lunedì 2 marzo 2015

Whiplash (Chazelle 2014)

Il film del trentenne Damien Chazelle, al suo secondo lungometraggio dopo Guy and Madeline on a Park Bench (2009), racconta l'impegno e l'aspirazione di un batterista diciannovenne, Andrew Neiman, interpretato da un ottimo Miles Teller, in cui si cela in buona sostanza lo stesso regista, che ha dichiarato di aver studiato per anni la batteria e di aver scritto la sceneggiatura come se redigesse un'autobiografia.
Il giovane protagonista viene notato dal temuto e severo Terence Fletcher (un J.K. Simmons che ha strameritato l'Oscar come miglior attore non protagonista), che lo vuole nella sua orchestra gestita con il piglio di un militare che guida una truppa, e da quel momento in poi la sua vita cambierà inesorabilmente.
Non si tratta di un musical, sia chiaro, ma la musica, nell'accezione jazz, è al centro della storia in tutto e per tutto: ogni singola sequenza ruota attorno alle prove dei ragazzi, incentrate su brani come Caravan (composta da Juan Tizol nel 1936 ed eseguita da Duke Ellington l'anno successivo) e Whiplash (composto da Hank Levy), vere e proprie ossessioni dello stesso Chazelle, quando era al conservatorio; al continuo ascolto di pezzi jazz; alla ricerca di un tempo che a tratti sembra irraggiungibile, dato che Fletcher alza costantemente l'asticella della perfezione oltre le umane possibilità. L'atmosfera che si respira è quella di un'incredibile tensione adrenalinica, quella che ha provato chiunque abbia fatto musica, sport, danza o altro, a livelli in cui l'obiettivo da raggiungere diventa così totalizzante da far dimenticare tutto il resto. Forse Chazelle esagera, quando indugia sulle ferite alle mani che si procura Andrew pur di migliorare la sua tecnica, e vedergli mettere le mani sanguinanti in una caraffa piena di ghiaccio lo rende un po' troppo simile al Rocky Balboa di Sylvester Stallone, ma che talvolta si arrivi al dolore fisico per raggiungere lo scopo è un dato di fatto.
Il rapporto che si genera tra l'allievo e l'insegnante è quello di stima reciproca, percepito solo in pochissimi momenti e senza l'ausilio della parola, poiché quella, quasi sempre, dimostra l'esatto contrario: la derisione e la sottovalutazione, che sono sì denigratorie, tanto più perché palesate davanti al resto dell'orchestra, ma finalizzate ad ottenere il meglio da chi vuole solo il massimo, sia pure attraverso l'odio. È inevitabile che attorno ad Andrew nessuno capisca questo sistema di valori, né il padre, che l'ha cresciuto poiché la madre è andata via quando era piccolo (e Fletcher non manca di sottolineare anche questi "dettagli" personali quando vuole stimolare il ragazzo), né tantomeno gli altri parenti. In tal senso è paradigmatica una sequenza a tavola, in cui i familiari esaltano uno dei cugini di Andrew che gioca a football americano, mentre il protagonista sente di valere molto di più di uno sportivo che disputa, peraltro, un campionato delle serie minori.
Dell'autoritario Fletcher, che di fatto è un altro protagonista al pari di Andrew Neiman. conosciamo il nome solo dopo aver superato la metà del film, a conferma che si tratti di una figura ideale di insegnante piuttosto che di un uomo specifico. A lui spettano le battute più belle e taglienti della pellicola, è lui che provoca costantemente tutti i suoi allievi; che ne premia uno per stimolarne un altro, e che non dà mai certezze a nessuno, aumentando allo spasimo la competitività, poiché nessuno deve rilassarsi di aver acquisito il posto nell'orchestra. È per questo che gli sentiamo "responsabilizzare" uno dei ragazzi con "se dai una calcolatrice a un coglione, lui la userà per accendere il televisore", o adattare le sue provocazioni in maniera geografica contro uno dei musicisti irlandesi a cui urla "non ci sono trifogli lì sotto!". 
Fletcher con il nuovo "Palla di lardo"
La disciplina con cui insegna musica è la stessa di un marine e il modello viene esplicitato da Chazelle stesso che, in uno dei tanti momenti in cui Fletcher dimostra il suo rigore, offende la vittima del suo attacco apostrofandolo con un eloquente "palla di lardo", proprio come il sergente maggiore Hartmann chiamava il Leonard Lawrence di Full Metal Jacket (Kubrick 1987).
Oltre al capolavoro del cinema bellico degli anni ottanta, Chazelle cita anche Rififi (Dassin 1955), il noir che Andrew e il padre vanno a vedere in sala e che peraltro fu il modello drammatico per il capolavoro della commedia italiana I soliti ignoti (Monicelli 1958). Il protagonista, quindi, per lo più freddo e pronto a tutto per raggiungere quello che appare essere il suo unico scopo di vita, ama stranamente il cinema (altra nota autobiografica del regista?), e proprio qui conosce la bella coetanea Nicole, che qui lavora, e alla quale, dopo averla notata più volte, decide di parlare e di invitare a cena nello stesso giorno in cui Fletcher lo inserisce nella sua orchestra, uno di quei segni che ti danno la piacevole sensazione di vivere un'ondata di onnipotenza e che ti consigliano di approfittarne nella consapevolezza che tutto andrà bene! Ma anche per l'amore non c'è posto, poiché Andrew vede la musica prima di tutto il resto e teme che il rapporto con Nicole possa distrarlo dall'obiettivo reale.
La vicenda si complicherà, poiché portare tutto al limite può generare delle conseguenze incontrollabili, ma il talento di Andrew non sarà "talento sprecato" (come diceva Chazz Palminteri in Bronx - De Niro 1993) e l'ultimo sorriso sul palco del Lincoln Center tra lui e l'amato-odiato Fletcher sembra darcene conferma.

