domenica 23 dicembre 2018

Roma (Cuarón 2018)

Quello che siamo abituati a pensare come il soggetto di un'opera prima, nel caso di Alfonso Cuarón arriva dopo quasi trent'anni di attività.
Per questo il bellissimo Roma può essere definito un'urgenza posticipata nella carriera del regista messicano (trailer).
Roma è il quartiere in cui Alfonso è cresciuto, in una famiglia altoborghese, nel film costituita dai genitori, Antonio (Fernando Grediaga) e Sofia (Marina de Tavira), medico e biologa, da quattro fratelli, Paco, Toño, Sofi e Pepe, la nonna materna, Teresa, e le due domestiche, Cleo (Yalitza Aparicio) e Adela (Nancy García García) che vivono con loro.
Ed è proprio Cleo, detta Manita, che tra le tante incombenze casalinghe si occupa soprattutto dei bambini da cui è amata in maniera evidente, la protagonista della pellicola che ha vinto meritatamente il Leone d'oro a Venezia, dedicata alla reale domestica del regista, Libo.

Cuarón gira in un bel bianco e nero che aumenta il carattere poetico della pellicola e sfoggia una regia di alto profilo. Affrontando spazi casalinghi, dinamiche familiari e, appunto, la poesia della vita quotidiana, utilizza spesso la mdp come avrebbe fatto Yasuhiro Ozu: i personaggi percorrono l'inquadratura, ma non la determinano, e questa resta vuota in attesa del loro ritorno. Le prime sequenze della pellicola sono esemplari in tal senso: dopo i titoli di testa che scorrono sull'acqua spazzata dalle mattonelle in graniglia che costituiscono il pavimento della corte esterna della casa, la mdp ci mostra, con carrelli orizzontali, i diversi ambienti, mentre Cleo, riordinando le stanze, si muove continuamente tra campo e fuoricampo, e canticchia con Adela le musica leggera messicana che arriva dalla radio accesa. Il film è iniziato da pochissimo ma in quelle poltrone ci si sente già coccolati da questo elogio della lentezza fatto cinema.
Questa magnifica lentezza, peraltro, ci permette di osservare tutto con attenzione, scegliendo cosa privilegiare all'interno dei campi lunghi e delle inquadrature affastellate, dando spazio anche ai dettagli che ci informano dell'agiatezza economica in cui vive la famiglia, gli anni in cui è ambientata la storia (le piastrelle in graniglia, tanto in voga negli anni '50-'60, o il più puntuale poster dei mondiali messicani di calcio del 1970 in camera dei ragazzi), ma anche ad alcuni tormentoni degni della migliore commedia classica. Si pensi soprattutto agli escrementi di Borras, il cane di casa, che per tutta la durata del film costellano il pavimento del cortile in cui Antonio, di ritorno la sera, parcheggia l'auto in un momento che Cuarón ricorda come rituale, fatto di brevi e sicure manovre nello spazio angusto, e che si trasforma in slapstick quando sarà invece Sofia a tentare di farlo, con pessimi risultati. Fino all'inevitabile vendita della grande Ford Galaxy e l'acquisto di un'utilitaria della Renault, le cui ridotte dimensioni forniscono maggiori garanzie alla sua integrità.
Cleo è davvero una seconda mamma per i ragazzi o almeno una sorella maggiore, ed è evidente quanto sia privilegiato il suo rapporto con Pepe, il più piccolo dei bambini, nonché l'alter ego del regista, quello che spesso parla al passato - "quando ero grande..." - spiegando alla tata che intende un passato prima della propria nascita. È con lui che la domestica gioca ("estoy muerta"), canta la ninna nanna serale, e dal quale si sente stringere il braccio mentre la famiglia guarda la televisione dopo cena, poiché non vuole che si allontani.
Al di là del lavoro casalingo, il film ci mostra anche la vita di Cleo e Adela nel tempo libero, le uscite, per lo più al cinema, con Ramon e Fermin (Jorge Antonio Guerrero). La storia di Cleo con quest'ultimo, però, durerà poco poiché, rimasta precocemente incinta, la ragazza lo vedrà sparire appena comunicatagli la novità e a nulla servirà rintracciarlo in seguito, perché quella sarà occasione di mortificazione e minacce da parte sua.
In parallelo alle difficoltà della giovane domestica, comunque accolte e in parte risolte dall'affetto delle donne di casa che la trattano come un membro della famiglia, anche Sofia è costretta a fronteggiare la separazione dal marito che ha iniziato una nuova relazione.
