giovedì 13 dicembre 2018

Santiago, Italia (Moretti 2018)

Dal 1970 a oggi, la storia del Cile, del governo democratico di Salvador Allende, il colpo di Stato militare e le sue conseguenze, la fuga da Santiago di molti cittadini, l'Italia nel ruolo di paese accogliente. È una storia emozionante quella dell'ambasciata italiana che nella capitale cilena divenne porto sicuro di chi fuggiva dal regime, garantendogli protezione e, poi, l'approdo nella penisola dove trovarono lavoro e una nuova vita (trailer).
Nanni Moretti ce la racconta facendo parlare le immagini e soprattutto i testimoni di allora, che oggi si sentono metà italiani o meglio, per dirla come uno di loro, "è difficile distinguere se siamo cileni o italiani".

Del regista, che resta dietro la mdp a fare domande, sentiamo la sole voce per tutto il film, fatta eccezione in due soli casi: nella bella immagine iniziale, che fa da silenziosa introduzione al racconto e che non a caso è stata scelta per la locandina, in cui traguarda il panorama di Santiago, ma soprattutto quando scavalca il campo d'azione della regia per parlare direttamente con uno degli intervistati. Si tratta di Raul Eduardo Iturriaga, ex generale della DINA, la polizia segreta di Pinochet, che ancora oggi ripete imperterrito di aver eseguito degli ordini, convinto di aver fatto il bene del paese, che a suo dire rischiava una guerra civile, tanto più che i morti furono solo tremila a fronte dei trentamila in Argentina (sic), e dichiarando di aver concesso l'intervista solo perché sarebbe stata imparziale. A questa parola Nanni Moretti gli compare di fronte per precisare con fermezza "io non sono imparziale": uno scavalcamento di campo necessario e urgente.
Il documentario racconta, anche attraverso l'ausilio di filmati d'archivio, la democratica presa di potere di Salvador Allende, vincitore, anche se di poco, delle elezioni del 1970; i tre anni che seguirono e che vengono ricordati da chi poi fu costretto a rifugiarsi in Italia come un periodo di età dell'oro, nonostante tutte le difficoltà; il colpo di Stato militare dell'11 settembre 1973, con il bombardamento della Moneda, il palazzo del governo di Santiago, la morte di Allende (probabilmente ucciso e non suicida, come spesso viene creduto), l'enorme contraddizione di un regime totalitario creato proprio da chi vedeva nel governo in carica il rischio di totalitarismo.
Sono immagini agghiaccianti quelle degli aerei militari che colpiscono una città e un edificio così simbolico del proprio stesso paese, di cui sono degne compagne le parole di Pinochet che dichiara la sospensione "a tempo indeterminato" delle attività parlamentari.
Quando le classi dominanti non accettano la democrazia, l'opposizione può arrivare anche a far questo, sembrano dirci quei fotogrammi; e nel caso del Cile, a contrastare il governo Allende, erano in molti: i detentori del potere economico, di quello mediatico, e soprattutto gli Stati Uniti, che nel clima di Guerra fredda di quegli anni non potevano tollerare una democrazia così sbilanciata a sinistra, che il presidente stesso ribattezzò "La vía cilena al socialismo".
Il documentario può essere diviso in tre parti.
Nella prima l'entusiasmo per la vittoria elettorale, i canti, le feste, Allende e Pablo Neruda che vengono accolti dai cori. Nella seconda l'incubo di una democrazia che si trasforma improvvisamente in una dittatura, la fine della gioia, l'obbligo di tornare a casa presto, le strade vuote, il silenzio, le torture e le uccisioni nello stadio. Furono pochi in grado di opporsi o di aiutare gli oppressi... uno dei testimoni, pur dichiarandosi "completamente ateo", ricorda con affetto il cardinale Carlos Marcio Camus Larenas, poiché "era come devono essere i cardinali", non mancando di precisare, però, che Karol Wojtyła lo depose appena raggiunti i 75 anni d'età, quasi come una liberazione da quel religioso scomodo. La terza è quella della speranza, quella degli individui che si ribellano alla follia di tutto questo e che trovano una soluzione riuscendo a fuggire, grazie ad un muro basso dell'ambasciata italiana...
Qui i racconti diventano persino divertenti: alcuni di loro ricordano di aver scavalcato quel muro aiutati da religiosi ("una monaca vestita di monaca" dice uno dei rifugiati); di averlo fatto davanti a dei militari senza rendersi conto dell'inopportunità del gesto; di aver chiesto educatamente di poter lasciarsi cadere a persone che prendevano il sole attorno alla piscina.
L'ambasciata accolse tutti, anche se dal Ministero in Italia nessuno prese posizione rispetto alle richieste sul da farsi. Alla fine si creò una vera e propria comune, con il salone di rappresentanza occupato da una cinquantina di sacchi a pelo e così i tre piani dell'edificio, diviso per donne nubili, famiglie, uomini celibi. Tutti collaboravano, lavorando in cucina, in giardino, mentre i bambini giocavano ad una versione aggiornata di guardie e ladri... "rifugiato e poliziotto".
E, infine, il viaggio in Italia, dove tutti ricordano la grande solidarietà popolare, la manifestazione d'accoglienza a largo SS. Apostoli, dove in prima fila era seduto Gian Maria Volontè, commosso.
Ed è così, ancora oggi, durante Santiago, Italia, ci si commuove immedesimandosi in queste persone e scoprendo dettagli di una storia più grande, terribile e inaccettabile.
Il documentario di Nanni Moretti andrebbe distribuito nelle scuole, mostrando quanto la democrazia e i diritti acquisiti, per capriccio di pochi, possano essere messi a rischio e non essere più così acquisiti come siamo abituati a credere.
Qualcuno degli intervistati, che da un Cile "patrigno" è stato accolto da un'Italia "madre", ipotizza che quella empatia italiana nei loro confronti era anche frutto della resistenza vissuta solo trent'anni prima nella penisola; molti ricordavano ancora la dittatura subita. E forse, in effetti, la differenza è davvero tutta lì...

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