mercoledì 19 dicembre 2018

First Man - Il primo uomo (Chazelle 2018)

Damien Chazelle, dopo Whiplash (2014) e La La Land (2016), punta ancora più in alto (in termini di ricerca degli Oscar) e gira una storia che può fare breccia nei cuori statunitensi e non solo, dedicando il suo ultimo film alla realizzazione di uno dei grandi sogni del XX secolo (trailer).
Scritta da Josh Singer (Il caso Spotlight e The Post), adattando la biografia di First Man: The Life of Neil A. Armstrong (James R. Hansen 2005), la pellicola, per regia, montaggio e sceneggiatura, non brilla, ma si attesta al livello di un buon prodotto hollywoodiano, con ciò che questo significa sia nel bene che nel male.
Gli va riconosciuta, però, un'interessante chiave di lettura ben poco trionfalistica. La trama, infatti, procede raccontando i molteplici fallimenti necessari prima del successo di quello storico 21 luglio 1969, a dimostrazione che anche un'impresa come questa non può non passare per tante sconfitte.
Nel 1961 Neil Armstrong (Ryan Gosling) è il pilota di un aerorazzo che, dopo una manovra errata nel deserto Mojave in California, viene sospeso. L'anno seguente perde Karen, la figlia di due anni, colpita da un tumore. Questa è la situazione della sua vita quando, nel 1962, entra nel progetto Gemini con cui la NASA si è prefissata di raggiungere la luna entro la fine del decennio.
Si tratta di un obiettivo politico ancor prima che scientifico: nell'ambito della Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno bisogno del successo di questa missione per fronteggiare i progressi sovietici, tanto più che il 18 marzo 1965 Alexey Leonov compie la prima passeggiata nello spazio.
Anche quest'evento viene narrato come una delle tante disfatte, con gli astronauti che, completamente ignari di quanto stia accadendo dall'altra parte del mondo, scoprono la notizia davanti al televisore, durante un notiziario.
La spesa aumenta sempre di più e, negli anni del Vietnam, a molti sembra ancora più assurdo sperperare così tanti fondi per una missione che non sembra avere altri obiettivi se non quello di ottenere un primato nei confronti dell'Unione Sovietica. Quello che viene percepito come un capriccio è perfettamente sintetizzato dalla bella Whitey on the moon, canzone che evidenzia le contraddizioni statunitensi di quel momento storico, in cui la corsa alla luna, oltre alla guerra, mette in secondo piano anche le tante ingiustizie sociali del paese.
Si aggiungano a tutto questo le morti di diversi astronauti: quella di Elliot See (Patrick Fugit), membro del gruppo dei "nuovi nove" selezionati nel 1962 insieme allo stesso Armstrong, in un incidente aereo nel 1966, ma soprattutto quella di Gus Grissom (Shea Whigham), Edward White (Jason Clarke) e Roger Chaffee (Cory Michael Smith) durante un test nel 1967 a Cape Kennedy, in cui muoiono a causa di un incendio all'interno della capsula dell'Apollo 1.
Tutto appare molto approssimativo, con mezzi e strumenti che non danno l'idea di essere al pari dell'impresa da raggiungere, come sottolinea la scenografia di Nathan Crowley, e le tante difficoltà sembrano essere il frutto di quello che ha tutta l'aria di essere un gioco che non vale la candela, in termini non solo economici ma anche di rischio di vite umane. Lo sottolineano sia i giornalisti, ma anche Janet (Claire Foy), la moglie del protagonista, che con rabbia esplode contro uno dei responsabili della NASA "siete bambini che giocano con gli aeroplanini di legno".
Che Chazelle sia interessato soprattutto alle vicende familiari di Armstrong in parallelo all'impresa enorme e internazionale in cui l'astronauta è coinvolto, lo dimostra anche un montaggio, davvero immancabile in film come questo e che il regista prova a far deragliare dalla norma usando la mdp in movimento, in cui Neil viene immortalato nella vita quotidiana, con i due figli maschi rimastigli, come un perfetto padre, non a caso inserito dopo le lamentele di Janet sul desiderio di una vita normale. Tra i momenti più prevedibili c'è sicuramente anche il dialogo stringato di Neil con i figli, prima di una partenza che può non prevedere un ritorno, e su cui infatti i capi della NASA, Robert R. Gilruth (Ciarán Hinds) e Deke Slayton (Kyle Chandler) hanno già preparato un comunicato nel caso di fallimento.
Pochi i momenti in cui la regia si fa notare. Uno di questi è il bel surcadrage realizzato utilizzando la finestra passavivande dell'appartamento di Armstrong che, nella penombra della stanza buia, riflette sulle tante difficoltà del suo incarico. Significativa, inoltre, la gestione della mdp nel momento più rilevante del racconto, con la soggettiva di Neil che si guarda intorno, la sua prima orma sul suolo lunare e la notevole panoramica a 360°, mentre il sonoro è occupato dal respiro all'interno del casco (che siano state le immagini televisive di quell'evento a suggerire a George Lucas l'affannoso respiro di Darth Vader nella saga di Guerre Stellari?), e soprattutto dalla frase rimasta nella storia "Questo è un piccolo passo per l'uomo, un gigantesco balzo per l'umanità". Decisamente evitabile, invece, l'inserto sentimentalistico e retorico - come non pensare a Spielberg, qui produttore esecutivo? - con Armstrong che lascia cadere un braccialetto della figlia morta in un cratere.
Il contrasto tra il temperamento introspettivo e taciturno di Neil e quello estroverso e frontale di Buzz Aldrin (Corey Stoll) è ben evidenziato, e questo aiuta la narrazione a evidenziare come, dopo le diverse morti, sia quasi un caso che alla fine sarà proprio Neil a guidare la missione dell'Apollo 11. Viene solo accennato, invece, il personaggio di Mike Collins (Lukas Haas), il terzo uomo a partire per la luna, che però aveva il compito di rimanere a controllare il Modulo di Comando e di Servizio orbitante intorno alla Luna, in attesa del ritorno dei due colleghi a bordo dell'Eagle.
Le interpretazioni degli attori non hanno particolari picchi e, onestamente, l'attore feticcio di Chazelle, Ryan Gosling, non riesce a convincere quasi mai nelle oltre due ore di pellicola.
La colonna sonora di Justin Hurwitz (ascolta) è costituita da brani di atmosfera, come Crater o Apollo 11 launch, o più trionfali, come The Landing. Per il resto, com'è naturale che sia, si appoggia ai tanti successi del tempo e li sceglie con attenzione rispetto al testo in relazione alla materia trattata: oltre alla già citata Whitey on the moon, grande successo dei Last Poets proprio del 1969; durante una cena tra astronauti e compagne si sente in sottofondo Five hundred miles, particolarmente azzeccata per chi lavora per raggiungere la luna a quasi 400 mila chilometri di distanza.
Ryan Gosling e il vero Neil Armstrong
Il film di Chazelle, in fondo, ha la funzione di ridare interesse internazionale ad una storia che merita di essere approfondita, troppo spesso negli ultimi anni finita nel complottismo imperante (leggi). Ad un passo dal cinquantenario di quell'evento, studiare cosa avvenne, informarsi, leggere e vedere i tanti filmati sull'argomento (presenti anche su youtube) può indubbiamente essere utile a capire. La pellicola in sé, invece, difficilmente rimarrà nella storia...

Nessun commento:

Posta un commento