I ricordi di Cuarón si addensano nelle sequenze del film e sono tanti i momenti che restano fissati nella memoria. Tra questi il capodanno del 1971 festeggiato dal fratello di Sofia, in una grande casa di campagna, con tanti altri bambini e alcuni gringos (così i messicani ancora oggi chiamano gli statunitensi), tra protomi canine imbalsamate che immortalano gli amici fedeli che hanno abitato quel luogo - con la mdp che indugia su quello attuale, prossimo membro di quella macabra galleria -, un giradischi che diffonde nel salone la musica di Jesus Christ Superstar (il musical di Broadway è del 1970, mentre il film di Norman Jewison arriverà solo nel 1973), e un incendio nel bosco circostante domato dagli invitati e visto dai bambini come un gioco, in una sequenza corale decisamente felliniana.
Qui, e non solo, il regista messicano sottolinea le origini della sua passione per la fantascienza, con Pepe vestito da astronauta, che più avanti vedremo giocare con una piccola astronave mentre i fratelli preferiscono la pista delle automobiline. L'attenzione al mondo extraterrestre, molto presente nell'immaginario collettivo dell'epoca, in gran parte acuito dall'allunaggio del 1969, torna anche in uno dei film che i bambini vogliono andare a vedere a tutti i costi al cinema, Abbandonati nello spazio (Sturges 1969), di cui vediamo anche alcuni fotogrammi, e che tanto ha ispirato il Gravity (2013) di Cuarón, e persino in una baraccopoli di Città del Messico, dove campeggia uno striscione che inneggia al Partito Rivoluzionario Istituzionale di Carlos Hank González e in cui un ragazzino ha ritagliato un'apertura in un vecchio secchio che usa come casco da astronauta.
Quelli sono anche gli anni delle rivolte, contro la guerra in Vietnam, contro il governo, segnate in Messico nel 1968 con il Massacro di Tlatelolco del 1968 e dall'Holconazo, altra strage avvenuta nel pieno centro della capitale messicana durante il festival del Corpus Christi del 10 giugno, con scontro tra polizia e il gruppo paramilitare de Los Holcones (i falchi). Qui si incontrano la microstoria narrata da Cuarón e la macrostoria nazionale, quando Cleo e la signora Teresa sono alla ricerca di una culla per l'ormai imminente nascituro, e gli scontri esplodono in strada, ben visibili dalle grandi vetrate del negozio. La bellissima sequenza, ripresa prima dall'interno e poi nel cuore dell'azione, prevede anche altri dettagli molto significativi: una Pietà fissata in primo piano, costituita da una donna che stringe il corpo di un uomo colpito dagli spari e morente tra le sue braccia, ma anche la figura di Fermín che ricompare, tra i rivoltosi, davanti agli occhi di Cleo che rompe le acque.
Cuarón torna a citare Fellini nel lungo viaggio di Teresa e Cleo verso l'ospedale, bloccati in auto sotto una galleria, proprio come accade all'inizio di Otto e mezzo (vedi), e poi gira un'altra sequenza capolavoro durante il parto, mettendo in primissimo piano la figura di Cleo sdraiata e in secondo piano, fuori fuoco, tutto quello che avviene mentre lei è dolorante sulla lettiga.
E, infine, il mare, per una gita che segna l'unione di questa famiglia non esattamente canonica, occasione in cui Sofia comunica ai bambini che lei e il marito divorzieranno e Cleo è pronta, pur non sapendo nuotare, a gettarsi in acqua per salvarli dalla corrente (magnifico il sonoro della sequenza, con il rumore delle onde che rende assordante il rischio della tragedia).
L'abbraccio sulla sabbia, a pericolo sventato, dei quattro bambini e delle due donne illuminati dai raggi solari è una delle immagini più identitarie e significative del film e non a caso una di quelle scelte per le locandine, al pari dell'estoy muerta iniziale.
Mai come in questo caso, in cui dopo tutte le polemiche relative alla produzione Netflix, il film è stato relegato a una distribuzione davvero striminzita, è utile ricordare che un'opera come questa per essere apprezzata a pieno ha bisogno della sala cinematografica, dove merita di essere visto, possibilmente con uno schermo molto grande e nelle primissime file, quasi a contatto con i personaggi.
È senza alcun dubbio questo il capolavoro di Alfonso Cuarón. 

1 commento:

  1. La parte migliore del film è il racconto lento in bianco e nero della vita quotidiana all'interno della casa. Qui siamo davvero di fronte al capolavoro. Il resto del film non mi ha sempre convinto. Troppo sovraccarico di tante cose. Alla fine perfino un po' fastidioso quando il forte rumore delle onde preannuncia l'imminente scontata tragedia che sta per avvenire che però non avviene perché si sceglie il lieto fine.

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