mercoledì 6 marzo 2019

La paranza dei bambini (Giovannesi 2018)

Claudio Giovannesi, dopo il successo di Fiore (2016), torna a parlare di delinquenza minorile e dal carcere passa a raccontare la strada adattando, con l'aiuto di Maurizio Braucci, l'omonimo romanzo di Roberto Saviano (2016), anch'egli coautore della sceneggiatura. La paranza è la pesca effettuata da imbarcazioni, che navigano in coppia, parola che per estensione è passata a identificare anche i gruppi di camorristi che si muovono in branco e che qui sono i protagonisti della storia.
I ragazzi di vita pasoliniani si spostano cronologicamente e geograficamente: li ritroviamo oggi per le vie di Napoli pronti a bruciarsi velocemente, a rischiare la vita, ad imbracciare le armi pur di ottenere soldi e potere, unici valori in cui credere.
Nicola (Francesco Di Napoli) è un quindicenne, che vive con il fratello minore e con la madre, titolare di una lavanderia, vessata come tanti altri negozianti dalle richieste di denaro da parte degli estorsori. La volontà di sgravare la madre da quei continui pagamenti indirizza il ragazzo verso la camorra.
Nicola e i suoi amici vivono nel rione Sanità e, nella logica delle faide cittadine, considerano loro rivali i "quartierani", quelli dei Quartieri spagnoli, sotto il cui nome a Napoli rientrano le zone di San Ferdinando, Avvocata e Montecalvario.
I luoghi in cui va in scena questa rivalità sono molti, così la sfida può essere rappresentata dal furto dell'albero di Natale della Galleria Umberto I; dalle "stese", le tipiche sparatorie dimostrative compiute a bordo dei motorini rigorosamente guidati senza casco, perché l'immortalità è la condizione mentale necessaria di questi ragazzi; ma soprattutto in discoteca, dove chi conquista il tavolo nella parte terrazzata del locale può gridare "faccimmece vere' ", quello che più conta, e guardare fisicamente tutti dall'alto intonando cori da stadio contro gli avversari.
Eh già, perché in fondo questi adolescenti tifano per se stessi contro gli altri, come tra fazioni sportive, come tra contrade senesi, o come tra Montecchi e Capuleti. E anche Romeo e Giulietta, in effetti, viene inscenato da Giovannesi, che fa innamorare Nicola di Letizia (Viviana Aprea), una ragazza di un rione rivale dal quale il ragazzo verrà presto bandito, vedendosi così costretto alla più tradizionale "fuitina" con la sua bella.
Nicola, Tyson, Biscottino, O' Russ e Lollipop passano da un boss all'altro pur di avere il potere, il denaro e le armi. Sognano di essere gli Striano, i cui capi, oggi un pentito e un carcerato, sono ancora stimati nel quartiere poiché non chiedevano il pizzo ai commercianti e facevano lavorare i disoccupati, ma ora devono accontentarsi di chi li ha sostituiti.
La "carriera" dei ragazzi è rapidissima: prima un tentativo di furto in gioielleria da autodidatti, poi la gestione della droga nel quartiere affidatagli da chi ormai controlla la zona, fino al passo successivo, quando questi vengono messi fuorigioco, arrestati durante un matrimonio. Proprio Nicola, infatti, ha l'ambizione di prendere il potere e approfitta di questo momento per proporre se stesso e il suo gruppo come milizia a don Vittorio (Renato Carpentieri), boss ai domiciliari a cui i ragazzi regalano una playstation per farlo giocare, naturalmente a un videogioco sparatutto. 
In questo contesto solo il crimine sembra poter garantire ai più giovani una soluzione per una vita migliore: non c'è cultura né volontà di conoscenza, ma solo voglia di apparire e di avere. A dimostrarlo, l'ammirazione aberrante per tutto ciò che luccica e ha grandi dimensioni: dalle auto ai grandi appartamenti dei boss, ricolmi di inutili oggetti preziosi, statue incredibilmente kitsch di felini dorati scambiati per opere d'arte, tapis roulant in salotto, cornici luminose attorno ai televisori.
