in maniera triste e malinconica. E così Bruno si finge giornalista televisivo che fa un servizio durante il funerale del padre, con fare un po' sensazionalistico "C'è molta gente oggi per salutare Mauro Secondari, non si è mai visto qui a Nettuno un funerale così pieno di gente". Il bambino avrà una reazione irrazionale, per fortuna, in una bella sequenza in cui lo si vede girare per Nettuno in bicicletta a strappare gli annunci funebri del padre: è l'unico modo che ha di cancellarne la morte.
Carolina riuscirà ad aprirsi e a cedere un po' solo con il fratello di Mauro, Nicola (Stefano Dionisi), che arriva all'improvviso. È lui il vero deus ex machina, per rimanere sulle analogie del film con la tragedia classica, che rompe l'equilibrio e la stasi precedente, sia con la cognata appunto, sia con il padre, ritenuto colpevole della morte del figlio minore. 
Lo scontro con il genitore è indubbiamente la sequenza più dura dell'intera pellicola, senza esclusione di colpi: Nicola gli dà dell'assassino, lo porta in fabbrica, lo condanna per essere riuscito con Mauro laddove con lui aveva fallito, fargli seguire le proprie orme. Anche qui la sceneggiatura non lesina frasi che restano in mente, con il primogenito che inveisce contro il padre, "sei contento? Mo' c'hai er martire col cognome tuo" e ribadisce "per questo ha fatto il lavoro tuo: era l'unico modo pe' fasse vole' bene da te", mentre il padre, prima di colpirlo ripetutamente come con un figlio disubbidiente, gli dice "io non ho mai avuto due figli, tu sei morto quando sei nato e ancora non lo sai". Un po' troppo didascalica, invece, la lettera di scuse che legge lo stesso Cesare mentre gli operai omaggiano la bara di Mauro, e mentre la colonna sonora contribuisce con le note quantomai evocative e liberatorie di Everybody's Gotta Live (Arthur Lee).
Mastandrea si lascia andare anche ad una sequenza surreale e cinefila: Carolina viene travolta dall'acqua che scende dal soffitto e si ripara sotto l'ombrello che le dà il figlio; la sua casa riesce in ciò che a lei non riesce, piange letteralmente al suo posto, come piangeva l'appartamento di Tony Leung nel magnifico Hong Kong Express di Wong Kar Wai (1994).
Un'altra scena onirica, stavolta degna di un film muto o di Jacques Tati, ma in chiave profondamente triste, merita di essere ricordata: è il momento in cui Nicola "interpreta" il fratello sedendosi a tavola con Carolina e fingendo di consumare il pasto da lei preparato. Nel piatto e nel bicchiere non c'è nulla, ma gli sguardi accompagnati dalla malinconica versione di Madjo di Where Did You Sleep Last Night, rendono tutto molto toccante.
Una buona opera prima, per alcuni aspetti acerba, ma un piccolo film intimista che ha il merito di far riflettere su quanto sia inaccettabile morire così ancora oggi...

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