Il montaggio di Tom Cross, altro Oscar meritato, al pari del missaggio sonoro (Thomas Curley, Ben Wilkins e Craig Mann), segue spesso i ritmi musicali, cadenzando gli stacchi visivi insieme a quelli strumentali, offrendo una perfetta armonia sinestetica tra quello che vediamo e quello che ascoltiamo, in un modo che a tratti ricorda i risultati raggiunti da un capolavoro musical come All that jazz (Fosse 1979). E il riferimento a questo film è tanto più pertinente, dato che il jazz è l'unico credo di Fletcher e del giovane Andrew, che hanno come punti di riferimento e di costante ascolto Charlie Parker e Buddy Rich, rispettivamente uno dei più grandi sassofonisti e compositori jazz e quello che ad oggi viene considerato il più grande batterista di sempre. Delle due "icone" Chazelle non solo ci fa ascoltare alcuni brani musicali (attraverso le prove dell'orchestra o di ascolto privato di Andrew), ma ci fa vedere continuamente delle immagini, con foto e poster che spesso fanno capolino nelle inquadrature, a conferma dell'obiettivo costante di unire vista e udito.
Consentitemi un'ultima suggestione, quella che non posso non considerare una coincidenza musical-cinematografica che unisce idealmente Whiplash con il film del momento, l'indubbio trionfatore degli Oscar 2015 Birdman (Iñárritu 2014): il soprannome di Charlie Parker era bird ed Andrew ascolta il cd Birdland, uno dei live dei concerti registrati nell'omonimo locale che aprì a New York nel 1949 facendo la storia del jazz. Peraltro, buona parte della colonna sonora del film di Iñárritu è costituito da un'incessante batteria, come non ha mancato di sottolineare chi ha organizzato la notte degli Oscar (vedi). Talvolta il caso sembra funzionare meglio di tante oculate citazioni...

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