sabato 29 dicembre 2018

Cold War (Pawlikowski 2018)

...ovvero L'amor fou nella Polonia del secondo dopoguerra (trailer).
Paweł Aleksander Pawlikowski, cinque anni dopo il magnifico Ida (2013), gira un film che immerge lo spettatore nella Nouvelle Vague, dando a Joanna Kulig il ruolo di una splendida femme fatale, a metà tra Jeanne Moreau e Brigitte Bardot, e a Tomasz Kot, che inevitabilmente se ne innamora, quello che in una pellicola francese di quegli anni sarebbe stato perfetto per Jean Paul Belmondo.
La storia percorre quindici anni della vita dei protagonisti, dal 1949 al 1964, durante i quali Zuzanna "Zula" Lichoń e Wiktor Warski non fanno che rincorrersi, si ritrovano a momenti alterni, non riescono mai ad aversi completamente né con costanza. I loro temperamenti, uniti agli eventi, non glielo permettono, sono perciò costretti - ma è davvero un male? - ad abbandonarsi e sparire per poi riprendersi con la stessa passione della volta precedente.
Il loro primo incontro è un colpo di fulmine in piena regola. Wiktor è un musicista che insieme ad una collega sta tenendo dei provini per scegliere i membri della Mazurek, compagnia di musica e danza popolare. Zula partecipa al provino con furbizia e, priva di un brano da proporre, chiede ad una ragazza di unirsi a lei per cantare a due voci. Il risultato è vincente e, ironia della sorte, o meglio potere del fascino e della bellezza, Wiktor resta colpito da lei, anche se la collega gli fa presente che quella con più talento sembrava essere l'altra...
Lo stratagemma orchestrato da Zula è solo il primo indizio del suo temperamento. Nonostante la giovane età, infatti, è stata capace di fronteggiare le eccessive attenzioni del padre difendendosi con un coltello, episodio che alle domande di Wiktor a riguardo sintetizza con durezza e ironia, senza lasciar filtrare alcun sentimento: "mi aveva scambiato per mia madre e gli ho mostrato la differenza".
Mentre il regime sovietico annullerà le velleità artistiche della compagnia, trasformandola in uno strumento di propaganda, Zula e Wiktor daranno sfogo alla loro passione. Zula diventerà la vedette della Mazurek, complice anche l'avvicinamento all'impresario Lech Kaczmarek (Borys Szyc), non indifferente al suo fascino, mentre Wiktor, sentitosi tradito dal comportamento di Zula e per nulla convinto della svolta artistica della compagnia, se ne andrà a Parigi, dove vivrà da bohemien in una soffitta piena di libri guadagnandosi da vivere facendo il pianista jazz in un locale, l'Eclipse.
Anche Zula inizierà a spostarsi dalla Polonia e, dopo Varsavia, che sia Parigi, Berlino o la Jugoslavia, i due troveranno il modo di vedersi, per fugaci incontri o per provare a vivere una relazione stabile. Nulla riuscirà a tenerli lontani, ma allo stesso tempo nulla potrà permettergli di stare insieme a lungo, a meno che... 

La regia, coadiuvata dal el bianco e nero del direttore della fotografia Łukasz Żal, non è mai banale. Si veda, su tutte, la bella sequenza in cui l'attrazione tra Wiktor e Zula si palesa in maniera incontrovertibile. Se, infatti, durante il primo incontro, quello del provino, gli ammiccamenti e i sorrisi tra i due sono ancora incerti, forse in parte a causa dei differenti ruoli rivestiti in quel momento di giudice ed esaminanda, nella bellissima scena della festa tutto è più chiaro. Wiktor, dopo la prima esibizione della compagnia al teatro di Stato, sta parlando con altre persone, ma non si rivolge a loro, perché il suo volto, sorridente, e il suo sguardo sono fissi davanti a sé. L'inquadratura, però, non rivela altro in quella direzione, poiché termina subito dopo, cosicché lo spettatore, per capire cosa stia accadendo, deve guardare dietro le spalle di Wiktor, poggiato ad un enorme specchio a tutta parete, che riflette evidentemente l'intera sala. Il magnifico gioco visivo, degno di Las Meninas di Diego Velazquez, probabilmente il dipinto più celebre che mette in atto un rapporto simile con chi guarda, si completa andando a scovare nello specchio l'immagine riflessa di Zula che sta facendo la medesima cosa di Wiktor: poggiata su un tavolo, si intrattiene con quelle che verosimilmente sono delle colleghe, ma flirta guardando fisso proprio Wiktor, ed ecco spiegato il sorriso di questo.
Zula canta ancora la canzone "serce" (cuore), con cui ha conquistato Wiktor durante il provino, ma la seconda volta lo fa mentre rimane a galla in acqua, in un'immagine che sembra citare l'Ofelia dipinta da John Everett Millais ma in versione canterina, come accadeva già oltre venti anni fa a Kylie Minoque nel videoclip di Where the wild roses grow di Nick Cave (1996).
Zula e Wiktor avranno vite di coppia anche separatamente: lui con una poetessa fascinosa ma più anziana di lui, mentre Zula si sposerà, avrà un figlio, eppure tutto appare accidentale rispetto al loro amore, come dimostra il lungo silenzio della ragazza successivo alla domanda di Wiktor "sei felice?" o l'abbraccio che gli riserverà più avanti, anche se lì a fianco c'è il marito con il loro bambino. D'altronde, per lei che si dichiara credente, il matrimonio con un uomo palermitano non celebrato in chiesa non può essere considerato valido, e così vivrà per un po' con Wiktor nella sua soffitta parigina, cantando per le sue note all'Eclipse e incidendo il suo primo disco, quello che Wiktor definisce "il nostro primo figlio" e Zula, furiosa, un semplice "bastardo". Il titolo,  Loin de toi, peraltro, non può che essere un'allusione alla costante lontananza tra i due.
Joanna Kulig è decisamente convincente sin dalla prima sequenza e lo resta per tutto il film, recitando soprattutto con gli occhi, che si mostrano indifesi, furbi, sensuali, gelosi a seconda delle occasioni, e diventano superlativi quando cercano di scovare nel pubblico Wiktor e, non trovandolo, comunicano sorpresa, sgomento e disperazione.
Pawlikowski, in fondo, rispetta l'augurio che André Breton, proprio alla fine del suo romanzo L'amor fou, faceva alla protagonista, "Je vous souhaite d'être follement aimée"... Zula è davvero stata amata follemente, ma lei forse ha amato in maniera ancor più folle.

1 commento:

  1. C'è una battuta nel film che fa molto pensare. È quella di Zula quando dice a Wiktor: "in Polonia eri veramente un uomo". Ma come, eravamo nella Polonia innevata e sovietica, e li Wiktor era un uomo e qui a Parigi, libera e capitale della cultura, è diventato una maschera di sé stesso! Imprevedibile e inaspettata questa presa di posizione dell'autore nei confronti di quell'occidente capianistico agognato dagli artisti dell'Europa dell'Est.Non c'è da parte sua alcuna rivisitazione e rivalutazione del comunismo, ma l'autenticità della tradizione polacca sembra essere preferita al mondo fou della capitale francese. Film veramente bello, giustamente premiato a Cannes.

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