Il denaro in fondo serve a questo, ad essere speso per comprare tutto ciò che si può ostentare, in modo da evidenziare la propria nuova condizione economico-sociale. Tra gli status symbol ci sono anche i mobili, tra cui un improbabile portaliquori in forma di contrabbasso che rappresenta il punto più alto dell'arredamento grottesco che Nicola regala alla madre, una madre perplessa di quanto stia accadendo improvvisamente, ma che non è in grado nemmeno di fare delle domande al figlio, combattuta tra la paura della vita in cui si è evidentemente cacciato e la fascinazione per il denaro facile che ha colpito anche lei.
In tutto il film, i protagonisti appaiono attenti e concentrati ad imparare qualcosa solo quando a fargli la lezione è uno spacciatore che insegna loro come tagliare un panetto di ashish in piccole porzioni o davanti a un tutorial su internet che spiega come si usano le armi. Ed è sistematica l'onnipresenza del cellulare, utilizzato per immortalare momenti percepiti come epici, tra cui rientrano l'incontro con il boss o la prima pistola vera tenuta in mano. In fondo sono davvero dei ragazzi, "con la bocca che puzza ancora di latte", gli dice qualcuno, o come sintetizza don Vittorio con un'espressione coloritissima che rende la situazione: "la pucchiacc' in man' ai ccriatur' ". E in effetti è proprio questo che sorprende di più: ragazzi, poco più che bambini, che si comportano come adulti caricaturati. Non solo la ricerca dell'agognato potere, ma anche l'amore segue dei binari dettati dall'esempio: Nicola per far colpo su Letizia la porta a vedere l'opera, prendendo persino un palco a teatro, ma senza avere la minima idea di cosa stia andando a vedere.
Il film di Giovannesi è un buon film, ben scritto - la sceneggiatura ha vinto l'Orso d'argento a Berlino - e ben girato, come nei momenti più convulsi, in cui la macchina a mano è mezzo espressionista della traduzione della realtà. I dettagli, come sempre, sono importanti: Nicola conquista Letizia portando decine di palloncini all'elio, il cui colore regala riflessi rossi sui due volti dei ragazzi, segno che anche in una sequenza narrativamente piuttosto banale l'ottima fotografia di Daniele Ciprì può esaltarsi. Nonostante tutto, alla fine della visione resta la spiacevole sensazione di aver visto un film di genere, che del genere ha ormai introiettato una serie di cliché
Al di fuori di questi, la sequenza del matrimonio della nipote del boss in cui la polizia effettua la retata e durante il quale i ragazzi vengono coinvolti come camerieri: è quella l'occasione per Nicola di passare in rassegna tutti gli invitati più rilevanti senza dimenticare i loro soprannomi, in un momento del tutto simile a quello che in Bronx (De Niro 1993) vedeva protagonista il giovane Calogero che faceva lo stesso nel bar in cui si riunivano i principali malviventi del quartiere.
La nuova generazione si mostra con le facce pulite e i buoni sentimenti di Nicola e gli altri; è forse col tempo che l'abbrutimento ha la meglio anche sull'aspetto fisico dei camorristi. Non c'è disperazione, ma semplice ineluttabilità di una via segnata prima di essere vissuta, su cui infatti, grazie all'esempio dei fratelli maggiori, sono già indirizzati anche i bambini più piccoli, consapevoli che per contare qualche cosa e farsi rispettare basta avere una pistola...

2 commenti:

  1. Ciao Gianni,
    mi togli una curiosità? Dato che non ho visto il film, la conclusione della tua recensione coincide con il “messaggio” del film o corrisponde ad una tua interpretazione? Ossia, il punto di vista “morale” del regista come si pone riguardo i comportamenti dei protagonisti?
    Permettimi un appunto... l’Orso vinto a Berlino era d’argento! ;-)
    Grazie in anticipo per la tua risposta,
    Francesco

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    1. Grazie Francesco, ho corretto l'inesattezza!
      Per quanto riguarda il mio commento finale, è una mia interpretazione, certo, ma direi molto veicolata dal film.

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