sabato 12 marzo 2016

Il caso Spotlight (McCarthy 2015)

Il film dell'anno, almeno per l'Academy Awards, Oscar alla migliore pellicola... ma una volta usciti dalla sala ci si chiede perché, quale possa essere il motivo, cosa abbia di così speciale l'opera diretta da Tom McCarthy, scritta in collaborazione con Josh Singer.
La netta sensazione, come è stato scritto (leggi Anna Maria Pasetti su Il Fatto Quotidiano), è che più del solito quest'anno il riconoscimento sia stato più politico che cinematografico: Hollywood si è schierata palesemente a favore di un giornalismo che faccia davvero informazione e ha condannato la pedofilia senza appello. Resta, però, un grosso punto interrogativo su quest'ultima istanza: com'è stato possibile non inserire nemmeno tra i candidati al miglior film straniero lo straordinario Il club (Larraín 2015), che sul tema della corruzione di alcuni membri della Chiesa e sulla pedofilia è andato ben oltre e lo ha fatto usando magnificamente il linguaggio cinematografico?
Perché una cosa è certa, al film di McCarthy va riconosciuta l'importanza del tema e un cast di alto livello, ma di cinema ce n'è ben poco: regia ordinaria, televisiva nel senso deteriore del termine (una serie come Fargo per intenderci è decisamente più cinematografica!), sceneggiatura priva di acuti, fotografia piatta.
Come nel caso di Tutti gli uomini del presidente (Pakula 1975), l'indubbio punto di riferimento per una pellicola a sfondo giornalistico come questa, il soggetto è ricavato da un fatto di cronaca, allora il caso Watergate, stavolta quello dell'arcivescovo di Boston Bernard Francis Law: in entrambi i frangenti chi se ne è occupato ha raggiunto il premio Pulitzer.
Lo Spotlight del titolo è il nome di una redazione costituita da un gruppo di quattro giornalisti investigativi all'interno del Boston Globe: Walter 'Robby' Robinson (Michael Keaton), Michael Rezendes (Mark Ruffalo), Sacha Pfeiffer (Rachel McAdams), Matt Carroll (Brian d'Arcy James). Siamo nel 2001 e a loro il neodirettore del giornale, Marty Baron (Liev Schreiber), affida il compito di indagare su un caso di pedofilia nella capitale del Massachusetts.
Il lavoro dei giornalisti incaricati non solo è proficuo, ma col tempo diventa qualcosa di molto più grande di quanto pensassero, cosicché padre Geoghan, che in 30 anni di carriera ha insidiato 80 bambini, sarà solo il nome iniziale di una lista che aumenterà a dismisura, fino a totalizzare il 6% dei preti residenti a Boston, 90 su 1500, evidentemente coperti dall'arcivescovo Bernard Francis Law (Len Cariou).
Il film è un susseguirsi di indagini che coinvolgono gli avvocati - collusi col potere o dalla parte di chi ha subito le violenze, come Mitchell Garabedian (Stanley Tucci) -, interviste alle vittime o alle "prede", come ci tiene a precisare uno di loro, Patrick (Jimmy LeBlanc), differenziando attentamente i due concetti, e sottolineando quanto la manipolazione psicologica fosse sottile rendendo impossibile a dei bambini opporsi al volere di chi aveva un'autorità e un potere così grande su di loro ("non puoi dire no a Dio quando sei cattolico. Piano piano accetti anche di fare un pompino").  
Indagare su questo scandalo significa tirare in ballo le principali istituzioni della città, non solo la Chiesa, ma anche la politica, i giornali, l'università, la magistratura... e poco importa se la tragedia delle torri gemelle rischierà di spostare completamente l'attenzione degli americani.
Detto questo, però, il film non ha molto altro da offrire, se non una sequela di luoghi comuni, tipici del genere: i protagonisti camminano continuamente, in maniera quasi ossessiva, anche lungo i corridoi della redazione, secondo un consueto escamotage finalizzato a dare una parvenza di dinamismo; la lavagna a parete che fa da pannello riassuntivo strategico, come in un film poliziesco; l'immancabile sequenza della rotativa che stampa il giornale con l'articolo-bomba e i camion che vengono caricati per distribuirne le copie.
L'insopportabile didascalismo di una regia profondamente banale, poi, giunge a punte estreme, fino a mostrare Sacha, la giornalista interpretata da Rachel McAdams, che dopo aver incontrato un ex sacerdote pedofilo vede alcuni bambini del quartiere e si ferma a riflettere, "insegnando" allo spettatore ad associare le due cose... e, come se questo non bastasse, dobbiamo assistere anche al personaggio di Mark Ruffalo, Michael Rezendes, che vede dei bambini che cantano davanti all'albero di Natale.
Un film indubbiamente importante a livello politico e sociale, ma il cinema, quello con la C maiuscola, è un'altra cosa!

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